Due dei fermati: Saverio Cotugno e Salvatore Scarcia
4 minuti per la letturaBlitz antimafia in Basilicata, 21 fermi tra appartenenti ai clan del litorale lucano. Chiedevano il pizzo per pescare tra Policoro e Scanzano Jonico
POTENZA – Per pescare nel mare tra Policoro e Scanzano Jonico le «paranze» dovevano versare una «parte» a loro: in soldi o in pescato. E da loro dovevano rifornirsi di pesce anche chioschi e ristoranti della zona, per non avere problemi. Come tanti altri imprenditori, attivi in svariati settori, costretti a pagare in moneta sonante.
Definita una «signoria» marittima quella presa di mira, ieri (2 ottobre 2024), dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza. Con l’esecuzione di 21 decreti di fermo nei confronti di altrettanti presunti componenti della «confederazione mafiosa». Costituita in anni recenti nelle due cittadine del litorale ionico lucano. Tra il ricostituito clan degli Scarcia di Policoro, già colpito da una condanna definitiva per mafia, e i cugini tarantini che ancora portano il nome originario della famiglia, Scarci. A cui un impiegato dell’anagrafe di Policoro avrebbe aggiunto per errore una “a”. Il tutto in seguito al trasferimento a Scanzano Jonico di alcuni di loro «al fine di defilarsi dal controllo dello Stato, dopo le condanne ricevute». Sempre per mafia.
Illustrati ieri mattina i dettagli dell’operazione soprannominata “Mare nostrum”, dal procuratore distrettuale antimafia Francesco Curcio. Ha elogiato il lavoro degli investigatori di Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia.
E’ Curcio a sottolineare la forza economica della «confederazione». Durante le perquisizioni effettuate a casa di alcuni degli indagati infatti, sequestrati 220mila euro in contanti e buoni fruttiferi per 40mila euro. Quindi ha spiegato che a partire dal periodo 2018-2019il gruppo avrebbe spadroneggiato sul mare. Operando attraverso la cooperativa di pescatori Nereide, e sul mercato del pescato nei ristoranti, attraverso alcuni distributori associati. E ottenendo ingenti ricavi, con intimidazioni, minacce ed estorsioni.
Di qui l’accusa di mafia ipotizzata nei confronti dei 21 fermati, e di altri 25 indagati a piede libero. Più altri 81 «reati fine» addebitati ai componenti del «confederazione». Come la resistenza a pubblico ufficiale aggravata che è contestata a Daniele Scarcia, per aver provato a distogliere un carabiniere forestale dai controlli su una struttura «adibita a porto, luogo di sbarco e riparo di pesca» realizzata dal Comune di Policoro con fondi europei di cui la sua famiglia si era impossessata. Allacciandola abusivamente anche alla rete elettrica e alla rete idrica comunale.
Poi ci sono 2 contestazioni collaterali.
La prima alla presunta vittima di un’estorsione, che dopo essere stata sentita dagli investigatori avrebbe rivelato ai suoi aguzzini l’esistenza di un’indagine nei loro confronti. E la seconda al sindaco di Scanzano Jonico, l’ex consigliere regionale della Lega, Pasquale Cariello, per un «inchino» con la barca che trasportava la statua della Madonna nelle tradizionale processione ferragostana. Proprio davanti al lido confiscato anni fa agli Scarcia, dove ancora oggi sosterebbero, «senza autorizzazione alcuna», le barche «della famiglia», e a fine dicembre del 2023 è stato intercettato un carico di 13 chili di esplosivo ad alto potenziale destinato, per scopi tutti da chiarire, ad Andrea Scarci. Di qui l’accusa di turbativa di manifestazione religiosa aggravata dall’agevolazione a un clan mafioso.
Le indagini, stando a quanto reso noto dal procuratore, si sono avvalse perlopiù di attività di monitoraggio e intercettazione.
Sentiti, però, anche diversi pentiti e persone informate sui fatti. Inoltre Salvatore Scarcia è accusato in concorso con un’avvocata di Taranto, Rosaria Trani, di induzione a rendere dichiarazioni mendaci per aver costretto un suo ex fedelissimo Francesco Fiore Comisso, a ritrattare le rivelazioni ai pm dell’Antimafia di Potenza dopo un’iniziale decisione di collaborare con la giustizia. Induzione a rendere dichiarazioni mendaci e violenza privata perché all’epoca, agli inizi del 2020 avrebbe costretto Comisso a restare chiuso in un’abitazione messa a disposizione da un altro presunto sodale. Sempre a Policoro.
«Il litorale jonico era considerata dal sodalizio come la piscina di casa loro. L’attività di pesca era consentita solo pagando, con il loro permesso, altrimenti interventi violenti e ritorsioni molto gravi». Così ancora il procuratore Curcio. «Abbiamo ritenuto che siano stati acquisiti indizi di reato che consentono di configurare l’esistenza di un’associazione mafiosa composta dalle famiglie Scarcia e Scarci che opera sul litorale jonico lucano e che, con riferimento a tutto lo specchio d’acqua che si trova davanti al litorale, esercita un monopolio della pesca impedendo a chi non è autorizzato la libera attività imprenditoriale, pretendendo delle tangenti, delle somme di denaro per poter pescare e ritenendo di poter gestire anche il successivo commercio in forma monopolistica».
Curcio si è soffermato anche sulla «capacità di intimidazione» del gruppo che sarebbe «riconosciuta e diffusa sul territorio tanto che quasi automaticamente il pescatore che non appartiene al gruppo si rivolge all’associazione per poter svolgere quello che è un suo diritto». Un condizionamento definito «ambientale».
Il procuratore, in via di trasferimento a Catania, ha parlato di «un clima di intimidazione e omertà molto diffusi», tanto che «in alcuni casi si è fatto ricorso a minacce e addirittura all’uso di mezzi coercitivi e violenze nei confronti di chi non voleva osservare le regole dell’organizzazione».
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