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L’intervento di Alberto Iannuzzi sulla sentenza per il caso Cannizzaro a sostegno di don Marcello Cozzi


Conosco da molti anni don Marcello Cozzi, che, oltre ad essere un prete scomodo, è anche un profondo conoscitore dei fenomeni criminosi legati principalmente alla mafia e alla corruzione, che egli ha conosciuto non solo attraverso i libri, ma anche ascoltando i pentiti eccellenti di mafia, autori di stragi efferate, e soprattutto raccogliendo l’istanza di giustizia proveniente dalle persone fragili e dalle vittime dei soprusi mafiosi; ponendosi sempre dalla loro parte. L’unica arma che ha impugnato è stato il Vangelo, che anch’io, come molti altri fedeli e talora chi lo attacca sui giornali, ascolta durante la messa domenicale che celebra nella città di Potenza.

DON MARCELLO COZZI, IANNUZZI: «ALCUNI RITENGONO CHE UN PRETE DEBBA OCCUPARSI SOLO DI QUESTIONI RELIGIOSE»


Alcuni, però, pur avendo grande rispetto per le sue battaglie di verità e giustizia, non lo apprezzano fino in fondo, perché ritengono che un prete deve occuparsi solo di questioni religiose, ma non “sporcarsi le mani”, preoccupandosi anche delle vittime di gravi reati, soprattutto se hanno a che fare con i potenti di turno.
È anche capitato che le nostre strade, spesso tortuose ed irte di ostacoli, nel contrastare, seppur da un diverso osservatorio, mafia, corruzione ed altre forme di illegalità, si siano casualmente incrociate; e non solo nella vicenda che va sotto il nome di “Toghe lucane,” nella quale io, come molti altri magistrati, esponenti di forze dell’ordine e comuni cittadini, fummo sentiti dall’allora PM di Catanzaro Luigi De Magistris come persone informate di fatti, oggettivamente gravi ed allarmanti, che avevano a che fare con il sistema politico, giudiziario ed economico esistente all’epoca in Basilicata. Quella vicenda mi procurò, per usare un eufemismo, non pochi grattacapi (ispezioni ministeriali, denunce, procedimenti penali e disciplinari, conclusisi tutti con provvedimenti di archiviazione).
E tutto questo accadde – si badi bene – per aver riferito ciò che molti sapevano, ma che pochi, e tra questi anche don Marcello Cozzi ebbero il coraggio di riferire senza fare sconti a nessuno.

IL PROCEDIMENTO TOGHE LUCANE


È noto, altresì, che anche il procedimento “Toghe lucane” venne archiviato, anche se vennero alla luce numerosi fatti di grande rilevanza sociale, seppure ritenuti dal GIP del Tribunale di Catanzaro privi di rilevanza penale. Nonostante ciò, si preferì mettere sopra l’indagine una pietra tombale, facendo finta di non sapere che le condotte accertate avevano fatto emergere, al di là dell’aspetto di rilievo penale, responsabilità morali e deontologiche, in relazione a fatti documentati da migliaia di pagine di atti giudiziari, che non si possono certo cancellare con un tratto di penna.

E, se oggi questa vicenda, ormai definita dal punto di vista giudiziario, deve insegnarci qualcosa, è che è giusto che le sentenze le emettano i Tribunali, le Corti di appello e la Corte di Cassazione, ma è altrettanto giusto che i fatti di interesse sociale siano conosciuti, a prescindere – ripeto – dalla loro rilevanza penale, a maggior ragione quando coinvolgono persone che ricoprono incarichi pubblici di natura istituzionale, spesso eletti dal popolo sovrano.
Se così non fosse, la prima ad essere tradita sarebbe la Costituzione italiana ed i principi in essa affermati, che riconoscono il diritto di manifestare liberamente il pensiero, con i limiti prescritti dalla legge (art. 21), ed il dovere di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore (art. 54).

LA CONDANNA DI DON MARCELLO COZZI

E la denuncia di questi fatti da parte di chi ricopre incarichi di responsabilità istituzionale, di qualsiasi natura, deve essere, prima ancora che un obbligo giuridico, un dovere morale, che deriva dall’appartenenza ad una comunità di cittadini.
Pertanto, dispiace che don Marcello Cozzi sia stato condannato dalla Cassazione civile, in concorso con un giornalista, al risarcimento dei danni nella misura di 30.000 euro, per aver riferito in una serie di articoli pubblicati sul “Quotidiano della Basilicata” fatti oggettivamente gravi, alcuni dei quali riguardanti il caso di Elisa Claps, uno dei misteri più inquietanti d’Italia, che presenta ancora dei lati oscuri. Nella sentenza della Cassazione si dice che don Marcello Cozzi aveva affermato, in relazione ai contatti impropri che Michele Cannizzaro aveva avuto con esponenti della ‘ndrangheta calabrese, che tutto questo non costituiva reato, ma aveva omesso di riferire che le accuse del pentito Gennaro Cappiello erano state smentite da plurimi provvedimenti di archiviazione.

