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GIÀ nel 1879 l’onorevole Michele Torraca, deputato di Matera, in un opuscolo stampato a Napoli “I meridionali alla Camera” faceva una spietata critica della sinistra meridionale e scriveva: «La sinistra meridionale … chiamava a raccolta quanti avevano una vanità, un’ambizione da soddisfare, un desiderio da far pago. L’opposizione crebbe rapidamente, perché la posta di entrata era amplissima. I buchi del crivello, assai larghi, a tutti permettevano il passaggio. E si adottò il metodo di spingere innanzi, non i più adatti e stimabili; ma i più docili e condiscendenti».
Non si cercava l’uomo ma il voto, e tra gli uomini, era studio preferir sempre i più arrendevoli, gli “amici”, cioè i “clienti”. L’onorevole Nicotera volle uomini suoi: e perché fossero tali li prendeva dove e come gli riusciva trovarli e li portava alla Camera. Così il male, che era già grande, si fece massimo, con queste forme: 1) lo “spagnolismo” parlamentare, perché furono creati i gruppi personali; 2) il “faccendierismo” o “affarismo”, perché si seminò e raccolse nel terreno delle coscienze transigenti, dei caratteri servili, dei particolari interessi.
Il Ministero, pauroso di tutto per la sua debolezza, pensava di non dover scontentare quelli, fra i meridionali alla Camera, che erano ormai la rovina del Mezzogiorno e la debolezza della vita politica italiana.
Sembra calzare ancora tale tipo di denuncia all’involuzione continua subita dalla sinistra che, oggi più di allora, per una strana logica vichiana – è destinataria di critiche che riguardano la condotta e i comportamenti, le strategie a volte tanto forzosamente estremiste da apparire strumentali e demagogiche per tutto quello che va sostenendo contro ogni buon senso e l’interesse generale raramente moderato ed utile, spesso accomodanti e stranamente porgitrici di alibi ai misfatti che ormai sono tanti e senza alcun rimedio.
È stata piuttosto la sinistra ad alimentare i miraggi, i sogni e i bisogni, i doppi sogni delle masse, giacché le relative demagogie difettano di possibilità e di utopie, man mano che si è passati ad analizzare le promesse, gli effetti e le retoriche che da sinistra hanno portato a destra.
Si potrebbe arrivare a dire per esempio che già da cinquant’anni fa il marxismo e la sinistra cosiddetta leninista e stalinista hanno rappresentato “la transizione al peggio”, al falso riformismo e alle rendite corporative, nel senso che specie tramite la sinistra la attuale società ormai piccolo borghese, risultato di spinte rivendicazioniste tumultuanti ed imprecise, ha subito il totalitario e vorticoso passaggio nella “casta”, e nello sperpero del pubblico denaro, smarrendo ogni residuo o originario valore tradizionale, sia morale che ideale, e liberandosi di ogni “scoria” che la ricollegava alla società del passato, di ogni identità culturale e di appartenenza, di ceto e di classe per presentarsi come materialismo e laicismo compiuti e come binomio indissolubile tra piccola borghesia, sottoproletariato con titolo di studio e provincialismo. Ci sono ancora quelli convinti che da tale sinistra derivi tutta la linfa di cui ha bisogno una democrazia?
Si dovrà riscrivere la vecchia storia, riparare le antiche armi e armature, il vecchio dogma partitico, le antiche misture e ipocrisie, il farraginoso reclutaggio, il tesseramento di famiglie e clienti che diventano cedole azionarie per ipotecare congressi, partiti ed esiti elettorali? O invece interpretare proprio quel senso di uscita dalla storia, una fine della storia che oggi è sensazione diffusa, sentimento dominante, atmosfera epocale, una fine che significhi rottura con i metodi logori che hanno sempre determinato il fallimento delle politiche della sinistra e di una storia che gli eventi dell’Est europeo posero in chiave urgente e drammatica, e che oggi ci sta rovinando definitivamente con assetti predatori ed istituzionali approntati con abilità e sagacia.
