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L’intervista all’arcivescovo di Matera, monsignor Antonio Caiazzo, e la sua analisi sulla situazione della città. «Lavoro, sanità , povertà e ambiente sono le parole prioritarie per la nostra gente»


L’ascolto dei territori e delle comunità resta lo strumento fondamentale per comprendere ciò che accade, per trasferire e contestualizzare il clima nazionale e ciò che l’Italia sta vivendo. La Chiesa coglie il segno più significativo, quello che ne segna i luoghi. Monsignor Antonio Caiazzo Arcivescovo di Matera-Irsina e Vescovo di Tricarico, quel richiamo lo ascolta spesso, visitando le parrocchie e ascoltando. E da queste esperienze nasce anche la lettera pastorale scritta in vista del Giubileo del prossimo anno. In uno dei passaggi c’è una delle sfide più importanti: «Come sarebbe bello – scrive – se ogni nostra comunità, piccola o grande che sia, sentisse il bisogno di farsi compagna di viaggio dell’altra, uscendo dai confini che a volte sacrificano o umiliano la fraternità». E’ la condivisione uno degli obiettivi ma anche lo sguardo attento sul tempo che passa e sui segni che lascia.

Nel 2025 saranno passati nove anni dal suo arrivo a Matera. Come è cambiata la città che lei ha trovato al suo arrivo?

Di cambiamenti ne ho visti diversi anche perché il mio arrivo è coinciso con un momento storico al centro dell’attenzione mondiale per la città, in vista del 2019 anno da Capitale europea della Cultura. Mi sono subito mosso sul solco del lavoro che aveva svolto il mio predecessore con il gruppo di coordinamento per preparare diversi eventi. Da lì ho compreso l’esigenza di Matera di aprirsi a tutto il territorio perché non poteva rimanere chiusa nel suo mondo. E’ stato questo il motivo della mia scelta, che tutti i nostri appuntamenti fossero svolti su tutti il territorio e da lì l’idea della Fondazione di promuovere il progetto di “Capitale per un giorno” per coinvolgere tutti i centri della provincia.
Da quando, nove anni fa, osservavo gente che arrivava a Matera, siamo passati all’attualità, alle masse che visitano la città. I materani si sono trovati coinvolti in qualcosa di nuovo che stava accadendo ma, al tempo stesso, si sono lamentati perché ritenevano che la città gli fosse stata rubata. Ci sono stati però tanti progetti, tanta attenzione al territorio che alla fine, purtroppo, non hanno avuto continuità nel tempo. La Fondazione stessa che pure aveva portato avanti tanti progetti, per un periodo sembrava fosse sparita improvvisamente. Oggi però sta riprendendo quota. Mi dispiace vedere che l’attenzione, a livello regionale, verso Matera è molto scarsa.

A cosa lo attribuisce?

Non lo so. Però da quando sono arrivato è normale ci sia la competizione fra le città ma probabilmente se il Governo della Basilicata fosse stato più presente sul territorio, sarebbe stato meglio anche per i cittadini che avrebbero potuto contare sull’attenzione nella quotidianità. Io ad esempio mi occupo di due Diocesi dove sono sempre presente, che visito. Su questo aspetto credo si debba insistere. Ad alcuni assessori dico: ‘Meno male che ci siete voi che venite a Matera’ altrimenti ci sentiremmo un po’ orfani. Matera ha sofferto e soffre per questo aspetto, perché si sente messa da parte. E nemmeno a livello locale si capisce molto: nel 2018 quando la giunta de Ruggieri stava per cadere, sono intervenuto personalmente perché non ci potevamo permettere che in quel momento storico la città fosse commissariata. E ora quella storia è accaduta.

E anche in questo caso la città affronta una sfida, quella da Capitale della cultura del Mediterraneo e del Dialogo. Non sarebbe il caso di individuare principi validi per la politica per evitare gli errori del passato? Adesso cosa è necessario?

