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Susanna Ditaranto e Vincenzo Porcelli

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BERNALDA (MATERA) – «DOPO avermi fermato a un posto di blocco mi chiede dove stessi andando, e alla mia risposta vaga aggiunse di non andare dove stavo andando “perché ti arresteranno”».

Così Vincenzo Porcelli, 49enne di Bernalda, ha raccontato agli inquirenti dell’Antimafia lucana il suo primo contatto col carabiniere Michele Fico, arrestato per corruzione in atti giudiziari, rivelazione di segreto e ricettazione.

«Subito dopo mi diede appuntamento alla sera, verso le 21, presso l’Hotel Jonico sulla statale 106 dicendo “portati qualcosa”, facendomi chiaramente capire con quella frase che per l’informazione che mi aveva dato pretendeva dei soldi in cambio».

Il racconto di Porcelli prosegue col resoconto di quel primo incontro.
«Mi disse che ero indagato nell’ambito di un procedimento penale (…) In quell’occasione, dopo aver consegnato a Fico la somma di 3mila euro lo stesso mi disse che si sarebbe fatto carico della mia protezione in cambio della somma di 300 euro a settimana, oltre a degli extra che variavano dai mille ai 3mila euro in regione dell’importanza delle informazioni che mi forniva».

Il carabiniere avrebbe motivato la sua necessità di denaro con le precarie condizioni di salute di un familiare, che lo avrebbero costretto a sostenere una serie di spese.

Stretto l’accordo, quindi, i due si sarebbero organizzati per comunicare con dei vecchi telefonini a tastiera e delle schede sim che venivano sostituite dopo poche settimane. Intestate sempre a prestanome.

«I messaggi che mi mandava per avvisarmi che in paese si effettuavano dei controlli da parte delle forze dell’ordine erano così – ha spiegato ancora Porcelli agli inquirenti -: “gente in giro”, quando si trattava dei carabinieri; “gente gente in giro”, era polizia di Stato; “gente, gente, gente”, quando si trattava della Guardia di finanza in borghese. Quando era tutto tranquillo mi scriveva: “da noi tt ok”. Quando ci dovevano essere controlli da parte delle unità cinofile mi scriveva: “animali in giro”. (…) Quando si dovevano effettuare delle perquisizioni nel dubbio mi scriveva: “regalo”. In modo che se avevo qualcosa a casa me ne sbarazzavo. Quando si facevano dei blitz sempre nel dubbio se era a me o altri, scriveva: “auguri”. In questi casi non sapendo se era per me, me ne andavo a dormire altrove».

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