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GLI ultimi dati dell’Istat sulla povertà in Basilicata che questo giornale ha giustamente evidenziato danno plasticità ad un contesto sociale molto degradato che condizione di malessere di molte famiglie lucane, in termini di povertà assoluta e relativa e di prossimità alla povertà che ormai investe circa il 50% della popolazione regionale e finisce per interessare larga parte del ceto medio e della vasta platea dei disoccupati.
Il clima di sfiducia nelle istituzioni ha raggiunto livelli esponenziali straordinari, davanti ad una classe politico-burocratica che rappresenta meno di 1/4 della popolazione composta da politici, vertici sindacali e professionali, funzionari pubblici di medio ed alto livello (si fa per dire), ripiegata a difendere i propri privilegi. Fare politica è considerato un affare: i consiglieri regionali prendono emolumenti che difficilmente potrebbero riscuotere nel mercato del lavoro privato.
L’ineffabile ex sindaco del comune di Potenza, Vito Santarsiero, ha chiarito di recente la sua idea della politica: nei panni del presidente della Giunta regionale sarebbe disposto a dare anche il doppio di quanto richiesto dall’attuale sindaco De Luca (tanto i soldi non sono suoi), purché si torni al voto per rimettere le mani sulla città, in attesa del prossimo dissesto finanziario. L’ipotesi non è peregrina: una idea del genere sta prendendo piede. Circola già come candidato sindaco qualche nome tra i vari “ragazzotti” che compongono la corte del presidente Pittella per conquistare il centro della politica regionale da parte dei renziani, liquidando pressoché definitivamente la sinistra del Pd lucano.
Il trasformismo è pratica costante, molti micro notabili sono saliti sul treno dei pendolari della politica, a cominciare proprio dai maggiori responsabili del saccheggio di risorse pubbliche di questo inizio del secolo e cioè De Filippo nella qualità di presidente della Giunta regionale e Santarsiero come sindaco del capoluogo lucano.
Siamo nella fase peggiore della storia recente della regione ed abbiamo un partito egemone, il Pd, che è del tutto inadeguato ad affrontare la crisi epocale in atto.
Non saprei essere più incisivo del deputato Pd Enzo Folino quando osserva che il Pd in Basilicata è un guscio vuoto, consumato dagli scontri interni, che c’è uno stallo che non fa bene alla Basilicata e contemporaneamente una invasività gestionale della politica, che il gruppo dirigente si è consumato sul potere e non su una visione, e che tutto questo marasma non produce un’idea di guida della Basilicata, come nel caso di Potenza, dove il Pd agisce senza né capo né coda.
In realtà, tutte le istituzioni regionali (Giunta e consiglio regionale, il sistema delle autonomie locali, i sindacati sia dei lavoratori che delle imprese) sono incapaci di affrontare la complessità dei problemi socio-economici regionali.
Il risultato è che abbiamo un sistema malato, con difese immunitarie ridotte al lumicino, che difetta di anticorpi.
Povertà, disoccupazione al 25% della forza lavoro, emigrazione, assistiti altro non sono che enormi sacrifici che le famiglie ed i giovani in particolare fanno da una vita. Altro che Grecia.
Tali fattori di debolezza sistemica sono il risultato dell’opera delle istituzioni parassitarie, non certo la conseguenza di un sistema cinico e baro, istituzioni che hanno scaricato sulle nuove generazioni tutte le loro inefficienze, i loro fallimenti, i loro tornaconti.
Il dato strutturale della spesa pubblica è che mediamente stipendi, salari e sussidi erogati a piene mani ai dipendenti regionali, ai precari-stabili della forestazione, ai lavoratori in mobilità e così via sono sganciati dalla produttività del lavoro prestata. Gli ormai circa 30mila soggetti che orbitano intorno al bilancio regionale e del sistema degli enti locali compongono la platea dei rassegnati-reclamanti, sui quali si sono costruiti benefici, fortune elettorali e consenso a favore delle oligarchie istituzionali, ponendo peraltro problemi erariali di non poco conto.
Von Hayek direbbe che c’è un problema di etica del sistema grande come una montagna, ma la classe dirigente non sa, non vuole vederlo. Ci siamo giocati un terzo della consiliatura senza alcun risultato apprezzabile: gli indici socio-economici sono profondamente negativi, il piano del lavoro in mente dei, così come la valutazione di quanto speso finora, la organizzazione del personale conserva tutte le inefficienze del passato.
Pittella una volta tanto l’ha azzeccata, quando ha rilevato che stiamo morendo, anche gli orologi scassati due volte al giorno rilevano l’ora esatta. Che abbia fatto per curare il malato terminale resta un mistero, nella migliore delle ipotesi ha somministrato medicine con effetto placebo.
Pensare che l’attuale classe politica possa finalmente darsi una visione del futuro della regione, traducendola in progetto, strategia, organizzazione, è pura utopia.
Trasformare parte significativa della spesa corrente in spesa in conto capitale non è nelle corde culturali prima ed organizzative poi del ceto dominante.
Da 45 anni aspettiamo invano cose del genere e la riprova la abbiamo dal vuoto assoluto in materia di pianificazione del territorio, nonostante i grandi eventi che pure hanno caratterizzato la recente storia regionale (sisma dell’80, insediamento della grande industria, scoperta ed utilizzo del petrolio, fondi dell’Ue, ecc.) che avrebbero richiesto una riflessione e una prospettiva di crescita entro cui collocarli.
La soluzione va ricercata in una nuova regione più allargata che consenta di mandare a casa i tanti cacicchi locali oggi insediati nelle istituzioni regionali e in nuove regole di selezione delle rappresentanze che le riguardano.
Su tali misure il dibattito è appena agli inizi su scala nazionale. Dal basso qualche proposta può essere avanzata, ma non vedo molto all’orizzonte in tale senso.
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