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Il boss di Scanzano Jonico Gerardo Schettino

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MATERA – È una sentenza storica, quella emessa ieri dopo oltre dieci ore di Camera di consiglio, a carico di 24 imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso: il famigerato clan con a capo il boss Gerardo Schettino ed il figlio Giuseppe, con i loro luogotenenti e gregari, dedito a traffico di armi, droga ed estorsioni. Il primo grande processo alla criminalità organizzata del Metapontino, con base logistica ed operativa a Scanzano Jonico.

Il procedimento era incardinato in due filoni: quello denominato “Ruska”, che vedeva come elemento di spicco il boss Gerardo Schettino, e il “101 bis”, con protagonista il figlio Giuseppe. Per loro le condanne più pesanti, anche se qualcuno dei luogotenenti ha preso più anni di quelli richiesti dal pm antimafia Annagloria Piccininni, che aveva chiesto 202 anni per i 16 imputati del Ruska e 88 anni per gli 8 del 101 bis.

Il collegio giudicante, presieduto da Giuseppe Disabato con Rosa Bia e Antonia Quartarella come giudici, al termine della lunghissima Camera di consiglio ha condannato Gerardo Schettino a 25 anni e 6 mesi di reclusione (il pm ne aveva chiesti 28), i suoi luogotenenti Domenico Porcelli e Nicola Lo Franco, dovranno scontare rispettivamente 26 anni e 6 mesi (la richiesta era di 26 anni) e 19 anni e 6 mesi (la richiesta era 22 anni).

E poi: 13 anni a Maurizio Poci, 19 anni a Piero Di Domenico (la richiesta era 15 anni); 16 anni a Michele Puce (la richiesta era 15), difeso dall’avvocato materano Pietro Damiano Mazzoccoli; 16 anni a Mario Lopatriello (la richiesta era 15); 6 anni per Maria Montano. Unica assolta è Loredana Tauriello, per la quale il pm aveva chiesto 9 anni di reclusione. Lei, difesa dall’avvocato policorese Pino Rago, si era sempre difesa proclamando la sua estraneità ad ambienti criminali, e che la sua unica colpa era quella di essersi fidata di una persona, che diceva di essere un carabiniere.

Tre anni e 4 mesi a Giuseppe Latronico; 3 anni 4 mesi a Domenico Ventura Melodia; 2 anni e 8 mesi a Pavel Federkiewicz; 3 anni e 4 mesi a Francesco Nicoletti; 2 anni e 8 mesi a Giuseppe Schettino; 2 anni e 8 mesi a Massimo Calò.

Nel filone 101 bis: 20 anni e 6 mesi a Giuseppe Schettino (la richiesta era di 18 anni); 12 anni e 6 mesi a Vittorio Corrado (la richiesta era di 12 anni); 12 anni a Leonardo Rocco Iannuzziello (la richiesta era di 9 anni), difeso dall’avvocato Mazzoccoli; 15 anni e 6 mesi a Nicola Ventimiglia (la richiesta era di 9 anni); 17 anni e 6 mesi a Lukasz Marcin Wilk (la richiesta era di 12 anni); 15 anni e 6 mesi a Giuseppe Cirelli (la richiesta era di 12 anni), difeso dall’avvocato Mazzoccoli; 12 anni per Alessandro Catalano (la richiesta era di 8 anni) e 12 anni a Giuseppe Capece (la richiesta era di 8 anni).

Quest’ultimo filone si caratterizza per condanne di parecchio superiori a quanto chiesto dal pm. Importanti e significative anche le pene accessorie, come il pagamento in solido delle spese processuali e del mantenimento in carcere. Gerardo Schettino, Poci, Lopatriello, Porcelli,Montano, Di Domenico e Lo Franco sono anche interdetti dai pubblici uffici per tutta la durata della pena principale, nonché interdetti a contrattare con la pubblica amministrazione per tre anni. Latronico, Melodia e Nicoletti sono interdetti per 5 anni dai pubblici uffici. Tutti, dopo aver espiato la pena, quando definitiva, saranno sottoposti a tre anni di libertà vigilata. Inoltre, Gerardo Schettino, Porcelli, Lopatriello, Lo Franco, Di Domenico, Puce e Poci dovranno risarcire in solido i danni patrimoniali derivanti dal loro reato, stimati in 50mila euro in favore del Comune di Scanzano Jonico, più 3.870 euro per le spese di costituzione di parte civile.

Infine, il giudice dispone la restituzione di quanto sequestrato e, ove non fosse reclamato, la confisca e la cessione in beneficienza, con la distruzione di ciò che non è utilizzabile. Il giudice dispone anche la confisca del denaro sequestrato a Corrado.

Anche nel processo 101 bis, tutti gli imputati sono condannati in solido al pagamento delle spese processuali e di quelle della detenzione. In questo filone, il giudice revoca la misura degli arresti domiciliari per Giuseppe Schettino, disponendone la liberazione se non ristretto per altro e revoca l’obbligo di dimora per Latronico. Obbligo di dimora nel comune di residenza per Maria Montano, con divieto di avvicinamento alle parti offese per meno di 100 metri.

Una sentenza destinata a fare rumore, perché di fatto decapita la principale organizzazione criminale, che per un ventennio ha imperversato nella fascia jonica, gestendo secondo l’accusa persino appalti pubblici, oltre a tutti gli affari economicamente più remunerativi, con l’arma dell’estorsione. Poi c’erano le attività “classiche” del traffico di droga e armi, in stretta correlazione con i gruppi criminali pugliesi e calabresi, rispetto ai quali, come sostenuto dall’Antimafia lucana, il clan metapontino riusciva ad avere un rapporto di parità e rispetto.

Nel gruppo criminale è finita anche l’insospettabile imprenditrice di Pisticci, Maria Montano, che avrebbe rappresentato la testa di ponte per l’ingresso del clan nell’affare della ricostruzione post-terremoto in Abruzzo. Il tutto grazie a un subappalto, destinato alla sua ditta, per la fornitura di caldaie all’impresa di un noto costruttore, sempre di Pisticci. Costruttore finito sotto estorsione del clan, che per gli inquirenti sarebbe stato “agganciato” da un’altra affiliata, Loredana Tauriello, con cui aveva allacciato una relazione sentimentale.

Per Tauriello era stata chiesta la condanna a 9 anni di reclusione, ma ne ha avuti 6. Tra le accuse si parla di vari episodi di estorsione ai danni dei gestori di locali notturni di Policoro e Nova Siri, a cui sarebbero stati imposti i servizi della ditta del Materano “Melodia” e del concorrente Nicoletti. Schettino e Porcelli erano accusati anche del tentato omicidio, ad agosto del 2013, del tursitano Rocco Russo considerato il capo di un’organizzazione criminale contrapposta nel «controllo del territorio».

Oltre che dell’estorsione ai danni dell’imprenditore al lavoro sui cantieri della ricostruzione in Abruzzo, che avrebbe comunque pagato 20mila euro dietro la minaccia di incendi dei suoi capannoni e «attentati dinamitardi» sui cantieri, e ritirato la querela sporta contro Lopatriello e Di Domenico, che lo avrebbero aggredito per tenerlo «in un continuo e costante stato di sottomissione». In totale gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Potenza avevano individuato una decina di imprenditori vittime di estorsioni, intimidazioni con strani altarini allestiti nottetempo vicino a cantieri e capannoni, e aggressioni da parte di Schettino e soci. Si è costituito il solo Comune di Scanzano, in seguito commissariato proprio per presunte infiltrazioni del clan.

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