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MATERA – Con delibera di Giunta dello scorso 18 dicembre e un impegno di spesa da ben 10mila euro, il Comune di Matera ha conferito all’avvocato barese Domenico Garofalo, l’incarico di recuperare i crediti vantati dall’ente nei confronti dell’ex comandante della Polizia locale, Franco Pepe. Un contenzioso che nasce dal procedimento, avviato davanti al giudice del lavoro, in cui Pepe contestava la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, scaturita da un’altra vicenda penale.

Un contenzioso che si trascina ormai da otto anni, ovvero da quando Pepe fu licenziato per giusta causa, in seguito all’avvio della prima indagine a suo carico nel gennaio 2012 per cinque capi di imputazione, riferiti ad altrettanti episodi delittuosi, come concussione tentata e consumata e abuso d’ufficio, anche in concorso con altri. Per questa vicenda, Pepe fu anche arrestato e posto ai domiciliari (già in quell’occasione fu sospeso obbligatoriamente dal servizio e da tutti gli incarichi, senza retribuzione, per tutta la durata della misura cautelare).

Un anno dopo, nell’aprile del 2013, il Comune intimò al dirigente il licenziamento per giusta causa, che a novembre dello stesso anno impugnò. In quell’occasione, Pepe chiese al giudice in via preliminare, di accertare e dichiarare la prosecuzione del rapporto di lavoro sin dal 6 novembre 2012 ed in via principale, di accertare e dichiarare l’illegittimità, nullità, inefficacia del provvedimento disciplinare del licenziamento, “e per l’effetto di condannare l’amministrazione pubblica alla sua reintegrazione nella medesima posizione di lavoro precedentemente occupata, comandante della Polizia municipale, ovvero in altra posizione comunque come dirigente a tempo indeterminato (…); comunque di condannare il Comune a corrispondergli, “anche a titolo risarcitorio, il trattamento retributivo e previdenziale per tutto il periodo dal licenziamento all’effettiva reintegrazione”.

A dicembre del 2012, la Guardia di finanza notiziò il Comune circa ulteriori imputazioni di reato, mosse contro Pepe, ovvero falso ideologico e corruzione. In verità, dopo il primo licenziamento, Pepe fu destinatario di un altro provvedimento analogo, che ha contestato ritenendolo “illegittimo, ritorsivo e discriminatorio -si legge nella ricostruzione fatta dal giudice- perché era stato comminato quando il rapporto di lavoro era ormai cessato; si fondava sulle stesse ragioni poste a base del primo e non su fatti diversi e nuovi”.

Ma già il 7 settembre 2011, Pepe contestò davanti al giudice del lavoro, la legittimità del provvedimento disciplinare della sospensione dal servizio, chiedendo che l’ente fosse condannato al risarcimento dei danni patrimoniali, morali ed esistenziali, oltre alle spese di lite. Costituitosi in giudizio, il Comune contestò punto per punto le avverse deduzioni, ribadendo la legittimità e correttezza del provvedimento di sospensione e chiedendo il rigetto del ricorso. Nel 2019, il giudice ha condannato il ricorrente a restituire al Comune, la somma netta residua percepita in eccesso a titolo di retribuzione di posizione, quantificata in 59.768,38 euro, oltre interessi legali dal 4 febbraio 2010 fino all’effettivo pagamento. Pepe ha proposto ricorso in appello, che è stato rigettato, con la condanna al pagamento di 6.600 euro di spese legali. Quindi, Pepe deve pagare al Comune 64.768,38 euro, nonché le spese legali pari a 6.615 euro, oltre rimborso forfettario al 15%, ma per ottenere ciò il Comune dovrà spendere 10mila euro di avvocato, avendo dovuto rivolgersi a “legale di alta specializzazione nelle materie oggetto del ricorso”. Al danno scaturito da 9 anni di contenzioso, si è aggiunta la beffa di un salasso che copre il 15% della cifra da recuperare.

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