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Vincenzo Tortorelli, segretario regionale della Uil

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NEL giorno in cui i sindacati lucani smorzano gli entusiasmi del viceministro Sileri in visita a Potenza, il segretario regionale della Uil, Vincenzo Tortorelli, trova il tempo per uno scambio di battute con il Quotidiano del Sud sull’emergenza sanitaria legata al Coronavirus. Ma soprattutto sul dopo-crisi.

Segretario Tortorelli, ieri a Sileri avete ricordato che non bisogna abbassare la guardia su tamponi, monitoraggio territoriale e controllo di Rsa e case di riposo. Qual è invece la richiesta più urgente che il sindacato da lei guidato sente di fare al governatore Bardi?

«Al presidente e al responsabile della task force regionale Esposito rilanciamo il nostro invito-appello. Sono ancora tanti i fronti aperti, le incertezze e le disorganicità nei servizi sanitari. Sia chiaro, vogliamo risposte e decisioni trasparenti e non burocratiche. Occorre subito un piano operativo. Una road map chiara nei tempi, nelle modalità e nel “chi fa che cosa” per tracciare ed attuare le macro-azioni ritenute urgenti e prioritarie che per noi sono essenzialmente tre. La prima, una campagna estesa di tamponi verso i casi sospetti, probabili e confermati, con riferimento alle categorie più esposte al rischio e coinvolgendo anche i laboratori privati accreditati; la seconda, disciplinari chiari, operativi e cogenti rivolti direttamente ai responsabili generali o di settore delle Asl, tradotti in ordini di servizio per riallineare il percorso dei pazienti pre-sintomatici e sintomatici tra territorio ed ospedale attraverso protocolli di “scorrimento rapido” nei reparti verso spazi attrezzati; la terza, predisporre strutture Covid 19 di seconda linea senza disarticolare servizi ospedalieri già funzionanti (i casi da rivedere dell’ospedale di Venosa e di Pescopagano) e reperire spazi alberghieri o collettivi per la presa in carico temporanea dei pazienti a decorso post acuto. Si tratta di operazioni da avviare subito e valide anche per una seconda fase dell’emergenza con assetti e procedure assistenziali più prossime alle nuove condizioni di fragilità sociale delle comunità. La nostra indicazione è di seguire il “modello piacentino” per quanto attiene la prevenzione domiciliare e nel frattempo si renda obbligatoria l’uso di mascherine come accade in Lombardia».

Fin qui la contingenza, quali sono invece le proposte della Uil per il dopo-virus?

«Stiamo valutando con attenzione le misure messe in campo o annunciate a livello nazionale e regionale. Prima i bisogni di emergenza, la spesa e la vita quotidiana. Ma non limitiamoci a questo. Nel Mezzogiorno e nella nostra regione il “cosa fare” per risalire la china richiederà verosimilmente più fatica e la risalita sconterà necessariamente più fatica, più affanno e più malessere e marginalità sociale. E’ intorno a queste valutazioni che si snoda la nostra idea-proposta di Fondo mutualistico che ha proprio la caratteristica di strumento finanziario a diretta emanazione regionale, con l’ausilio ed il sostegno dei soggetti legati alla rappresentanza sociale ed imprenditoriale».

A quale ordine di cifre pensate?

«Pensiamo ad un fondo mutualistico di 200 milioni di euro, un prestito delle compagnie petrolifere da restituire a partire dal 2022 per la durata delle concessioni petrolifere al netto di quello che devono dare per le royalties, l’Ires, la fiscalità statale. Qualcuno dovrebbe ricordare che la Uil e il Cssel in tutti questi anni hanno condotto un’iniziativa asfissiante per la costituzione del Fondo Sovrano che se ora ci fosse avrebbe rappresentato più che un’ancora di salvezza, un’autentica cassaforte regionale. Inoltre, non ci appassiona il dibattito che lasciamo prima di tutto agli Istituti della sanità, alla scienza, agli esperti sui tempi e le modalità della cosiddetta fase due del Covid-19. Lasciamo a loro la valutazione. Noi come sindacato vogliamo essere pronti alla riapertura che non potrà che essere graduale».

Ci sono secondo lei dei comparti che soffriranno più di altri la crisi e rischieranno di non ripartire? Se sì, quali sono secondo lei i settori su cui intervenire?

«Ci sono alcune priorità tra cui la manodopera agricola indispensabile alle aziende per far arrivare i prodotti specie ortofrutticoli nelle case. La grande campagna di raccolta nel Metapontino come nel Vulture-Alto Bradano ha sempre richiesto manodopera extraregionale ed estera che ha difficoltà di movimento. E’ un nodo che va affrontato come quello della graduale riapertura dei cantieri di costruzione di opere infrastrutturali indispensabili. Ci sono poi i servizi socio-assistenziali per i nostri anziani, ancora più strategici in questa fase di tutela della salute, che diventano un nuovo settore di lavoro, sia pure ancora con gradualità e sistema simile al lavoro agile (centri ascolto e di informazione, assistenza con sistema skype, ecc.). Dobbiamo inoltre pensare già adesso alla Fca Melfi e all’indotto per il “dopo Coronavirus”. L’automotive è sicuramente il punto più complesso per tutta una serie di interconessioni nazionali ed internazionali. In una fase successiva – che auspichiamo a più breve tempo possibile – si dovranno affrontare tutti i temi della ripresa produttiva e dell’occupazione. Una possibilità importante e da non sottovalutare è la riconversione di impianti di Pmi per la produzione di mascherine e presidi personali di tutela salute, oltre che materiale medicale. Alcune imprese italiane lo stanno facendo attingendo ad un fondo nazionale specifico. E’ un’opportunità e al tempo stesso un modo per testimoniare sensibilità sociale tenuto conto che dobbiamo ricorrere a massicce importazioni per ora dalla Cina».

La Confindustria ha criticato il comportamento dei sindacati in fatto di sicurezza e ieri la Cgil ha risposto con toni forti (“padroni e padroncini” che hanno una “idea medievale” del lavoro), la Uil come risponde?

«La priorità assoluta, come nella fase di diffusione del contagio, resta la salvaguardia della salute dei lavoratori, dei pensionati e dei cittadini. In coerenza con il sacrosanto mantra “io resto a casa”, noi chiediamo semplicemente che tutti quelli che possono debbano restare a casa. A questo proposito, le disposizioni nazionali sono un punto di riferimento, ma non ancora sufficienti. Stiamo costantemente valutando in confronto con il prefetto di Potenza, Vardè, in teleconferenza, le attività che intendono riprendere. Ritengo che il Protocollo del 14 marzo non è stato ancora compiutamente attuato in tutti i luoghi di lavoro e, dunque, la sicurezza non è sufficientemente garantita dappertutto. Peraltro, anche lì dove si svolgono servizi, spesso, da eroi, come nella sanità, nella protezione civile, nella sicurezza pubblica, o essenziali, come ad esempio nelle filiere agroalimentare e farmaceutica, solo per citare quelle necessarie alla sopravvivenza, non sempre la sicurezza è assicurata. Non comprendo pertanto la posizione di Confindustria che del resto è sempre chiamata alla consultazione a livello locale come nazionale. Se non stringiamo tutte le maglie lì dove è possibile, anche quelle attività davvero imprescindibili vengono messe a rischio e le ripercussioni sull’intero Paese possono diventare drammatiche. Chiediamo semplicemente coerenza e, come sempre succede per un sindacato, per dare forza alle nostre richieste, in questo momento in difesa della salute di tutti, se fosse necessario far rispettare questa coerenza, in alcune realtà potranno essere messe in atto forme di mobilitazione. Ma, responsabilmente, e soprattutto in questo drammatico momento, continuiamo a credere che la via maestra resti sempre quella del dialogo e del confronto».

Cosa chiedete alla Regione per fare leva sulla concertazione, tanto più importante in momenti difficili come questo?

«L’Accordo Quadro Regione Basilicata per la Cig in deroga è un primo strumento positivo per garantire che tutti quelli che hanno perso il lavoro ricevano l’indennità salariale. Vorremmo che il metodo concertativo diventasse per la Giunta Bardi pratica quotidiana in tutti i settori e non sporadica. La “mission” del sindacato resta: nessuno sarà lasciato da solo. Ci vuole una risposta straordinaria e robusta del livello locale nella crisi da Covid 19 per sostenere le esigenze di famiglie e cittadini e quelle delle imprese. Per questa ragione, sollecitiamo il Governo regionale a valutare con tutta l’attenzione che merita la nostra proposta di costituzione di un “Fondo regionale di investimento sociale”, al quale ho fatto riferimento prima, che può essere un ottimo strumento moltiplicativo di risorse e di reddito adeguato al difficile momento depressivo e per buttare le basi sul dopo emergenza. Una strategia dunque anche a sostegno, complemento ed implementazione delle provvidenze che arrivano dal Governo nazionale sostanzialmente centrate sul rinforzo dell’offerta e di protezione sociale».

Come funzionerebbe il Fondo che proponente?

«Il Fondo, autosostenuto sul mercato finanziario, oltre al prestito da parte delle compagnie petrolifere di cui parlavo, può essere alimentato da risorse recuperate dalla riprogrammazione dei Fondi Ue, impegnati per il Fse a livello nazionale per soli 4,8 mld di euro. In queste drammatiche ore si sta facendo strada l’ipotesi, che noi invece consideriamo non solo come tale ma una strada perseguibile, di utilizzare i soldi europei per darli a cittadini ed imprese con strumenti e procedure innovativi. Ma non solo fondi comunitari. La dote di costituzione del Fondo può contare su diverse traiettorie: prestiti derivanti da operatori internazionali (Bei-Banca Europea per gli Investimenti); svincolo di impegni per opere e per piani annunciati ma non avviati; programmi di rilancio per il sostegno alle imprese del Sud connessi al “salvataggio” della Popolare di Bari; garanzie per finanziamenti non coperte da Medio credito centrale. Primo compito del Fondo è fornire valori e prodotti al fabbisogno di prima liquidità immediata delle pmi per risarcire il ristagno e lo stop da caduta della domanda .E poi sostenere la ‘seconda liquidità’ che le imprese, ad emergenza sanitaria declinante, si troveranno a dover affrontare. A cominciare dal far fronte agli impegni del microcredito. Questo primo blocco di soggetti beneficiari, oltre alle Pmi racchiude quel vasto mondo delle partire Iva che sono e saranno le più esposte al rischio di soccombenza, perdendo valori, storie e capacità d’iniziativa (in Basilicata sono circa 48mila le figure afferenti questa sfera di attività). Questi soggetti da riconnettere in una rete diffusa ed allargata ai ‘100 ‘paesi polvere’ con aiuti a breve termine, devono essere rimotivati a ripartire in un contesto di mercato modificato».

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