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Da una analisi di Manageritalia, il 77,4% delle aziende ha solo uomini nei consigli, la Basilicata è ultima per numero di donne nei Cda


I cda delle imprese lucane sono una questione per soli uomini. La Basilicata infatti tra tutte le regioni è quella che ha il più alto numero di consigli di amministrazione solo maschili. Un dato che non lascia scampo: sono il 77,4%, secondo quanto emerge da una indagine condotta da Manageritalia su dati Modefinance su circa 225mila società di capitali con oltre 1 milione di fatturato. Al vaglio del rapporto sono passate 1.287 aziende lucane. Di cui il 22,6% conta almeno una donna all’interno dei propri cda ed il 12,2% ne ha invece solo una. Se si considerano invece le donne sul totale dei cda il dato lucano si ferma al 16,6%.

La Basilicata guida la classifica, è vero: ma ci sono regioni confinanti che inseguono a stretto giro. La prima è la Campania, dove sono state prese in esame 14.917 aziende (il 76,1% con cda solo maschile, con il 23,9% che ha almeno una donna ed il 16,2% con solo una donna). La seconda è la Puglia (su 9.749 aziende analizzate il 75,4% ha consigli solo al maschile). E la terza è la Calabria (75,1% su 2.975 contesti produttivi vagliati dallo studio).

«La mancanza di donne nei Cda – ha spiegato Domenico Fortunato, presidente Manageritalia Puglia, Calabria e Basilicata in occasione dell’Assemblea che si è svolta sabato presso gli spazi dell’Hotel “Villa Romanazzi Carlucci” a Bari – ha ripercussioni dirette sul modo in cui le aziende prendono decisioni strategiche. Le aziende con una rappresentanza femminile significativa tendono a essere più resilienti e capaci di affrontare le sfide del mercato. La diversità di genere è un fattore chiave per l’innovazione e la performance aziendale. La condizione delle donne nei cda pugliesi – ha poi concluso Fortunato – non è solo una questione di giustizia sociale. Ma un’opportunità strategica per migliorare la competitività e la resilienza delle aziende. È fondamentale continuare a lavorare per affrontare le sfide esistenti e promuovere un ambiente di lavoro inclusivo in tutti i settori. Solo così potremo garantire che le donne possano contribuire pienamente e beneficiare equamente delle opportunità lavorative disponibili».

Rovesciando la classifica per quanto riguarda le aziende senza donne nei cda i numeri migliori sono sicuramente quelli del Piemonte (che registra un 60,7% su 14.473 aziende considerate, nelle quali il 39,3% può contare sulla presenza mista e l’8,5% ha invece una sola manager in cda). Stessa musica in Liguria, dove il dato si assesta sul 61% (ma la presenza mista tocca il 39,0%, il dato più alto registrato dallo studio di Manageritalia in tutto il Paese).
Un segnale analogo si registra del resto anche in Emilia Romagna, regione che su 21.299 aziende prese in esame tocca il 63,0% di cda di soli uomini. In Sardegna su un totale do 8.890 aziende si arriva al 66,9%, quasi il 10% in meno della Basilicata, in Sicilia si tocca il 71,4%. Tra le regioni del nord colpiscono invece i numeri del Trentino Alto Adige, immediatamente a ridosso delle regioni con i numeri peggiori, che si ferma infatti al 67,9%.

Certo è da considerare anche che è l’Italia, complessivamente, a non brillare di luce propria su questo tema. Visto che secondo il report su 224.732 aziende passate al setaccio quelle con presenza solo maschile nei cda sono il 66,7%. Il 33,3% ha invece una presenza mista ed il 10,9% conta solo una donna.
Un numero elevato che crea un contesto nel nostro panorama produttivo. Ma non è il solo dato che offre un punto di vista allarmante su questo tema. Considerando tutti i componenti dei cda infatti, secondo il report le donne pesano a livello nazionale in media il 20,2%. Toccando il massimo con 22,6% in Sardegna e il minimo 16,4% in Trentino-Alto Adige (la Basilicata è ad un soffio, con il 16,6%).
In Lombardia invece sono il 19,9% e in Lazio il 21,9%. Come spiegare la buona performance di alcune zone del sud? «Il buon posizionamento di alcune regioni del Mezzogiorno» analizza ancora il report di Manageritalia «è spiegabile con il limitato numero di aziende e la forte presenza di aziende familiari che privilegiano una governance speculare».

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