Il furgone di CiBus in giro per Matera
13 minuti per la letturaPOTENZA – Matera sedotta e abbandonata. Sedotta dalle promesse del lancio a livello mondiale come Capitale europea della Cultura 2019. E poi abbandonata dal turismo proprio sul più bello – quando le promesse avrebbero preso forma – a causa della pandemia che ha congelato i flussi di viaggiatori in tutto il pianeta.
Nella terza e ultima puntata dell’inchiesta sulla “brigata dei volontari” che ha sostenuto le famiglie lucane nella crisi economica legata al coronavirus, la situazione di Matera presenta questo aspetto particolare.
Lo si spiega nel report “Zetema. Dossier sulla vulnerabilità alla povertà in Basilicata 2020” realizzato dalla Delegazione regionale della Caritas. Nel capitolo “La povertà ai tempi del Covid” si legge: «In realtà turistiche come Matera, che ha vissuto l’occasione di Capitale Europea delle Cultura 2019, il Covid ha rappresentato l’altra faccia della medaglia di un momento socioeconomico favorevole. Sono un esempio i bed & breakfast, le aziende di ristorazione e di cibi da asporto, bar e altre attività commerciali e artigiane. Queste sono sorte velocemente per far fronte all’esplosione turistica degli ultimi due anni e che con la quarantena si sono viste precipitare nel baratro di spese fisse e situazioni debitorie senza la possibilità di ottenere introiti, con una protezione sociale carente perché la cassa integrazione non è stata tempestiva così come altre misure da parte del governo.
Tutti coloro che lavoravano nell’indotto del turismo hanno visto licenziamenti, cassa integrazione o chiusura delle attività, lavori occasionali non confermati. Ciò ha portato a un aumento della vulnerabilità alla povertà perché spesso fuori dal circuito degli ammortizzatori sociali. Poi, le famiglie più colpite sono state i nuclei monoreddito (soprattutto di lavori stagionali o “a nero”). A ciò va aggiunto che il mancato rinnovo di contratti (soprattutto per contratti in scadenza, stagionali e occasionali) non ha permesso la fruizione della cassa integrazione (incassata con eccessivo ritardo) e altre tipologie di sussidi economici».
In altre parole: sul mare dell’economia all’orizzonte c’era il benessere e la prosperità, per raggiungerlo molti hanno comprato una barca e poi, al momento di sbarcare, ad accogliere i naviganti non c’è l’Eldorado ma un deserto stepposo. E, letteralmente, una barca di debiti sulle spalle.
LA CARITAS DIOCESANA
L’analisi diventa più dettagliata nel “Flash Report 2020 sulla povertà” della Caritas diocesana in cui è scritto, tra l’altro: «L’impoverimento ha interessato in modo massiccio quella fetta di popolazione che in passato veniva definita “classe media”. Il precariato economico o l’assenza di un lavoro è un fattore determinante. La crisi causata dal Covid ha fatto emergere la punta di un iceberg non ancora definito, che abbiamo denominato con “nuovissimi poveri”: il fermo sociale ed economico non sono stati solo sinonimo di ristrettezza economica ma hanno posto in evidenza i pregi e i difetti di un sistema cronicizzato sull’individualismo. Per i nuovi poveri non è necessitato solo il “pacco” ma l’inizio di un percorso più pedagogico. Il dato culturale che maggiormente emerge è che la vulnerabilità alla povertà assume due importanti variabili: presenza/assenza della rete sociale di protezione e tempi di assenza/inadeguatezza di introiti economici».
Tante le iniziative messe in campo dalla Caritas della diocesi di Matera-Irsina: l’ascolto telefonico con cui l’associazione, per le note difficoltà, ha rivisto la classica modalità “in presenza”: «La nuova modalità di ascolto ha permesso di raggiungere le nuove povertà con colloqui meno inibiti»; la casa di accoglienza “Annacarla”, struttura inaugurata in un’ala dell’immobile che ospita il Villaggio del Fanciullo dei Padri Rogazionisti e destinata a mamme e bambini in difficoltà; la “Casa Betania – Casa della Dignità” inaugurata a Serramarina il 22 gennaio del 2020 per l’accoglienza dei lavoratori extracomunitari impegnati come braccianti nelle campagne del Metapontino: alloggio ma anche contrasto al lavoro nero; l’housing sociale nel Metapontino (due appartamenti subaffittati a prezzi calmierati a 10 persone con contratto di lavoro regolare); l’assegnazione dei buoni-spesa Covid-19 grazie al coinvolgimento da parte del Comune (l’impegno ha riguardato la stipula di una convenzione con i supermercati, il contatto telefonico con oltre 300 famiglie aventi diritto per la scelta del supermercato, la verifica della rendicontazione dei supermercati); l’adeguamento del centro di prima accoglienza notturna maschile “La tenda”: la struttura, che conta 27 posti letto per uomini italiani e stranieri senza fissa dimora, era stata inaugurata nel 2008 come «risposta emergenziale e temporanea alla necessità di un posto letto». Nel 2020 l’apertura diurna straordinaria ha permesso agli ospiti – a cui veniva anche assicurata la consegna dei pasti – di soggiornare durante il lockdown.
