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A 30 anni dal riconoscimento Unesco ai Sassi di Matera parla Giampaolo D’Andrea componente del Comitato Scientifico culturale: «Nel 1993 fu la svolta, oggi bisogna capire se c’è da correggere, prevenire o programmare»

Mancano pochi mesi alla fine del 2023, l’anno che segna il trentennale del riconoscimento Unesco ai Sassi di Matera. Nulla, al momento, è dato sapere su iniziative istituzionali che ne celebrino l’importante anniversario, che avviino una riflessione su ciò che è stato e ciò che sarà.

A osservare ciò che è accaduto e quanto il riconoscimento abbia significato per Matera, è Giampaolo D’Andrea, da gennaio scorso membro del Comitato scientifico culturale dell’Ufficio dell’Unesco di Venezia. Attorno a questo tavolo si riuniscono esponenti provenienti da tutto il mondo, uniti da questo importante simbolo. Tornare indietro nel tempo con la memoria è come ripercorre uno dei pezzi più importanti della storia della città.

Che significato ebbe nel 1993 l’ingresso dei Sassi di Matera nel Patrimonio Unesco?

«Straordinario, non si può negare che non sia stato un momento di svolta che non arrivò improvvisamente. In realtà la situazione si era messa di nuovo in movimento dopo la legge sulla Tutela dei Sassi, la 771 del 1986 che consentì una procedura speciale per il progetto organico di recupero e avvio degli interventi grazie al concorso internazionale. Un passaggio che aprì la strada a una diversa considerazione di questi luoghi. Lo studio di Pietro Laureano che mise in evidenza al tempo stesso la qualità dei percorsi particolari che componevano il paesaggio dei Sassi con il suo ecosistema basato sulla raccolta delle acque. Tutto questo contribuì a maturare questo riconoscimento. Nella classifica dell’Unesco, d’altronde, rientrano luoghi unici e irripetibili. Matera, dunque, fu ritenuta destinataria di una attenzione straordinaria».

Quale era l’atmosfera che si respirava in quel periodo, cosa si immaginava di fare?

«Non c’è dubbio che anche i tentativi di recupero e rigenerazione urbana che furono svolti, avevano quella classifica come punto prezioso oltre alla segnalazione di Matera come città turistica nel circuito internazionale. Non dobbiamo sottovalutare questo aspetto. Quando ancora non eravamo nella fase di corsa a Capitale della Cultura europea del 2019, incontrai operatori turistici all’estero che pur confondendo la geografia e pensando che fossimo in Puglia, la indicavano come luogo di particolare interesse per un tipo di turismo che con il tempo si è qualificato come esperenziale.
Non c’è dubbio che poi tutta la promozione è stata svolta sia con la candidatura per il 2019 che nell’anno da Capitale ha contribuito a sentire il senso di questo blasone, un riconoscimento importante non solo per la storia di Matera e della Basilicata ma anche del Sud Italia. Il problema comunque resta lo stesso: le forme di modificazione successiva devono puntare a non alterare le ragioni che hanno portato a quel riconoscimento».

È per Matera è stato così? Le ha perse?

«No, credo sia riuscita bene l’operazione di valorizzazione nel rispetto di quello che era il sistema Matera».

Quale potrebbe essere, secondo lei, il modo miglior per celebrare i 30 anni del riconoscimento Unesco ai Sassi di Matera?

«Innanzitutto attraverso la riflessione. Le forze vive della città, istituzionali e culturali dovrebbero fare il punto, possibilmente in modo costruttivo sul percorso dal riconoscimento a oggi. Bisogna avere la consapevolezza che se c’è qualcosa da correggere bisogna farlo ora, se c’è qualcosa da prevenire bisogna farlo prima di ora e se c’è qualcosa da programmare bisogna metterlo in piedi con molta attenzione, con senso dello sviluppo futuro come accadde per la proposta di Matera Capitale della Cultura 2019 che ebbe una preparazione molto lunga. Io non alludo alle iniziative ma alla maniera con cui la comunità materana può diventare protagonista della fase successiva che ci deve essere.
La vicenda di Matera 2019 di cui sono stato diretto osservatore è stata turbata dal Covid che ha impedito che si mettesse in moto quella fase di graduale adeguamento o incastro nella vita ordinaria del lavoro che era stato fatto. Il Covid ha raffreddato tutto. Oggi i flussi in città si sono ripresi ma bisogna verificare se è accaduto altrettanto sotto il profilo della considerazione internazionale della città con il suo valore. Matera deve attrarreb per questo suo grande significato e non bisogna far passare altre motivazioni a far cercare Matera. Questo tipo di domanda turistica sarebbe certamente più esigente e richiederebbe un innalzamento della qualità nell’offerta, a cominciare dall’accesso in città migliorando le infrastrutture.
Dal 1993 a oggi sono cambiate in meglio ma resta la questione della ferrovia resta aperta nella sua declinazione contraddittoria così come il sistema dei collegamenti che ha bisogno di una messa a punto organica e finalizzata anche alle nuove condizioni che si aprono come ad esempio quello dell’Appia antica. Poi ci sono altri aspetti che Matera ha capitalizzato in questi anni: penso al suo ruolo nel cinema. Se ripercorriamo la sua storia dai primi registi fino all’ultimo Jaes Bond londinese, la città ha acquistato una sua autorevolezza non è più una meta da sprovveduti, occasionali, Oggi è una città del cinema con le condizioni adatte per girare che all’inizio non erano molto vantaggiose anche se oggi qualche contraddizione è esplosa».

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