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FERRANDINA – Era il 18 novembre del 2015, quasi sei anni fa, quando un tecnico del Consorzio industriale di Matera, segnalò per la prima volta la presenza di strani fusti metallici, accatastati all’esterno del capannone dell’ex Liquichimica a Macchia di Ferrandina. Il sito, dopo la Liquichimica, era stato utilizzato dall’azienda Mythen che produceva biodiesel, chiusa per fallimento nel 2014.

Tutti i fusti contenevano sostanze chimiche, resine e altro, alcuni potenzialmente inquinanti e nocive. Si arrivò, così, al secondo sopralluogo da parte del responsabile della vigilanza sul patrimonio del Consorzio, che il 16 gennaio 2018, quindi più di tre anni dopo, tornò sul posto trovando una situazione disastrosa: i fusti erano molti di più, accatastati alla rinfusa; molti di essi si erano rovesciati, riversando il loro contenuto potenzialmente nocivo. Un disastro, insomma, sul quale però non si poteva più far finta di nulla.

Il curatore fallimentare della ex Mythen, l’avvocato barese Eustachio Cardinale, segnalò al Consorzio industriale di Matera, in quanto ente prossimo all’area dello stabilimento, un tempo eccellenza verde della Valle, la presenza dei fusti metallici nell’area di pertinenza alla fabbrica, sollecitando l’intervento per eventuale bonifica, dopo la segnalazione dei vigili del fuoco sulla messa in sicurezza.

C’erano anche fusti che non appartenevano a Mythen, ma erano pesante eredità delle produzioni passate, dall’Irs alla Pozzi. Contenevano per lo più resine industriali e materiali inerti, che furono recuperate e messi al riparo nel capannone, dopo tutte le verifiche del caso, con l’ausilio dell’Arpab. C’erano anche dei serbatoi, anch’essi messi in sicurezza con la bonifica di un’area ridotta dove c’era stato lo sversamento, per la rottura di un contenitore.
Quelli erano prodotti della Mythen: acidi grassi di origine totalmente vegetale, semilavorati e residui di produzione.

Tutte sostanze a bassa tossicità, perchè di origine naturale, e addirittura rivendibili ad impianti similari a Mythen, oppure come biomassa per la produzione di energia elettrica. Il curatore ha cercato così di ottimizzare i costi della bonifica, a beneficio dei creditori, ex dipendenti in primis. Poi c’erano sacchi bianchi: anche quelli sono stati messi in sicurezza ed appartengono a Mythen; contengono solfato di sodio, molto utile in agricoltura come concime, e glicerina, un residuo di produzione di origine naturale.

Quindi anche in questo caso, erano a bassissimo impatto ambientale. Ciò che non si è capito in questi ultimi anni è che, al netto di eventuali situazioni passate di inquinamento, la Mythen non è mai stata responsabile della compromissione ambientale dalla falda in Valbasento, visto che le sostanze ritrovate esulano dai processi lavorativi del biodiesel, il quale produce residui a bassissimo impatto ambientale. Sia i fusti che non appartenevano a Mythen, che i sacchi oggi bonificati e prima custoditi in luoghi sicuri e senza alcun rischio, non ci sono più.


La bonifica è stata finanziata da “Green switch Srl”, società italo-canadese che nel 2017 aveva presentato un progetto per la produzione di materiale plastico di derivazione bio, ovvero totalmente naturale, senza trattamenti chimici. Progetto, finanziato in parte dalla Regione con oltre 5 milioni di euro, come contributo in conto capitale. Una buona notizia sotto il profilo ambientale, meno sotto quello del recupero delle passività dell’ex Mythen, in primis gli operai.

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