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POTENZA – Quel pugno che batte contro il vetro che separa i consiglieri regionali dagli ospiti, dai giornalisti e dai semplici cittadini interessati a seguire i lavori della massima assemblea regionale vale più di mille parole. Di mille comunicati. Il pugno e le urla mostrano il livello di un rapporto di fiducia e stima (e anche rispetto) tra eletti ed elettori che mai è stato così basso. Anzi forse il rapporto non c’è più, c’è solo il vetro.
Lo si comprende dalle facce. Dentro l’aula i legislatori sono imbarazzati, impauriti, impotenti. Quasi imbalsamati. Sembra che stiano assistendo a qualcosa che non li interessa da vicino. Immobili. Impotenti. Nessuno capace di dare una risposta. Il massimo dell’azione per qualche consigliere è quella di alzarsi dalla sedia. Molti altri rimangono seduti. Alcuni facendo finta di leggere qualcosa come se nulla fosse.
Eppure il signor Mimmo urla come un ossesso. Urla la disperazione del cinquantenne padre di famiglia che non ha più nulla. Soldi, speranze, illusioni. Urla la rabbia in faccia ai consiglieri.
E’ saltato quindi il tappo del rispetto istituzionale. Ma non per colpa dei cittadini. Della “povera gente”. La rabbia è esplosa per una vicenda che alla Regione è nota: 10 dipendenti del Consorzio agrario da 7 anni vivono ai margini. Dei 60 dipendenti, 50 hanno trovato posto negli enti regionali. Dieci per normative nazionali no. Da anni chiedono risposte. L’ultima promessa a maggio: “entro una settimana avrete una risposta”. Siamo a settembre e ancora nulla. E nel frattempo anche la mobilità è finita al 31 dicembre 2012. Tra urla e e colpi al vetro il signor Mimmo riesce a spiegare: «La mia posizione è così paradossale che il mio nome non risulta nemmeno all’Ufficio del lavoro».
Per questo alla prima riunione del Consiglio regionale avevano deciso di presenziare ai lavori come spettatori mostrando magliette con slogan e protestando. E probabilmente non sarebbe successo nulla se il presidente del Consiglio, Vincenzo Santochiricco non avesse intimato, dall’alto della poltrona più alta, il silenzio e il rispetto. E’ stata la goccia che fa traboccare il vaso. Uno dei lavoratori non ce la fa più edesplode: «Non mi dici di stare zitto».
Arrivano le forze dell’ordine. I vigilantes. In altri tempi la protesta sarebbe stata bloccata d’imperio in un attimo. Ma ieri no. Oltre il vetro tutti paiono capire il dramma dell’uomo e del capo famiglia. Solidarizzano. Mimmo non viene arrestato. Non viene allontanato. Non viene messo all’indice. Viene abbracciato. I sindacalisti accorsi gli parlano con affetto e lo implorano al silenzio. Ma con gentilezza e garbo. Davanti al dramma vero. I consiglieri invece rimangono fermi. Immobili. Impotenti. Preoccupati e spaventati: gestiscono il potere ancora ma la disperazione, quella vera, è arrivata a pochi metri. Sono al riparo di un vetro che però non li scherma più dalle critiche, dai giudizi negativi ormai non più sussurati ma gridati in faccia.
Alla fine dopo una decina di pugni scagliati contro la vetrata la situazione di placa. Mimmo mette le mani sul viso. I sindacalisti riescono a ricondurre la questione sui binari della trattativa. Arriva un dirigente regionale e arriva l’assessore Benedetto a cui si affianca il consigliere Mollica. I lavoratori sono sfiduciati ma si prestano alla solita routine lontano dall’aula dei legislatori.
I lavori dei consiglieri ricominciano. Come se nulla fosse. Si parla del tribunale di Melfi. Si tenta l’ultimo tentativo. Ma è un atto disperato. Come Mimmo. Intanto sono arrivati tutti gli assessori. Sono cinque. Per legge dal 7 settembre scorso dovevano diventare 4 ma si continua così. Come se nulla fosse.
s.santoro@luedi.it
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