C’è una sinistra nel Sud e in Basilicata capace ormai di rinnovare, di sanare irrimediabili guasti? Quelli di una sinistra che ha operato scelte, avviato strategie, eretto e demolito tribune, tarpato ali e abbattuto torri e uomini che le appartenevano, che ha reclutato adesioni occasionali, adesioni che potevano andare al centro e perfino all’estrema destra? Insomma una sinistra che vuole rinnovarsi non può rappresentare una patologia del sinistrismo, di quel sinistrismo imperituro che ha avuto una veste, uno stile, una filosofia, un carisma, una storia, una grinta per uomini che in sostanza poi si sono rivelati opportunisti ed imbracati nel potere, e che oggi caratterizza una nevrosi dell’arroganza per cui appare sufficiente essere antiberlusconiani per confermare il proprio vero sinistrismo. Questa è un’altra sinistra. Ce lo dice l’affetto e la stima che ancora nutriamo per qualche isolato suo esponente sconfitto e sconfortato, e per coloro che sono ancora animati dalia mobilitazione e dalle responsabilità. E quali speranze ci danno il Vendola e la Boldrini e i cattocomunisti del Pd?
Una sinistra che ha ottenuto considerazione, fiducia, militanza ed adesione ai suoi programmi ed alle sue lotte, per tantissimi anni, quella dei Chiaromonte, dei Macaluso, dei Berlinguer … e quell’altra dei Nenni, dei Lombardi, dei Brodolini … e che ha poi trasgredito ai suoi impegni favorendo lo spreco di danaro pubblico, la corruzione ed il consociativismo, che si è avvalsa di personaggi ambigui e farisei, e che è alfiere di idee sballate e di contorsioni sociali.
Ma è stata la sinistra a far sopprimere le preferenze, a immiserire ed annientare il dibattito e la democrazia all’interno di quasi tutti i partiti, a consegnare il Paese nelle mani di un ceto politico e parlamentare che esige solo la perpetuazione di sé stesso, riduce ogni rapporto con la società e con la gente, decide su tutto senza ottenerne la legittimità né dal consenso dei cittadini né con una selezione dal basso dei gruppi dirigenti di partito.
Senza il predominante influsso della sinistra non saremmo giunti alle esose indennità che si ammanniscono a deputati e senatori, ai rimborsi forfettari, ora che le loro candidature e la loro elezione vengono decise solo dal coordinatore di partito, fra l’altro, nominato dall’alto, come ha fatto il centrodestra e come esige questo sistema elettorale.
Senza la volontà espressa dalla sinistra non vi sarebbero i rimborsi elettorali, le indennità di reinserimento per i parlamentari non più eletti, né il sostegno alle spese sostenute dai parlamentari in carica per alloggio, vitto, assistenza, stampa e viaggi.
Perché riteniamo responsabile al massimo grado la sinistra? Perché ciò che la sinistra ha preteso, tutto quello che la sinistra ha posto in essere, ora serve agli arrivisti, ai furbi, ai nostalgici del doroteismo. C’è stata la Dc con tutti i suoi difetti, gli scandali, il clientelismo, ma che pur annoverava uomini sobri, anche meritevoli ed illustri.
Ci fu l’era di Craxi, dopo l’austerità di Berlinguer, la legge Mosca che consentì il recupero di centinaia di anni di assicurazione pensionistica a funzionari ed esponenti dei partiti e dei sindacati, l’uso disinvolto del danaro, le tangenti come mentalità e prassi, la unanime pretesa delle “assemblee corporative” di fìssarsi, con leggi apposite, l’ammontare dei compensi e delle indennità per sé e per i consulenti, gli esperti ed i manager o direttori generali, di proporre leggi sulle indennità di fine mandato, di prevedere i rimborsi per le delegazioni, di attuare la proliferazione di enti, sottoenti ed incarichi retribuiti, le ristrutturazioni facili di immobili, arredi, uffici, sale e saloni, l’acquisto degli enti pubblici, di automobili di grossa cilindrata, di affrontare spese per autoparchi e per la creazione di associazioni, centri, comitati regionali e provinciali nonché nazionali, commissioni e consigli di amministrazione.
