L'immagine di una fototrappola
4 minuti per la letturaMATERA – Era stato immortalato dalle fototrappole, installate dal Comune di Policoro, mentre abbandonava rifiuti urbani. Così un cittadino ha presentato un reclamo al Garante nazionale per la privacy, vedendoselo accolto, con una sanzione amministrativa pecuniaria di ben 26mila euro a carico dell’ente trasgressore. È destinato a far discutere il provvedimento emanato lo scorso 9 giugno dai professori Pasquale Stanzione e Ginevra Cerrina Feroni, con i consiglieri vice presidente Agostino Ghiglia e avvocato Guido Scorza e il segretario generale Fabio Mattei.
Il cittadino, legge alla mano, ha rilevato che il Comune di Policoro avrebbe utilizzato un sistema di videosorveglianza in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali. Un fatto apparentemente paradossale, se si pensa che il tutto è finalizzato a punire i cittadini per altrettante violazioni di legge in materia di decoro urbano. Il reclamante aveva ricevuto ben tre verbali di accertamento per abbandono di rifiuti solidi urbani: uno il 16 giugno, l’altro il 30 e il terzo il 1 settembre 2019.
Ma l’accertamento delle violazioni mediante visione delle immagini di videosorveglianza, sarebbe avvenuto rispettivamente: il 6 settembre 2019 (82 giorni dopo), il 17 settembre 2019 (79 giorni dopo) e il 4 novembre (64 giorni dopo). Il tutto con inidoneità dei cartelli, contenenti l’informativa semplificata sulla videosorveglianza e la non conformità dell’informativa contenuta nei verbali notificati, che non indicavano la “specifica finalità di accertamento compiuto”. Ma il Comune è riuscito persino ad “incartarsi” ulteriormente. Infatti, il cittadino ha subito presentato tre distinti ricorsi al Giudice di pace di Pisticci, contestando l’uso illegittimo dei dati personali, con richiesta di risarcimento danni.
Quindi l’ente che ha fatto? Ha pensato bene di resistere in giudizio, facendosi rappresentare proprio dall’avvocato interno Responsabile della protezione dei dati (Rpd), configurando così una palese incompatibilità, trattandosi proprio del procedimento che lui avrebbe dovuto gestire e disciplinare.
Nel giugno 2020 la questione è arrivata sul tavolo del Garante nazionale per la protezione dei dati personali, che ha chiesto chiarimenti al Comune. Dagli uffici di Policoro è arrivata una risposta evidentemente ritenuta non corretta dal garante. L’ente parla di un “illecito amministrativo per violazione del Regolamento comunale di igiene urbana, riferendosi a un’altra legge, sostenendo che in caso di riprese effettuate durante un servizio di Polizia giudiziaria, i dati personali possono essere conservati e trattati per un periodo superiore ai 7 giorni, difendendo la correttezza dell’informativa nella cartellonistica di riferimento e rimarcando persino l’insussistenza del conflitto d’interesse dell’avvocato davanti al Giudice di pace, trattandosi di materia amministrativa e non di dati personali, quindi sarebbe stato errato il ricorso al Gdp e l’avvocato si sarebbe limitato solo a produrre questo tipo di contestazione.
Motivazioni respinte dal Garante, che il 30 marzo 2021 ha avviato il procedimento contro il Comune, perché i dispositivi video, erano “non conformi ai principi di liceità, correttezza e trasparenza, limitazione della conservazione e responsabilizzazione, fornendo un’informativa di primo livello non idonea ed omettendo quella di secondo”.
Il Comune ha provato ancora a difendersi, rimarcando il carattere di polizia giudiziaria oggetto delle riprese, con tempi di conservazione disciplinati da altre norme, ovvero persino superiori agli 82 giorni massimi contestati, e difendendo la liceità della nomina dell’avvocato Rpd nei procedimenti davanti al Giudice di pace. L’Amministrazione chiarisce, poi, di aver agito a sola difesa del territorio e dell’ambiente, non incaricando avvocati terzi, per non gravare sulle finanze dell’ente e che la Polizia locale ha agito solo esercitando le proprie funzioni di polizia giudiziaria.
Il Garante, tirando le somme, ricorda che l’ente avrebbe dovuto applicare i principi di “liceità, correttezza e trasparenza”, fornendo all’interessato tutte le informazioni sul regolamento facilmente accessibili, complete sia di primo (cartello), che di secondo livello, con indicazione sul periodo di conservazione dei dati, in caso contrario si dovrebbe effettuare solo una sorveglianza in tempo reale. Sul cartello del Comune, inoltre, si fa riferimento a una normativa abrogata, né è stata fatta un’informativa di secondo livello, ad esempio sul sito web dell’ente.
L’ente, inoltre, con le fototrappole non avrebbe posto in essere un’attività amministrativa, non di polizia giudiziaria o pubblica sicurezza (non avendo ricevuto alcun incarico dall’autorità giudiziaria), quindi la conservazione dei dati ricade nei limiti del regolamento (non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati), comunque non indicati dal Comune. L’ente dovrà pagare entro 30 giorni, se non si adegua con misure correttive delle violazioni accertate.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA