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I dati Istat 2014 certificano che in Italia il maggior numero di famiglie relativamente povere si trova in Calabria (26,9%), in Basilicata (25,5%) e in Sicilia (25,2%). Ma i numeri, come spesso accade, non dicono tutta la verità. E la verità è che la povertà lucana è una povertà “diversa” rispetto alla povertà delle Regioni costituite principalmente da città o da metropoli. Non bisogna ovviamente né generalizzare né autoassolversi, ma essere poveri in Basilicata non significa quasi mai vivere “l’estrema solitudine” di chi non ha niente – o tutto ha perduto – nei grandi centri urbani. E questo perché la nostra Regione, a esclusione di Potenza e Matera, è composta di 131 paesi, tutti a “conformazione” rurale e con una (ancora) discreta coesione sociale.
Tanti “poveri”, in Basilicata, hanno una terra coltivata (dunque produttiva) e vivono “a giornata”, magari in quelle attività “invisibili” che non potrebbero mai essere, per dimensione ed episodicità, essere “registrate”. Inoltre, in Basilicata è quasi assente il fenomeno degli affitti speculativi tipico delle città, e questo determina che la maggior parte dei lucani vive o in case di proprietà o in case con un basso o bassissimo canone d’affitto. Per non parlare del tessuto sociale ancora “dialogante” e della centralità della famiglia, che determinano un “welfare spontaneo” che nessun censimento potrà mai quantificare.
Una cosa è perdere il lavoro vivendo nella propria casa magari in campagna, altra cosa è perdere il lavoro in una grande metropoli, dove spesso la disoccupazione scatena piaghe sociali come la solitudine, gli sfratti, la necessità di ricorrere alla Caritas e penosi processi di degrado fisico e psicologico. Insomma, non è affatto detto che un “povero” lucano viva peggio di un impiegato pubblico romano o milanese che magari sta in affitto, ha figli a carico ed è l’unico a lavorare in famiglia. Tanti “nullatenenti” lucani hanno stili, reti sociali e qualità della vita molto più dignitosi di tanti “emigrati” o “cittadini” che hanno sì un reddito da “classe media”, ma ansie e costi quotidiani che rendono la loro vita insicura e faticosa.
Questo non significa che non si debba lavorare di più per abbassare in Basilicata la percentuale di povertà e per innalzare la somma del reddito medio. Ma si sbaglierebbe a non trasformare in “modello politico” una robusta socialità di matrice “paesana” e rurale che ancora riesce con efficacia a mitigare il bisogno, a offrire scappatoie di sopravvivenza e a lenire le sofferenze anche quando i dati statistici sono negativi. Perché non è affatto detto che la serenità sia maggiore lì dove la povertà registrata dall’Istat è minore.
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