Infine, la consueta attività di ricerca e analisi sul territorio per ideare progetti da finanziare con bandi e fondi in fase di avvio nel 2021.
E’ bene, come di consueto, lasciare che parlino i numeri dei 3.935 interventi effettuati nel 2020 da Caritas diocesana e Caritas parrocchiali riportandone l’importo, letteralmente, in soldoni. La somma più consistente riguarda il pagamento di utenze e affitti: oltre 300.000 euro.
Sul Fondo per il contrasto alla povertà educativa ci sono stati 103 interventi per 37.050 euro impegnati (17.050 in più dei 20.000 stanziati inizialmente). Di queste sovvenzioni, 35.200 euro sono serviti all’acquisto di 85 pc e 14 tablet, 1.550 per materiale didattico e 300 per connessioni internet.
Relativamente invece al Fondo di sussidiarietà per la ripartenza, sono pervenute 107 domande: 85 le imprese che hanno usufruito del contributo per un importo di 116.298 euro.
Commenta Anna Maria Cammisa, direttrice della Caritas diocesana: «“È l’ora di una nuova “fantasia della carità”, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione”. Scriveva così papa Giovanni Paolo II, nella Novo Millennio Ineunte. Profuma di fantasia della carità quanto è stato fatto e ancora viene fatto dalla Caritas in questo tempo di pandemia. La pandemia ha sorpreso la comunità ecclesiale e quella civile e così gli aiuti e gli interventi che sembravano temporanei continuano tutt’ora, attraverso processi caratterizzati dalla prossimità e dal coinvolgimento attivo della comunità Novo Millennio Ineunte».
«Di fronte alle nuove povertà provocate dalla crisi – aggiunge – è necessario e importante non farsi scoraggiare e dare vita nuove e coraggiose azioni perché la carità sia generativa di speranza e per discernere prospettive per il futuro, prospettive di Vita nuova. Si tratta di assumere l’atteggiamento dello scriba che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (cfr. Mt 13, 52). È l’atteggiamento della speranza che caratterizzerà il nostro agire qualora il futuro si presenti faticoso e carico di insidie per quanti si troveranno ulteriormente a vivere una condizione di fragilità socio-economica».
LA PROTEZIONE CIVILE
Nelle scorse due puntate abbiamo citato la Protezione civile ma è giusto rendere merito in maniera più esplicita al suo impegno in periodo di pandemia.
Non solo relativamente al suo specifico, ossia la difesa della vita e degli insediamenti da pericoli e danni, ma anche nel sostegno a chi ha subito dalla pandemia batoste economiche.
Come si sa, c’è la Protezione civile istituzionale – quella che conta un dipartimento a livello governativo e dei vari enti locali – e poi l’insieme delle tante associazioni di volontariato, su base comunale, provinciale e regionale, che agiscono coordinandosi con le istituzioni.
Ed è proprio a questi gruppi, e ai loro uomini, che va riconosciuta un’azione capillare, continua e spesso coraggiosa. Spesso, là dove le associazioni di volontariato si fermava per diversi motivi, la staffetta dell’intervento sul campo viene passata ai volontari dei vari gruppi di Protezione civile che coprono l’ultimo quarto, quello più difficile.
«Durante il primo lockdown, i nostri volontari sono entrati nel 70 per cento delle case dei materani. C’era bisogno di tutto, non solo dei beni di prima necessità. Abbiamo distribuito abiti, farmaci. E la situazione in città è davvero molto grave»: Paolo Greco, responsabile materano del “Gruppo lucano”, ha iniziato a coordinare le attività a supporto delle famiglie quando l’emergenza era agli albori, verso la fine del febbraio 2020.
Il Gruppo lucano ha due centri di smistamento: la parrocchia di San Rocco e la mensa “Don Giovanni Mele”.
E quest’ultima «è un ottimo punto di osservazione, ci rendiamo conto così di quanto grave sia la situazione: un 30 per cento in più rispetto al passato, con gente che non era mai venuta prima».
