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CARO direttore, non conosco Alessandro Galella o non ricordo di averlo mai incontrato. La triste pubblicità che lo ha evocato mi solleva dal commentare le frasi deliranti che gli vengono attribuiti dalla vandea dei social: un continente che dispone di memorie resistenti e documentate.

Mi intriga piuttosto scoprire la ragione che avrebbe indotto il presidente della Regione a conferirgli, al culmine di una crisi devastante tuttora vigente, un assessorato di particolare impegno. Che conosco bene e mi toccò in un passato ormai storico di gestire per otto anni di fila. Parlo di una postazione che sovrintende a materie complesse anche per il carico di competenze che afferiscono al Pnrr.

Dario Fo ne avrebbe fatto oggetto di sarcasmo nel suo “Mistero Buffo” (spartito in verità dedicato ad altri Misteri gaudiosi). Se egli fosse sopravvissuto al tempo che illuminò con lampi di tranciante ironia.
Allora, perché presidente, sarebbe bene chiedergli come hanno fatto in tanti. Quale eccelsa strategia soffiava in favore di una investitura a dir poco folklorica, Una invenzione dadaista, un fenomeno da studiare.
Queste le domande. Altro che guerra dei due mondi e dispute pedatorie di tempi remoti.

Non se la prenda, il Galella oggetto del cruento conflitto ad aria compressa, se dubitiamo della assennatezza della scelta compiuta dal governatore di elevarlo a responsabilità così delicate. Scelta che, se ulteriormente perseguita, come può accadere per ragion di stato (feudale), si rivelerebbe ben presto un boomerang. Sia per il clima vietnamita che sembra montare intorno al personaggio e alle sue indimenticabili apostrofi sia per contributo al prodotto interno lordo regionale che verrebbe da attitudini ed esperienze tutte da censire e da validare.

Pensiero finale. Un po’ triste.

Per il persistere nella costituzione materiale di un piccolo atolli come il nostro di una sorda polarità, di una frattura che nasce dalla povertà intellettuale e dalla mancanza di tensione unitaria. Entrambe figlie di egoismi di contrada che non furono mediati da culture adeguate, dall’interesse solidale e dalla estenuazione progressiva della intelligenza istituzionale. Fenomeni aggravati dal deserto della politica via via che è andata deperendo la qualità della classe dirigente. Quella capace di comporre, di sedare, sopire ma anche di costruire lo spirito di comunità, di inseminare spirito pubblico e ambizioni di frontiera, infine di instillare il valore di un dividendo comune. Che stiamo sprecando. Purtroppo.

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