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MATERA – Ha ripercorso con dolore e lucidità, l’agonia e gli ultimi drammatici giorni di vita di Cristina De Luca, la 56enne morta a Policoro nel 2016, in seguito alle complicazioni dell’impianto di un palloncino gastrico, avvenuto nella clinica privata “Paideia” di Roma.
Così ieri mattina, Giuseppe Valicenti, medico condotto e marito della vittima, proprio nel giorno del quinto anniversario della morte, ha testimoniato davanti al giudice Danilo Staffieri del tribunale di Matera, fornendo anche tutti i chiarimenti chiesti dai legali degli imputati: il professor Alfredo Genco, luminare noto in tutta Europa per l’impianto di palloncini gastrici nella sua clinica; il chirurgo Marco Settimelli dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Policoro e il radiologo Nicola Aiello dello stesso nosocomio.
Genco è accusato di condotte “commissive”, mentre i due medici lucani “omissive”, per le presunte inadempienze in fase di soccorso, a seguito del forte malessere manifestato dalla donna, nelle ore successive alla dimissione dalla clinica con il rientro a Policoro.
Il racconto di Valicenti, difeso dall’avvocato Emilio Nicola Buccico, è stato interrotto solo dalle domande del pm Di Palo, partendo dall’impianto del primo palloncino gastrico, con un intervento ben riuscito e il dimagrimento della paziente, che aveva bisogno di perdere peso per problemi di salute. Valicenti ha ripercorso tutte le fasi, fino al secondo intervento: le 60 drammatiche ore di complicanze, la corsa in ospedale a Policoro e la morte di Cristina, tra atroci dolori e ore di vomito quasi continuo. Il medico legale che eseguì la prima perizia, il professor Francesco Introna del policlinico di Bari, parlò di una “complicanza eccezionale ed imprevedibile”. Una conclusione che fa indignare Valicenti, a cui qualcuno vorrebbe addirittura addossare qualche responsabilità, per non aver saputo, da medico, come soccorrere la moglie. Accuse indegne, secondo il professionista policorese, che si era affidato a un luminare di fama internazionale prima (fiducioso anche dopo la buona riuscita del primo intervento), e poi a qualificati medici del Pronto soccorso di Policoro nella fase critica.
Evidentemente qualcosa non ha funzionato nell’intervento, è la tesi della parte lesa, a cui potrebbe essere seguita una catena di errori di superficialità e negligenza. Cristina era stata dimessa quasi subito dalla clinica, ma già durante il viaggio a Policoro aveva accusato malessere e vomito. Tutto prontamente riferito dal marito a Genco, che parlava di “normale decorso”. Invece di normale probabilmente non c’era proprio nulla, visto che dopo 60 ore di dolori e vomito, senza poter mangiare e bere con un ricovero d’urgenza a Policoro, la donna è deceduta nella notte tra il 26 e 27 settembre 2016. Il giorno dopo, Genco avrebbe dovuto operarla per estrarre il palloncino gastrico, Valicenti oggi chiede solo giustizia, dopo una prima archiviazione del procedimento. La chiede per la moglie e per i suoi due figli, ma anche per sè stesso e perché questi episodi non accadano più a nessuno. Lui, come ha ribadito ieri, si è affidato a colleghi medici più esperti di lui, dall’intervento al soccorso successivo, eseguendo alla lettera tutto ciò che gli è stato detto durante quelle drammatiche ore. La sua unica colpa, probabilmente, è stata proprio questa fiducia nella medicina, sua ragione di vita, dimenticando che dietro la scienza ci sono sempre uomini, che come tali sono fallibili. Il processo riprende il 22 novembre, con l’escussione del dottor Carlo Strippoli, teste del pm e consulente della parte lesa, che con la sua relazione dettagliata ha scongiurato l’archiviazione.
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