Tanta la solidarietà dei materani, molti dei quali privati cittadini. «I Servizi sociali del Comune ci segnalano un problema – dice Greco – e noi interveniamo con consegne continue. Giornalmente abbiamo in giro per Matera tra i 15 e i 20 volontari. E per fortuna sono tanti i volontari delle diverse associazioni che non fanno mancare il loro supporto in questo momento di difficoltà».
IL PROGETTO CIBUS
Omologa dell’associazione “Io Potentino” di Potenza, c’è CiBus a Matera. Gruppo di una quindicina di persone al sesto anno di raccolta delle eccedenze alimentari, insieme a Caritas, volontarie Vincenziane, associazioni laiche, Csv, Volontariato materano. E’ stata ferma un mese quando è cominciata la pandemia, poi hanno ripreso a pieno ritmo.
«Recuperiamo l’invenduto del giorno prima – racconta Pina Suriano – solo fresco, a cui diamo quotidianamente nuova veste e nuovo valore. C’è una cinquantina di esercizi, panifici, bar, fruttivendoli, piatti pronti da asporto. Ciò che non vendono il giorno prima e non venderebbero il giorno dopo lo prendiamo e lo consegniamo alla mensa “Don Giovanni Mele” e alla chiesa di San Rocco: per arrivare alle famiglie (notevolmente aumentate, soprattutto giovani con bambini), che non vanno a mensa per questioni di pudore, distribuiamo attraverso i centri di ascolto parrocchiale».
Le attività sono complesse, a cominciare dall’esigenza di avere cibo sempre nelle condizioni ottimali: «Abbiamo anche un furgone frigo, per evitare sbalzi di temperatura, oltre a contenitori igienici per alimenti».
Nel 2019 l’associazione ha vinto un bando della Regione Basilicata per realizzare un centro in cui anche la cittadinanza possa conferire le eccedenze, con la dispensa per una raccolta e distribuzione più capillare, oltre che struttura per sensibilizzare a evitare sprechi.
«Abbiamo in piedi una convenzione con gli Uepe (Uffici locali per l’esecuzione penale esterna, ndr) con cui fra i volontari inseriamo anche giovani provenienti dal sistema carcerario. Alcuni chiedono di rimanere. Ma ci sono anche padri e madri che, rimasti senza lavoro, piuttosto che non fare niente si danno da fare nella distribuzione e poi trattengono solo quello che serve alla propria famiglia. I nostri volontari sono sempre molto, molto motivati».
E i numeri lo confermano in toto: nel 2020 sono stati recuperati e distribuiti 26.106,81 chilogrammi di cibo che sarebbe finito in pattumiera per un valore di 152.110,54 euro. Si consideri che a marzo 2020 c’era stato un crollo (dai 5.399,45 chilogrammi di febbraio a 889,86) e ad aprile si era arrivati a zero.
Nei primi tre mesi del 2021 sono 5.827,94 kg (e 41.239,36 euro). Fra il 2016 e il 2019 i chilogrammi salvati erano stati 87.306,29 per la notevole somma di 358.846,97 euro.
LA PARROCCHIA DI SAN ROCCO
Don Angelo Raffaele Tataranni è un «giovanotto di 60 anni», come si definisce. E’ il motore per nulla immobile – tutt’altro – da cui derivano le attività della parrocchia di San Rocco a Matera, da cui emana la mensa “Don Giovanni Mele”.
Don Angelo ricorda un «momento drammatico» di blocco e poi l’attività che riprende: «La nostra è un’opera per le famiglie in difficoltà. Ci carichiamo pagamenti di bollette, sostegno agli affitti, pasti da distribuire oltre alla mensa quotidiana che prepara dagli 80 ai 100 pasti, in questo momento solo da asporto».
«Si prende in carico la situazione della famiglia – spiega – si colgono esigenze e bisogni. E’ impegnata una trentina di volontari fra quelli della mensa e quelli dediti all’ascolto o agli indumenti. In mensa ne ruota una decina a turni di tre o quattro che cucinano, preparano, distribuiscono. Ci sono anche ristoratori che, non potendo purtroppo svolgere alcuna attività, hanno dato la disponibilità a cucinare per noi».
Ma per fare tutto ciò, da dove arrivano i fondi? «La mia è la risposta più scontata per un credente», afferma il sacerdote. E intende la Provvidenza.
L’incrollabile fede di don Angelo nella Provvidenza – entità che ritorna spesso nelle sue parole – fa risuonare di echi manzoniani i racconti su ciò che si fa a San Rocco.
La squadra di don Angelo potrebbe essere considerata ancora legata al volontariato, per così dire, “ruspante”. «Non abbiamo mai messo in piedi una onlus (organizzazione di utilità sociale senza scopo di lucro, ndr): la carità si fa con la carità. E vediamo quanto questo ci ripaga. La Provvidenza non ci ha fatto mai mancare nulla».