Ecco una classe politica obesa ed ingorda, una oligarchia insaziabile ed imperterrita, e che non dà spazio a nessuno; bramini intoccabili per i quali chi più ha ottenuto deve continuare ad avere.
Occorre qui fare un’eccezione per quelli che provano anche disagio per un tale colossale dispendio e che, pur eccependo, non hanno la forza di dimettersi o di denunciare. È qui che la democrazia, parola ricorrente sulla bocca dei più, se ci fosse e se funzionasse, fornirebbe il farmaco necessario ed opportuno. Questo non può accadere, e non accade, giacché il sistema, così com’è stato artefatto, è corrotto e corruttore, ha corrotto la lega e corromperà chiunque tenterà di riformarlo.
Gli atteggiamenti da “zavorra sovietica”, recentemente denunciati nella riunione del Pd da Gianni Pittella e la strenua difesa del glorioso Pci da parte del sindaco di Anzi; l’ostentazione di un “sinistrismo” fuori di ogni tempo e di ogni stagione, solo per mostrare che si è dalla parte dei giusti, da parte di chi sembra avere ragioni storiche ancora da riscattare.
La sinistra che ha promosso, patrocinato e tradotto in impellenti istanze ogni paradosso, ogni irregolarità e imperfezione, ogni vizio di questo nostro paese, volendo trasformare, tutto in legittimità.
La sinistra che ha esasperato ogni esigenza, e ha difeso il disordine, il caos, l’indisciplina, e che con l’alibi di una democrazia forzosa ha dato luogo al “buonismo” per ogni malefatta; ha elevato i “furbi”, a promotori di leggi “pro domo”, e a disporre del pubblico denaro per sperperi e per uso personale.
Ha spinto all’estremo il processo e il pretesto della difesa di ogni istanza sindacale, con la sindacalizzazione di varie categorie fino a farne “corporazioni” intoccabili, con privilegi insindacabili.
Con il termine di “qualunquismo” ha difeso ogni forma di demagogia e di critica ai partiti ed ai comportamenti dei suoi dirigenti, consentendo anche l’infiltrazione di fenomeni deleteri e di tossine nelle istituzioni pubbliche.
Con il termine di “razzismo” ha liquidato qualsiasi tentativo di riflessione sull’invasione d’immigrati sulle nostre coste, ed esige la soppressione del reato di clandestinità.
Sembra di rivivere i tempi in cui Ettore Ciccotti bollava i socialisti ufficiali di ateismo strumentale, di scimmiottature bolsceviche nei confronti di ogni valore di libertà e di costume, di faziosità e di settarismo, in nome di un radioso traguardo, il paradiso dei lavoratori e del popolo: «Il Partito socialista ufficiale, penzolando sempre fra l’opportunismo e la demagogia, si è dato in ultimo ad una bolscevicofilia, a cui credono solo i meno intelligenti, e gli altri si subordinano senza coscienza e senza fede, per semplice calcolo elettorale o arrivistico».
Con la caduta delle illusioni ideologiche, da un lato, vi è un vezzo, ormai, un sentirsi più informati, una alterigia, un continuo possesso di verità, un portamento dialettico esibitorio e saccente che porta molti individui a professarsi di sinistra, come legittimi credi di glorie decadute e di lotte mai fatte (vedi Stefano Rodotà), sicuri di un avvento ancora di là da venire; dall’altro, a ragione di delusioni e di aspettative non soddisfatte, di appurate constatazioni sul discrimine sociale, si riscontra un contegno rancoroso e rivendicativo che esplode nel fenomeno, assai spesso palese, di “comunismo istintuale”.
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