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POTENZA – Di mesi ne sono passati solo otto, anche se la sensazione, nel Pd lucano, è che siano trascorsi secoli, senza che sia cambiato molto. O almeno non nei metodi. Era febbraio, il mese delle Politiche, le elezioni della prima batosta per l’imbattibile Partito regione, costretto  a fare i conti alle urne con due potenti nemici: da una parte i grillini che anche in Basilicata si facevano largo con prepotenza, riuscendo a conquistare pure le roccaforti storiche dei democratici; dall’altro il pesante astensionismo. Entrambi i dati dicevano una cosa: lo strapotere del Pd lucano per la prima volta era sotto la minaccia di un malcontento diffuso e generalizzato. I democratici fanno fatica ad ammetterlo. 

Dopo lunghi giri di parole, e una direzione regionale più somigliante a una seduta di  psicoanalisi individuale, qualcuno finalmente inizia a parlare, se non di sconfitta, almeno di crisi. Il serafico ex segretario Roberto Speranza, a una settimana di distanza dal voto, affidava a un intervento la sua analisi politica: «Non è la prima volta che le urne stravolgono pronostici e aspettative – è l’incipit – Ma il responso elettorale del 24 e 25 febbraio è sicuramente tra i più sconvolgenti che si ricordino». E’ evidente che l’attuale capogruppo alla Camera non aveva messo in conto che il peggio dovesse ancora arrivare, e che di sorprese ai seggi ce ne sarebbero state, ancora e di più. O meglio, gli elementi per capire che senza correttivi si sarebbe andato verso il peggio, c’erano e in teoria anche le buoni intenzioni. «Dobbiamo insistere in quella ricerca già iniziata delle parole chiave di un nuovo tempo della politica, del nuovo spirito pubblico»,  diceva l’allora segretario Speranza. Aggiungendo: «Il tema dirimente è oggi liquidare definitivamente ogni residua suggestione riconducibile a logiche di casta, di autoconservazione del ceto politico, e di restituire l’arena democratica alla libera accessibilità e contendibilità, liberando partiti e istituzioni dall’eccesso dei personalismi e dal gioco insopportabile dei trasformismi». Alla luce del risultato della scorsa domenica, nel quale, al netto di tutto, non si può non leggere quel voto che sconfessa la linea ufficiale del partito, un’analisi a ritroso torna utile per comprendere quanti e quali sforzi siano stati fatti verso quel  «tempo nuovo» di cui parlava Speranza otto mesi fa. 

Certo, le contingenze intervenute (anche se non del tutto imprevedibili e inattese) come l’inchiesta giudiziaria che si è abbattuta sul Consiglio regionale, non hanno facilitato le cose. Le dimissioni “solitarie” del governatore De Filippo suonavano come l’ennesimo segnale di debolezza di un partito incapace di trovare una linea unitaria  della gestione dell’emergenza dopo la tempesta perfetta. Neanche lo spettro del voto anticipato riusciva a incutere  quel dovuto timore che induce il marinaio in burrasca a tentare di raddrizzare la barca, prima del naufragio. Il Partito democratico lucano restava in balia delle onde fino alla fine dell’estate. Di strategie per salvare il salvabile neanche l’ombra. Tentavano la manovra i generali Bubbico e Folino che da Tito indicavano la propria rotta verso il rinnovamento. Ma l’operazione ha rischiato di apparire come una chiamata alle armi preventiva. Soprattutto non convinceva chi e come dovesse decidere chi far salire e chi lasciare a terra. E quando si faceva sempre più largo l’ipotesi di un scontro diretto, il partito che doveva «restituire l’arena democratica alla libera accessibilità e contendibilità» faceva di tutto per evitare le primarie. Ma l’unico candidato su cui tutti sarebbero disposti a convergere, ovvero Roberto Speranza, si mostrava da subito non intenzionato a mettere fine in maniera anticipata all’irripetibile esperienza romana. La tentata mediazione si chiudeva senza successo, lasciando morti sul campo e finendo per apparire solo come la somma dei tentativi individuali di salvare ognuno il proprio orticello. 

Tanto che anche Marcello Pittella – “tradito” da un giorno all’altro dai suoi alleati, ma che nonostante questo non si tira indietro dalla competizione ormai assaporata, e di certo non per liberare la Basilicata –  finisce per incarnare il ribelle buono che sfida quella casta  esclusivamente attenta all’autoconservazione. L’avversario Lacorazza si trova così a pagare lo scotto di un partito che forniva di sè l’ennesima immagine di chiusura, personalismi e degli accordi last minute. Equilibri stravolti nel giro di pochi giorni, segnati, tra l’altro, da un altro evento: il passaggio di consegne tra l’ex e il nuovo segretario regionale, Vito de Filippo, che si accavalla agli accordi sulle primarie e che lascia un altro alone. A casa dei democratici tutto prosegue secondo le stesse vecchie regole. Nonostante tutto, il fiato sul collo non lo sente nessuno. Anche a causa di un’opposizione praticamente inesistente che invece di andare all’attacco preferisce rimanere a guardare, nell’attesa che lo schieramento degli avversari siano chiaro. Incapaci di reagire anche davanti a un autogol clamoroso come questo: alle urne il Pd dei soliti manovratori di timone ne esce completamente sconfitto. Certo, i giochi non sono ancora chiusi. Meglio sarebbe non sottovalutare nessuna possibile sorpresa.

m.labanca@luedi.it

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