L’osservatorio di Sant’Agnese nel rinnovato parco della Murgia
3 minuti per la letturaDA circa due mesi nelle mani di ogni componente del consiglio comunale c’è un ricco dossier sul lavoro della commissione consiliare per la salvaguardia dell’altopiano murgico e dal 29 dicembre in quelle del presidente del consiglio comunale c’è la richiesta di convocazione di una seduta monotematica entro la prima metà di gennaio in cui esaminare tutto il materiale prodotto, firmata da 11 consiglieri.
«Il nostro lavoro è stato svolto – spiega Pasquale Doria, presidente della Commissione – ora tocca ora al consiglio comunale. Il rapporto giunge alla conclusione che si debba procedere al ripristino dei luoghi che dovrà essere previsto per quei luoghi in cui non si già stati svolti lavori». Per ottenere un quadro quanto più completo, la commissione ha ascoltato Italia Nostra, Legambiente e Codice 21 e alcuni tecnici e un osservatore esterno.
«Abbiamo chiesto il parere al prof. Pierluigi Cervellati che è stato fra i primi collaboratori al recupero dei Sassi, consulente nella redazione del primo programma biennale di recupero insieme a Tommaso Giuralongo. Nella sua relazione, dopo aver visto, ciò che è stato realizzato nel Parco delle Murgia, ha parlato di sacrilegio di un luogo che è stato profanato».
Nel dettaglio, spiega ancora Doria, per quei lavori sono state violate norme dell’Unesco e dell’Ente Parco della Murgia. «A cominciare da quella, fondamentale, di interventi che sono vietati nelle aree di riserva integrale. I lavori avrebbero potuto essere svolti solo a condizione che ci rispettassero i vincoli del luogo. A che serve un palo della luce notturna per illuminare la tomba a doppio circolo. Chi va a visitarla di notte? E i massi sulla sommità delle chiese rupestri? Ci hanno risposto che servono a collocarle visivamente e che, con un filo di ferro fra una e l’altra, impediscono che qualcuno cada».
Tra le righe la sensazione è che, pur di spendere le somme previste pari a circa 5 milioni di euro, si sia deciso di ricorrere a soluzioni creative . «E’ gravissimo che non ci sia traccia del piano di gestione – denuncia ancora Doria». E le riflessioni, quasi naturalmente, passano al sistema del Parco delle Cave, tema di particolare attualità: «Bisogna conoscere la storia dell’uomo e non proporre giostrine in casette di legno che non si potranno usare né in estate né in inverno. In quanto poi all’orto botanico, non capisco perché realizzarlo visto che si troverebbe già nel luogo in cui le erbe del Parco crescono già naturalmente».
La proposta del consigliere Doria, contenuta in una relazione che sarà presentata nella conferenza di servizio, si muove su un vero e proprio percorso di recupero che nasca dall’ingresso monumentale di San Vito e che affidi un racconto storico e antropologico «In relazione alle cave, ovvero il luogo di produzione della materia prima abilmente scavata per la costruzione della città». Questo vorrà dire trasformarlo in un vero luogo di apprendimento: «Creando, dove necessario, nuove unità spaziali compatibili, tramite lame di luce, cortine di tessuti, pannelli amovibili e altri mezzi immateriali».
Tutto per condurre il visitatore in un racconto che nasce dalla strada per Laterza su cui furono ritrovati negli anni ’40 molti fossili di balena.«Inglobati nel tufo tra le cave della Palomba e in quella denominata Tarantina».
Nel prologo alla visita a Matera, viene suggerito anche il percorso che passa attraverso la storia dei “cavamonte, estrattori di tufo. «Dovrebbe essere il pleistocene e l’epopea dei cavamonti – si legge ancora nella relazione – la trama di ogni narrazione in un contenitore In cui fondamentale rimane il momento dell’accessibilità. Il tema riguarda la dimensione fisica, principalmente la questione di chi ha problemi di mobilità e diversi tipi di disabilità, si pensi agli ipovedenti, o a visitatori della quarta età. L’importanza di agevolare la visita amplia enormemente il ruolo sociale di un’area di visita monumentale che, alla sua missione tradizionalmente conservativa ed educativa, aggiunge meritoriamente un elemento d’inclusione sociale».
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