IL CASO CANNIZZARO E DON MARCELLO COZZI



Da ex magistrato con alle spalle una lunga carriera giudicante, so bene che le sentenze vanno rispettate, ma so altrettanto bene che possono essere criticate, tanto più che la decisione della Cassazione non è più contestabile in altri gradi di giudizio. Nel caso di specie mi chiedo, innanzitutto, se sia giustificata la condanna risarcitoria nei confronti di chi ha denunciato fatti di indiscussa rilevanza sociale, precisando che questi fatti sono privi di rilevanza penale (non costituiscono reato), omettendo di richiamare un decreto di archiviazione, alla stessa stregua di un giornalista che esercita il diritto di cronaca.
La risposta affermativa data dalla sentenza di condanna al risarcimento francamente non convince, con tutto il rispetto che si deve alla Corte di Cassazione ed alla stessa Corte di appello che, precedentemente aveva riformato la sentenza del Tribunale, che invece aveva rigettato la domanda di risarcimento danni.

DON MARCELLO COZZI È DA ANNI IMPEGNATO IN IMPORTANTI BATTAGLIE


Invero, non può sfuggire che don Cozzi è notoriamente un prete, che all’epoca era anche vice-presidente nazionale di Libera, impegnato da anni in importanti battaglie per l’accertamento della verità in relazione a vicende gravissime, tra cui quella che portò al ritrovamento del corpo di Elisa Claps nel sottotetto della Chiesa della Trinità.
Peraltro, nella sentenza del Supremo Collegio don Marcello Cozzi viene definito un giornalista, imputandogli un onere di verifica delle fonti di informazione, che non si può esigere ad un ministro del culto cattolico, quale egli era ed è attualmente. In realtà, nella stessa sentenza si rileva che don Cozzi, pur avendo richiamato nelle sue dichiarazioni un’archiviazione del 1999, omise però di richiamare un provvedimento di archiviazione del Tribunale di Salerno del 2001.
Al riguardo, è doveroso evidenziare che il suddetto decreto di archiviazione è noto allo scrivente, che lo richiamò, quando era GIP del Tribunale di Potenza, in alcune denunce di reato, trasmesse, oltre che alla Procura di Catanzaro, anche alla Procura Generale della Cassazione, per il rilievo deontologico che i fatti accertati potevano avere in ordine alle condotte dei magistrati in servizio nel distretto di Potenza.

ALCUNI FATTI RIFERITI DA DON MARCELLO COZZI FURONO RIPORTATI SU FATTO QUOTIDIANO


Inoltre, alcuni dei fatti riferiti da don Marcello Cozzi vennero riportati in un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano, in relazione ad un’intervista da me resa nel novembre del 2011, a seguito del quale fui querelato e sottoposto ad un procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa, che per diversi anni bloccò la mia carriera di giudice. Poiché l’ accusa si rivelò del tutto infondata, dopo circa cinque anni fui assolto con formula piena “perché il fatto non sussiste”, con sentenza emessa nel 2016, che condannò il querelante, Michele Cannizzaro, a pagare in mio favore le spese processuali.
La predetta sentenza riconobbe che le dichiarazioni da me rese si connotavano dei requisiti di verità, continenza e rilevanza sociale, ed erano state “espresse nell’ambito dell’esercizio del diritto di critica riconosciuto dall’art. 21 della Costituzione”. Evidenziò, tra l’altro la rilevanza sociale degli argomenti trattati anche nella parte relativa alle sospette frequentazioni di Cannizzaro, a nulla rilevando che i procedimenti penali nell’ambito dei quali certe frequentazioni erano state accertate, fossero poi finiti con l’archiviazione.

La motivazione della sentenza del Tribunale di Catanzaro a mio avviso fa apparire troppo rigorosa la valutazione espressa dalla Cassazione civile nei confronti di don Marcello Cozzi, laddove si imputa a costui di essersi limitato a richiamare solamente un decreto di archiviazione del 1999, ma non anche quello emesso nel 2001, pur avendo lo stesso affermato che i fatti non costituivano reato. Peraltro, appare opinabile che non si sia tenuto conto del contesto in cui le suddette dichiarazioni si inserivano, dal momento che erano contenute in una denuncia civile, fatta con toni appassionati da un uomo di Chiesa, che denunciava comportamenti caratterizzati da omertà, compromissione e ritardi, in relazione ad una vicenda di grande interesse pubblico.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE CONTRO DON COZZI


La sentenza della Cassazione pone altresì un ulteriore problema, che non riguarda soltanto la difesa di un prete coraggioso, ma il diritto di ciascun cittadino di poter denunciare fatti di rilevanza sociale, di cui è viene a conoscenza, senza dover correre il rischio di subire un procedimento civile o penale, solo perché i fatti denunciati, per le più svariate ragioni, a volte anche per carenze nello svolgimento delle indagini, non sono state riscontrate.

DALLA PARTE DI DON MARCELLO COZZI

Né bisogna dimenticare che la libertà di manifestazione del pensiero, tutelata e garantita dalla Costituzione, è un diritto fondamentale, la pietra angolare dell’ordine democratico. La stessa attività giornalistica assume un’importanza fondamentale e va salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta, che possa frapporre ostacoli al legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i consociati e di contribuire alla formazione degli orientamenti della pubblica.
Per queste ragioni sto dalla parte di chi, come don Marcello Cozzi, si batte per affermare la legalità, la verità e la giustizia.

*Magistrato

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