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CON UNO storyboard da “Kramer contro Kramer” il Pd lucano prepara la sceneggiatura delle prossime elezioni regionali senza tuttavia essere in grado di lasciar presagire quel finale soffertamente giusto che ha caratterizzato il capolavoro cinematografico. Evidentemente a restarsene per anni sul set della politica si acquisisce un punto di vista parziale e deformato dalla necessità di non licenziare le “maestranze” che in un modo o nell’altro hanno reso possibili gli antichi successi; deve essere così per forza, altrimenti non si spiegherebbe la distanza che continua ad accumularsi tra le preoccupazioni dei signori della politica e quelle dei cittadini comuni, cittadini dai quali persino Folino il Terribile sembra voler prendere le distanze quando afferma di non porsi il problema dell’incandidabilità degli indagati, ma di registrare che il problema se lo pone la gente.
In verità i problemi che si pone la gente sembrano essere assai più concreti di quelli che vengono posti nelle modaiole dirette streaming che rendono trasparente la parte in fondo meno importante di una gestione politica che è stata quanto mai opaca e vessatoria per la nostra regione. Il senatore Margiotta ( che tweetterà allegramente contro quello che sto per dire, continuando invece a tacere sulle domande che direttamente gli pongo) ha ancora il coraggio di sponsorizzare De Filippo “per ricominciare da chi ha messo il punto e a capo”, dimostrando non solo superficiale conoscenza delle regole della buona scrittura ( il punto e a capo si usa quando si passa ad una diversa sequenza narrativa), ma anche scarso approfondimento di certe questioni che non possono essere viste di buon occhio da chi come lui (e come tutti nel suo partito) ci vuol convincere di quanto gli stia a cuore la questione morale.
La promozione del collaboratore “pasticcione”, su cui l’ex governatore tende a scaricare i suoi problemi di francobolli, altro non appare che un sistema Olgettine in miniatura e non dovrebbe sfuggire all’acume di un senatore come non è rimasto ignoto all’attenzione di un giornalista. Né si può chiedere ai potenziali elettori del Pd di scandalizzarsi del Cavaliere e chiudere gli occhi su quello che non si rassegna a rimanere un fante nell’agone lucano, dimissionario per proiezione romana, appiedato dalle esitazioni di Letta e dal traballamento continuo delle larghe intese.
In realtà Vincenzo Folino ha ragione; la questione degli indagati la gente se la pone, eccome, e non certo per quel sentimento che alla maniera spicciola si tende a bollare come giustizialista o populista, ma per tutti quei disprezzati dubbi che le jacqueries lucane vedono ora legittimati e riconosciuti nelle argomentazioni giudiziarie. La restituzione dei soldi senza il riconoscimento della responsabilità, l’arroganza del “chi sono io”, la giustizia per ricchi, le norme tese ad aggirare i controlli: tutte queste cose non erano sfuggite al buon senso di chi è suo malgrado attore non protagonista in una pagina nera della nostra storia. La gente non vuole vedere nessuno in galera (non fosse altro perché dovrebbe continuare a mantenere chi a spese della collettività si è già mantenuto abbastanza), ma quaranta rinviati a giudizio sono assai più che una faccenda di responsabilità personali, sono piuttosto la catena doppia e trasversale di un dna malato che non lascia speranza di sopravvivenza.
Primarie o non primarie, molti elettori di sinistra (di una sinistra ancora autentica) sembrano ormai più curiosi di sapere per chi non andranno a votare di quanto non appaiano invece speranzosi di veder uscire la squadra ideale dal cilindro di cotanti sarti illusionisti che rivoltano colletti e cappotti per poterli spacciare per nuovi. Sarebbe intelligente arrendersi all’evidenza e fare scelte radicalmente coraggiose: arrendersi, almeno quando si è circondati da se stessi.
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