E dunque, le storie legata alla «tanta, tanta Provvidenza» da cui, dice, arriva tutto il necessario. Ma questo non vuol dire non riconoscere il ruolo dei donatori: «La gente, nel periodo della pandemia, si è impegnata in una gara di solidarietà ammirevole. Durante il lockdown abbiamo potuto sostenere tantissime famiglie con un ammontare di circa 120.000 euro».
Il Covid-19, sottolinea, ha messo in ginocchio tantissime persone, «famiglie che già vivevano fragilità e disagio e che poi hanno incontrato una grande difficoltà a vivere, colpiti direttamente e indirettamente dal Covid. Basti vedere il malloppo di bollette che abbiamo sempre da pagare».
La mensa era inizialmente interna, legata all’ospitalità della parrocchia per chi non aveva un posto in cui dormire: «Abbiamo due case di accoglienza: la “Don Tonino Bello” da 20 posti e un’altra da 15 posti, in cui non si fa alcuna differenza fra italiani e stranieri, come per tutte le nostre attività. Poi c’è un appartamentino che utilizziamo per detenuti che hanno il permesso premio di qualche giorno e non saprebbero dove passarlo, magari insieme ai familiari. L’amministrazione carceraria ci chiede di accoglierli e noi lo facciamo».
E giù gli aneddoti, a cominciare da quello per la mensa che diventa cittadina, aperta anche all’esterno: «Ci chiedevamo come fare per ingrandire la cucina, ci volevano circa 15.000 euro. Faremo un mutuo, ci siamo detti. Nel frattempo, i collaboratori del papa avevano fatto sapere al pontefice attraverso l’Elemosiniere ciò che si fa in mensa. Papa Francesco apprezza molto e ci manda 5.000 euro. Ma non finisce qua: lo dissi durante la messa. Una fabbrica di Matera (il direttore frequenta la parrocchia) acquistò per noi un frigo, un’altra industria il congelatore. Chi ci ha montato la cucina ci ha fatto uno sconto speciale e quasi regalato la cappa. Ora dalla cucina professionale possiamo sfornare 100-200 pasti (ne facciamo dagli 80 ai 100 al giorno). Il giorno della Bruna prepariamo 350-400 pasti che doniamo agli ambulanti, quelli che hanno bancarelle precarie. A Pasqua ne abbiamo prodotto 122. Oggi, 91: abbiamo ricevuto la chiamata di un’altra famiglia che per Covid è bloccata in casa».
Altra esperienza: «Durante la pandemia Rai3 regionale venne a fare un servizio sulla mensa, diffuso poi a livello nazionale. Un sacerdote della diocesi di Bergamo mi scrisse: ho visto quello che fate, mi è piaciuto molto, se mi mandi l’Iban vorrei aiutarti. Per due volte ci ha inviato mille euro. Potrebbe sembrare casuale ma c’è una mano che non fa mai mancare nulla. Chi opera nel bene è sempre con il Signore. Le mani aperte danno, quelle chiuse no».
E una terza vicenda: «Un supermercato oggi ci regala 50 chilogrammi di agnello. Così agisce la Provvidenza. Certo, tanta roba la compriamo: i secondi, la carne. A Pasqua oltre ai pasti abbiamo donato un pacco completo per 500 famiglie con carne di pollo, già sotto vuoto, imbustata. Ci sono tanti musulmani, abbiamo questo tipo di attenzione».
Infine, una storia da lontano: «Un po’ di anni fa ero rettore in un’altra chiesa. Anche lì ospitavo persone. C’era un giovane albanese. La notte teneva sempre la stufa elettrica accesa: mi arrivò una bolletta di quasi tre milioni di lire. La domenica dissi in chiesa: sapete quello che si fa qui, chiedo un aiuto. Riuscii a raccogliere offerte per un milione e mezzo di lire. Ero già deciso a mettere io l’altro milione e mezzo. Mentre stavo per andare a letto – mancava un quarto d’ora a mezzanotte – suona il citofono: siamo tizio e caio, mi dicono, dovremmo consegnarti alcune cose. Erano tre coppie andate a passeggiare nel corso di domenica. Incontrate altre coppie, avevano raccontato cosa avevo detto a messa. Siccome il giorno del matrimonio non hai chiesto nulla, mi dissero, vogliamo farti un regalo. Con quello che mi donarono non solo sono riuscito a pagare tutto, ma mi sono rimaste 250.000 lire».
È evidente l’atto di generosità squisitamente umano, ma don Angelo conclude con una sola parola: «Provvidenza».
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