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POTENZA – Per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri 2,5 miliardi di euro di investimenti dell’Eni, senza parlare delle royalties e del fondo da altri 2 miliardi per infrastrutture e occupazione in Regione. Da sommare a un altro miliardo e rotti per nuove esplorazioni alla ricerca di giacimenti ancora nascosti. Parola del direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero per lo sviluppo economico.
Ha deciso di svestire i panni del burocrate Franco Terlizzese sentito da Luigia Ierace per il Sole24Ore, che ieri ha dedicato al petrolio lucano quasi una pagina intera, oltre a una riflessione senza firma, perciò da intendersi come prodotto editoriale, nella pagina dedicata a “commenti e inchieste”. Il titolo sarebbe già abbastanza significativo: “Il petrolio in Basilicata risorsa sfruttata a metà”. Come pure l’ironia sulle autorizzazioni per le ricerche che non arrivano («Guai a scoprire che magari i giacimenti sono ancora più ricchi di quel che si pensa»). Ma sono proprio le dichiarazioni di Terlizzese la parte più interessante, rafforzate dal presidente di Nomisma energia Davide Tabarelli, tornato a parlare dopo la proposta shock avanzata nei giorni scorsi di abolire le royalties in cambio di un nuovo regime fiscale per le compagnie, e sanzioni per le amministrazioni “no triv”. Stesso concetto ripreso in seguito anche dal presidente di Eni Giuseppe Recchi dal Meeting di Rimini.
Secondo il capo dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, guardando al di là della trattativa in corso con la Regione per portare le autorizzazioni dell’Eni in Val d’Agri a 129mila barili al giorno di produzione rispetto ai 104mila attuali, «i veri investimenti» sarebbero quelli per le ricerche di nuovi giacimenti, che sono ferme in Italia da 15 anni. «Nessun amministratore al mondo bloccherebbe le attività di ricerca». Spiega Terlizzese. «Negli altri paesi, ad esempio Malta, le compagnie petrolifere sono obbligate a fare pozzi esplorativi e non si consente loro di sfruttare se prima non si conosce il potenziale del paese. Un patrimonio di conoscenza a beneficio dei territori».
Non parla di compensazioni ma di un indotto che potrebbe crescere sul modello di quello di Ravenna e impedire la “fuga” dell’impatto occupazionali degli investimenti in questione, Davide Tabarelli, del think tank bolognese fondato da Romano Prodi oltre trent’anni fa. Sul «valore aggiunto» del petrolio lucano punta invece il presidente dei giovani di Confindustria Basilicata, Lorenzo Pagliuca, per cui potrebbe servire a far decollare la regione «se si costruisce un programma completo in grado di affrontare le criticità persistenti sia in termini di infrastrutture che di competitività».
Proprio a partire da quest’ultimo punto è arrivato a stretto giro il commento del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Mattia (Pdl), che ha colto l’occasione per rilanciare il modello utilizzato nel Nord-Est della Scozia dove il governo inglese ha concentrato risorse finanziarie e competenze per la ricerca anche nel campo delle energie rinnovabili. Ma è voluto intervenire anche sull’editoriale del quotidiano di Confindusria appoggiando la considerazione che «a determinare le sorti della gestione delle risorse petrolifere (e di gas) del nostro sottosuolo non può essere né l’effetto “nimby” (non nel mio cortile), né la protesta generica dei sindaci ribelli e tanto meno la contrattazione da mercatino rionale con le compagnie petrolifere». Un attacco diretto ai primi cittadini della Val d’Agri e della Valle del Sauro, esclusi dal grosso delle royalties per le estrazioni che avvengono nelle loro zone, che si sono mobilitati nelle scorse settimane per una ripartizione «più equa» delle stesse.
Per Mattia le parole di Terlizzese sul miliardo di investimenti per nuove esplorazioni non possono essere considerate «una boutade» quanto piuttosto «una lezione». Dunque porte aperte, alla sola condizione che tutto avvenga «nell’assoluto rispetto delle esigenze ambientali e nella applicazione delle migliori pratiche operative in riferimento agli standard internazionali».
«Il primo pensiero – continua il consigliere – va al superamento del gap infrastrutturale che continua a rappresentare una “palla al piede” per le nostre comunità e le prospettive di sviluppo e competitività. Troppi progetti di strade, strutture civili, interporti, porticcioli ed aviosuperfici sono rimasti nei cassetti degli uffici della Regione per mancanza di soldi, provocando la stasi del comparto dei lavori pubblici e la disoccupazione edile».
Il vicepresidente del parlamentino di via Verrastro aggiunge che sarebbe «utile aggiornare il confronto con il Governo» della Regione sul regolamento attuativo del fondo per infrastrutture e lavoro previsto dall’articolo 16 del dl liberalizzazioni che ha tradotto in legge il Memorandum sottoscritto ad aprile del 2011 dall’allora sottosegretario azzurro allo Sviluppo economico Guido Viceconte e dal presidente democratrico della regione Vito De Filippo. Così contraddicendo anche quanto sostenuto da un suo compagno di partito come il deputato Cosimo Latronico, che non più tardi di tre settimane fa ne dava per imminente la pubblicazione.
«Non è più rinviabile la scelta di un percorso chiaro, dettagliato e di piena condivisione in tutte le sue fasi, per fare in modo che il principio normativo contenuto nel legge sulle liberalizzazioni si trasformi in atti operativi per disporre di nuove risorse e di nuovi strumenti in grado di accompagnare la trasformazione produttiva della nostra regione che parte dal petrolio ma non comprende solo il petrolio». Conclude Mattia. «Per la nostra Regione si presenta l’opportunità di avviare, sia pure sperimentalmente, un modello di federalismo fiscale estremamente interessante per le ricadute economiche dirette e che si completerà con la gestione delle risorse idriche, come del resto è stato già definito attraverso l’intesa sul Bacino Idrografico Meridionale che produrrà nuove entrate per l’acqua all’ingrosso ceduta alla Regione Puglia. In questo ci avviamo a diventare un “caso” che sarà osservato e monitorato da più parti e pertanto ci carica di grandi responsabilità anche rispetto agli organismi dell’Unione europea che devono confermarci i fondi per la prossima programmazione 2014-2020».
l.amato@luedi.it
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