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ALLA fine l’unica parola chiara e logica l’ha detta lei. Ci voleva una donna, la signora in nero, la dottoressa Gerardina Romaniello, per mettere due parole – due – di senso compiuto in questo lungo intreccio politico-giudiziario farsesco eppure molto serio.
Il destino – che porta sempre una simbologia – ha voluto che proprio mentre la direzione regionale del Pd costringeva gli appassionati di politica a seguire una lunga diretta streaming (una volta si cenava guardando le partite, sabato c’è stato chi si è dato appuntamento in giardino con il computer acceso per seguire quello che succedeva all’hotel Vittoria di Potenza) i giudici del tribunale del Riesame depositassero il provvedimento sul lodo Mancusi firmando un vero decreto di condanna alla classe politica tutta che ha avuto la responsabilità di governo in questi anni in Basilicata. Leggendo l’atto giudiziario c’è poco da dissertare sull’interferenza di un potere su un altro potere.
Poco margine per una discussione sull’autonomia delle istituzioni.
Il presidente Romaniello (in foto) è lineare nel ragionamento, per certi aspetti così ovvio che viene da chiedersi perchè in questi mesi nessuno abbia avuto il coraggio di parlare in maniera così esplicita sulla vicenda rimborsopoli. Due aspetti vale la pena sottolineare.
Dice il giudice: che senso ha restituire i soldi se questo comportamento non è accompagnato da una assunzione di responsabilità?
Se i consiglieri indagati per rimborsopoli assumono di essere estranei a una condotta illecita, se cioè ritengono che i soldi spesi sono stati legittimamente spesi, perchè dunque restituirli? Un ravvedimento di cosa? Un gesto di generosità tardivo? Certo qui si apre anche una discussione di dialettica giudiziaria interna (se non proprio di conflitto) tra la visione del Gip Spina e quella dei giudici del Riesame che coincide con quella della Procura (il che aggrava la posizione dei consiglieri visto che il tribunale del Riesame è altrimenti detto “della libertà” a indicare il sistema di garanzia a salvaguardia degli indagati). Quei soldi restituiti sono l’ostentazione tardiva di chi vuole dimostrare che non ha bisogno di due, tremila euro. Arroganza pura, odiosa rimarcazione di stato, “giustizia per ricchi”, dice la signora togata,
Ma il presidente va oltre e qui si apre la vera discussione politica. Saltiamo alla direzione Pd. Alle cose che abbiamo ritenuto più rilevanti tanto da metterle nell’edizione di ieri in prima pagina. Cioè dal sacro furore del più antipatico, monsieur Folino.
Finalmente ha affrontato la questione morale, non l’aveva fatto all’assemblea di Tito e forse oggi avremmo guadagnato tempo se si fosse avviata per tempo questa discussione senza aspettare verosimilmente spinte romane finalizzate a strategie politiche.
Su questo punto vorrei essere più esplicita e chiedo conforto di visione: Folino che attacca Gianni Pittella lo fa evidentemente per vari motivi. Almeno tre. Innanzitutto in gioco c’è la geografia vasta e costruenda di varie caselle di candidature e incarichi, per esempio l’Europa che potrebbe far gola anche a Massimo D’Alema, fatto fuori dal parlamento da quel bischero di Renzi che oggi sembra non dispiacere proprio al vicepresidente europeo. Dunque attaccare Pittella a casa sua è un bel gioco di squadra che il neo onorevole conduce. («Comunista del pcus» gli risponde oggi Gianni). Il secondo motivo è il messaggio indiretto che invia al fratello di Gianni, Marcello, possibile candidato alle primarie (essendo quest’ultimo anch’egli indagato per rimborsopoli, Folino con la discussione sulla questione morale alza un muretto). Infine la proprietà transitiva, la botta all’amico-nemico De Filippo. Noi stiamo qui, gli dice. A tendere una mano anche per il tuo destino politico. Tu, da che parte stai? Con Pittella?
Forse gioco troppo di suggestioni e ritorno allora a un altro punto del provvedimento del giudice Romaniello. Posso rivendicare di aver scritto più volte, da quando è cominciata quest’inchiesta, che un’indagine non può rappresentare né un vantaggio né uno svantaggio (in linea di principio e molto laicamente ritengo che anche un assassino possa essere utile alla comunità). Il giudizio su una classe politica non può passare per una scorciatoia giudiziaria. Il vero dramma è che occorra un giudice per stabilire una linea di condotta. Il giudice scrive a futura memoria che quella leggina ad personam di spending review che riduce la diaria dei consiglieri ma al tempo stesso ne elimina l’obbligo di rendicontazione è una trappola di dubbia moralità. Ecco su questo aspetto forse doveva esserci la crisi regionale. Se qualcuno ne avesse avuto il coraggio.
Invece stiamo qui da settimane su questa oziosa discussione “primarie sì, primarie no”, perchè manca un accordo. Che è solo un accordo di potere. Il segretario regionale Roberto Speranza le ha proposte. Non condividerne la linea significherebbe delegittimarlo.
Ma avrà il tempo il capogruppo del Pd di occuparsene? Evidentemente no. Molto è demandato al segretario regionale non tanto occulto, Antonio Luongo. E proprio rispetto a quest’ultimo Folino commette un lapsus a mio avviso involontario. Folino si chiede perchè quello stesso criterio che portò all’esclusione dal Parlamento dell’ex deputato (per il processo Iena 2) non debba valere oggi anche per gli indagati di rimborsopoli.
Lo vuole la gente, dice. Eppure quella stessa gente alle primarie aveva scelto Luongo. Le parole di Folino in realtà sottendono un implicito dissenso verso quel clima che bandì Luongo e finiscono con l’avere un significato esattamente opposto a quello che intendeva formulare.
Anche perchè se volessimo andare a cercare dettagli potremmo elencare processetti vari con responsabilità diffuse. Ritorniamo allora sempre all’assunto originario: il giudizio su una classe dirigente non può che essere di natura politica.
La magistratura è una cosa a parte. A volte mostra lucidità e capacità di lettura meglio degli altri, come in questo caso la Romaniello. Ma è bene tenersene alla larga. Anche i giudici, del resto, farebbero meglio a farsi vedere di meno in Transatlantico.
l.serino@luedi.it
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