Anna Rosa Fontana
5 minuti per la letturaMATERA – La famiglia di Anna Rosa Fontana, la donna materana uccisa a coltellate dal convivente dopo un’escalation di violenze, si è rivolta al giudice del Tribunale civile di Potenza, per chiedere al ministero degli Interni un risarcimento del danno derivante dalla morte della donna, stimato in complessivi 13 milioni 276.310, 42 euro. Al centro del caso c’è la condotta giudicata omissiva delle forze dell’ordine, in particolare di Polizia e carabinieri, rispetto a quanto avvenuto il giorno dell’omicidio di Anna Rosa. Questa mattina, davanti al tribunale di Potenza, ci sarà la prima udienza, l’avvocato Maria Pistone in rappresentanza della famiglia Fontana e l’avvocatura dello Stato per il Ministero degli Interni.
Proviamo a ricostruire la vicenda e le preoccupazioni espresse attraverso l’atto di citazione dalla famiglia Fontana, rispetto a quanto avvenuto nella giornata in cui Anna Rosa è stata poi uccisa.
«Per noi questo è un omicidio che, senza timore di smentita, poteva essere evitato» racconta l’avvocato Pistone nella sua ricostruzione.
«Tre telefonate inascoltate, in una si sente: “Dille di non chiamare più”». Oggi prima udienza al Tribunale Civile di Potenza
La richiesta di risarcimento si basa essenzialmente sul mancato intervento delle forze dell’ordine, a seguito di alcune telefonate, tre in totale una alla Polizia e due ai carabinieri, fatte da Anna Rosa il giorno dell’omicidio, in cui segnalava di essere seguita e di essere stata chiamata da Chieco, l’ex compagno che poi l’avrebbe, da lì a qualche ora uccisa. In più viene ricordata l’esistenza di un’ordinanza che impediva a Chieco di avvicinarsi alla donna e su cui andava verificata l’osservanza da parte dei carabinieri. «In quelle telefonate si sente la voce di Anna Rosa preoccupata che chiede aiuto, dice di essere stata seguita prima e di essere stata chiamata poi da Chieco ma la Polizia risponde che non è di sua competenza e vanno chiamati i carabinieri. Questi ultimi, la prima volta le chiedono di avvicinarsi alla caserma e dicono di aver bisogno di cogliere l’uomo in flagranza», racconta l’avvocato Pistone, «poi nella seconda telefonata durante il colloquio di Anna Rosa con un carabiniere si sente una voce in sottofondo che dice: “Dille di non chiamare più..”. Per noi si tratta di un comportamento omissivo delle forze dell’ordine, che non intervengono per impedire l’evento, e da qui nasce la responsabilità che ravvisiamo, evidente, e che ci porta a chiedere oggi un risarcimento» continua Maria Pistone, che ci fa ascoltare le registrazioni delle telefonate, in cui Anna Rosa spiega di essere nei pressi del cimitero, di vedersi seguita, di volere aiuto e nel secondo caso si ascoltano quelle parole “Dille di non chiamare più..”. Pistone rappresenta in questo procedimento tutta la famiglia Fontana: Vito, il padre di Anna Rosa e Camilla Schiuma la madre, i figli Antonio, Vito avuti dal primo marito e la figlia avuta da Chieco, ancora minorenne.
L’avvocato Pistone: «Eppure i carabinieri dovevano vigilare sul rispetto di un’ordinanza di restrizione»
«Bisogna ricostruire perbene la vicenda, ricordando che solo 40 giorni prima il Gip Bia aveva emesso un’ordinanza, per impedire a Chieco di avvicinarsi ad Anna Rosa o alla madre e alle loro abitazioni. Non poteva essere a meno di 300 metri, nè contattarle. Questo perchè, ai primi di ottobre, per una notte intera Anna Rosa era stata sequestrata e quasi gettata in un burrone, ci sono i messaggi di paura che aveva mandato alla madre. In virtù della reiterazione e gravità degli episodi, del precedente tentato omicidio del luglio 2005, per cui Chieco era stato condannato la decisione del Gip Bia era stata chiara, ravvisando lo stalking e ricorrendo alle misure interdittive con un’ordinanza. E i carabinieri venivano indicati come coloro che dovevano controllare e verificare che l’ordinanza venisse eseguita e rispettata. In virtù di questa situazione, quelle telefonate costituiscono un grido di allarme esplicito, Anna Rosa dice di avere Chieco a circa 30 metri, meno dei 300 previsti, dice di sentirsi in pericolo, chiede di intervenire. Sarebbe bastato prelevarla e porla in sicurezza, invece quelle telefonate non hanno avuto un seguito e dopo solo tre ore Chieco ha trovato Anna Rosa e l’ha colpita con 8 coltellate».
La Polizia non interviene perché era territorio coperto dai carabinieri
L’avvocato Pistone è chiaro: «Anna Rosa chiama la prima volta alle 17,45 e l’ultima alle 18.10 identificandosi e riferendo che c’è ordinanza restrittiva nei confronti di Chieco».
«Il poliziotto visualizzava l’ordinanza restrittiva, ma diceva che il posto in cui si trovava la donna era di competenza dei carabinieri. Anna Rosa chiamava i carabinieri e qui le dicevano che doveva andare in caserma o che dovevano prenderlo in flagranza.
Nell’ultimo caso alle 18.10 la seconda telefonata ai carabinieri che dicevano seccati: “dille di non chiamare più”».
Per l’avvocato della famiglia Fontana sussisterebbe «una responsabilità omissiva delle forze dell’ordine, che si sono scientemente e volontariamente sottratte al loro obbligo di prestare soccorso alla vittima e di adempiere l’obbligo specifico emesso dal Gip in un’ordinanza che imponeva di vigilare sull’osservanza del provvedimento».
Toccherà quest’oggi e nelle udienze successive all’Avvocatura dello Stato in difesa del Ministero degli Interni, provare a controbattere alle tesi messe in campo con dovizia di elementi dall’avvocato Pistone e dalla famiglia Fontana. Di certo, i fatti tragici e certamente condizionanti che hanno riguardato la morte di Anna Rosa Fontana hanno avuto elementi che lasciano aperti una serie di interrogativi, che vengono esplicitati oggi con la richiesta di risarcimento della famiglia e la sottolineatura di un’accusa di «comportamento omissivo» rivolta alle forze dell’ordine.
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