Al di là delle persone, dobbiamo guardare a un programma serio e a una progettualità che fa respirare Matera a pieni polmoni. Se è vero che adesso abbiamo questa ennesima opportunità internazionale, dobbiamo rimanere al centro. Penso alla ruota di una bicicletta da cui partono tanti raggi e Matera deve rappresentare proprio questo. Non può mancare il dialogo fra diverse culture. Nel 2019 abbiamo vissuto un momento storico quando ho accolto tutti gli Imam d’Europa e tutti i rabbini. Nel Salone degli Stemmi è stato uno dei momenti più belli, interreligioso, che non si può dimenticare.

Oggi ci sarebbero le condizioni per ripetere quell’esperienza?

Oggi ci sarebbero difficoltà per quello che sta accadendo. Quella è stata una pietra miliare e Matera dovrebbe essere città del dialogo interreligioso, riprendendo quello che avevamo fatto. Chiaramente se si arriva, come ci auguriamo, a una pace giusta questo luogo può giocare un luogo non indifferente. Molto di più, sotto certi aspetti, di quanto possa fare la vicina Bari. Storicamente ha una posizione strategica e ha comunità orientali consistenti, ma a Matera ormai confluisce il mondo. Questo dialogo oggi diventa sempre più necessario. Suggerisco spesso di attrezzare le nostre chiese con i libri liturgici in diverse lingue e riti. Se, per esempio, venisse valorizzata la Sinagoga scoperta qualche anno fa nei Sassi, sarebbe essere un punto di riferimento e di attrazione. Questo vorrebbe dire recuperare un contesto storico tradizionale che, al tempo stesso, guarda avanti.

Si ha la sensazione che la cultura sia considerata la panacea di tutti i mali, nonostante la città abbia tanti altri problemi. Secondo lei qual è il modo adatto per sviluppare questo tema nella maniera adeguata?

Spesso si parla di cultura ma non sempre se ne coglie il vero significato. Io sono amante della tradizione che è la nostra storia; se non la conosciamo, se a questo vogliamo dare senso diverso di ciò che realmente ha, non parlerà più. Arrivando a Matera ho scoperto che gli abitanti non conoscevano i luoghi, dai giovani agli anziani. Rivitalizzare, ripartendo da ciò che è nostro e ci appartiene è importante. Conosciamo ciò che accade nel mondo ma non conosciamo la nostra storia. Bisogna mettere ulteriori pietre in una costruzione, nell’umanità che è tipica ma scrivo pagine nuove. Spero di inaugurare entro fine gennaio il nostro polo culturale –artistico.
Stiamo finendo i lavori nel vecchio Seminario, uno dei segni del Giubileo, e consegneremo alla città un patrimonio sconosciuto: la biblioteca è unica in Basilicata con migliaia di volumi, palazzo Passarelli sarà completato con un ingresso da via Riscatto, gratuito per i materani. Ci sono diversi uomini di cultura, spesso sconosciuti che hanno lasciato pagine bellissime. Bisogna partire da questo perché altrimenti sarà come voler volare alto senza fare il rullaggio. Il successo del Congresso eucaristico che ha portato i Vescovi in città è nato perché sono stati colpiti, in particolare, dalla storia del pane di Matera che riunisce elementi teologici, Cristologici e trinitari ma i materani non conoscevano come veniva preparato una volta.

Ha incontrato il Commissario Prefettizio?

Sì, mi ha voluto incontrare appena arrivato in città. Abbiamo parlato anche della sua esperienza a Crotone e poi, come abbiamo sempre stabilito in questi casi, lavoreremo insieme per il bene comune della città e del territorio. Il Vescovo viene interpellato perchè è espressione di tutto il territorio a cui vengono chiesti elementi utili per comprendere il territorio ed è quello che faccio indicando problemi ma anche cose belle. Avverto la responsabilità della mia voce. Nella mia lettera pastorale ho parlato proprio di quanto il Giubileo sia un’occasione per essere propositivi. Non c’è solo bisogno di denunciare problemi, paure e sofferenze. C’è bisogno di proposte concrete e progetti da realizzare; bisogna emergere dal pantano delle lamentele spesso sterili e strumentali. Le idee superano gli steccati politici e ideologici purchè si lavori per il bene comune.

Fare il bene comune, non è una frase un po’ abusata?

Certo. Se ne fa uno slogan ma cosa vuol dire davvero? Vuol dire essere accanto alla gente, camminare con loro, realizzare qualcosa per gli altri e anche per se’ stesso. Gli altri non devono diventare strumenti.

Lavoro, sanità e povertà. Lei incontra le comunità del Materano. Sono queste le parole che emergono?

Sono quelle principali dove in questi anni, in particolare il 2 luglio, io torno sempre. Recentemente ne ho parlato anche affrontando il tema della autonomia differenziata facendo masticare amaro forse a qualcuno ma io non posso tacere. La lettere scritta dai Vescovi è l’ennesima perché i problemi sono quelli di tutti i territori, del Sud, dell’Italia. Noi ogni anno perdiamo 5000 mila persone, basta calcolare quanti ne nascono e quanti ne muoiono. L’impoverimento della nostra terra avviene anche perché le giovano coppie sono costrette ad andare via e i figli che nascono restano lì.
A questo vanno aggiunte le altre criticità. A quelle tre parole aggiungo la salvaguardia dell’ambiente che è uno dei punti cruciali: la Basilicata ha una ricchezza enorme che ci stiamo giocando male. Si sta guardando all’opportunismo su quello che c’è da ricavare ma io sono abituato a guardare avanti e quando penso alla Valbasento mi viene in mente la ricchezza che c’era una volta . Cosa è rimasto oggi, se non veleni, tumori? Che bonifica è stata fatta finora e dove? Una terra così bella non merita tutto questo.

E c’è la spada di Damocle del deposito di scorie

Certo e vorrei comprendere meglio cosa sta accadendo a Irsina. Ho letto l’appello del sindaco facente funzioni e voglio confrontarmi. Non è giusto e dalla marcia di Scanzano sono passati 31 anni e penso alle marce che facevo io a Crotone.

La sanità è un altro punto debole. Non è una novità che a livello nazionale in tanti, da tempo, hanno rinunciato a curarsi. Qual è il suo polso sul territorio materano che vive un declino costante da tempo?

Secondo l’ultimo Rapporto Matera è tra le ultime cinque e da nove anni a questo parte è stato un calo costante. Non capisco perché una regione come la nostra non possa avere una convenzione con un ospedale pugliese ma può averla con uno di Milano dove per arrivare bisogna prendere un alloggio, pagare il viaggio mentre in Puglia si va e torna nello stesso giorno. E poi mi chiedo perché, se abbiamo eccellenze, le dobbiamo far andare via o mortificare? Nel tempo ho assistito allo spopolamento di interi reparti, alle difficoltà di chi lavora, dagli infermieri ai medici al personale, che fanno grandi sacrifici e credono nel loro lavoro, ma di più non possono. Quando sono arrivato il clima era diverso. Man mano che siamo andati avanti si sono registrate rotture che ci hanno fatto perdere molto.

Come se ne esce, secondo lei?

Anche con le attuali istituzioni regionali ho parlato spiegando che ora è il momento di lavorare, di prendere decisioni. Non mi interessano le bandiere, bisogna darsi da fare. Una regione come la Basilicata non può non avere, ad esempio, un punto di riferimento per gli autistici. Ci siamo dovuti muovere noi e presto sarà realizzato un progetto che in qualche modo ci coinvolge. La Chiesa non si può sostituire ma deve essere voce di un popolo che non ha voce.

Recentemente lei ha parlato di numeri che fanno paura: le due mense della città offrono 500 pasti ai bisognosi. Cosa vuol dire in una città che apparentemente è un esempio in tutto il mondo?

Nessuno lo direbbe, ma in quale città da 63 mila abitanti ci sono due mense? Purtroppo a quei numeri si aggiungono anche coloro che non hanno il coraggio di entrare in una mensa, che con dignità ritirano la spesa e vanno via , oppure gliela porta la rete che si muove in questo senso. La povertà e il bisogno ci sono e sono molto più profondi di quanto si pensi, come possiamo toccare con mano ogni giorno. Tanti vivono come sanguisughe, gli usurai e il lavoro della Fondazione Antiusura è un esempio concreto in questo senso.

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