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Angelo Summa, segretario generale della Cgil Basilicata

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POTENZA – Una regione che ha subito più danni di quelli che sarebbe stato legittimo attendersi, che è in attesa dello shock economico e occupazionale conseguente e le cui istituzioni pubbliche, nel frattempo, non stanno facendo nulla per affrontare il ciclone molto probabilmente in arrivo: questo è, in poche parole, il quadro che ieri mattina la Cgil Basilicata ha dipinto presentando ufficialmente a Potenza il report realizzato dall’Ires, Istituto di ricerche economiche e sociali.

LA CRITICA

«Abbiamo provato a far ripartire il centro studi dandogli una strutturalità di analisi», attacca Summa, e continua: «La Basilicata ha subito dal lockdown effetti uguali a quelli di regioni maggiormente attraversate dalla pandemia. Se il modello lucano è andato a picco per così poco, cioè nonostante la scarsa incidenza del virus in Basilicata, vuol dire che è sbagliato. Bisogna cambiarlo, agire su altre leve».

Il dirigente sindacale – così come lo studio si muove su un quadro macroeconomico – interviene su una visione per così dire “macropolitica”, di visione larga delle scelte istituzionali: «Serve una proposta politica del sindacato – dichiara – Una nuova concertazione vera e allargata ma che si occupi di temi ben precisi. Innanzitutto le risorse energetiche, il petrolio. Bisogna portare a un tavolo Eni e Total per il dopo-petrolio, parlare di investimenti in energie “green”».

Ma non è l’unico argomento di cui si occupa Summa: «Si avverte il bisogno di un potenziamento del welfare e della sanità pubblica. L’approccio socioliberista ha distrutto la sanità. Necessario un nuovo ragionamento a livello nazionale e regionale. Investire sul territorio e non solo sugli ospedali. Del miliardo e 54 milioni di euro del Fondo sanitario arrivati in Basilicata nel 2019, il 60% è stato assorbito dalle aziende ospedaliere».

Un nuovo assetto sociosanitario è fondamentale, dice, perché nei momenti di crisi come quello della pandemia «o chiudiamo tutto di nuovo con le zone rosse a mandiamo all’aria l’economia o impariamo a convivere con la crisi pandemica attraverso un sistema di sorveglianza territoriale».

L’analisi cede il posto alla critica pura quando il segretario di Cgil Basilicata guarda all’amministrazione regionale: «In 18 mesi di governo Bardi – sostiene – non c’è traccia di programmazione sanitaria. Un’iniziativa che sia una. E quando si ha a che fare con crisi sanitarie, questo vuol dire un vulnus per la comunità».

Summa auspica anche un grosso investimento nell’istruzione e nell’università. «Non condivido l’atteggiamento di denigrazione dell’Unibas perché è arrivata in fondo alla classifica stilata dal Censis: bisogna capire i motivi di quella valutazione. Molti miei colleghi sindacalisti dicevano: che scandalo quei 10 milioni di euro che ogni anno la Regione dà all’ateneo lucano. Non sono per nulla d’accordo. Io invece vedo un grande investimento – 20 o magari 30 milioni di euro – non solo per la Facoltà di Medicina, che non è sufficiente, ma su asset strategici, sulle infrastrutture sociali e sull’istruzione».

L’ANALISI

A illustrare nel dettaglio lo studio, il direttore scientifico dell’Ires, Riccardo Achilli. Il report – realizzato da Achilli insieme a Giovanni Ferrarese, Pierluigi Smaldone, Giovanna Cuoco e Rossella Corda – s’intitola “La Basilicata tra e dopo il Covid” (forse “durante e dopo” sarebbe stato più corretto, mormora qualcuno fra il pubblico).
Questi gli obiettivi dichiarati: “Stimare l’impatto macroeconomico della crisi economica indotta dal Covid 19 sulla Basilicata come emerge dai primi dati disponibili (primi 3-4 mesi del 2020); derivarne una stima complessiva, con strumenti econometrici, dell’andamento di Pil e occupazione regionale nell’arco dell’intero 2020; fornire qualche linea-guida molto generale sulle traiettorie di policy utili per rimettere la Basilicata su un sentiero di crescita; iniziare a costruire una base-dati completa e aggiornata sulla regione”.

LA PARTENZA

Prima di passare i nuovi dati al setaccio, c’è bisogno di scandagliare le condizioni di partenza.

Innanzitutto “un forte declino demografico: nel solo 2019 la popolazione regionale perde più di 5.400 persone. Entro il 2040, popolazione scenderà a 503.000 abitanti”.
Poi l’invecchiamento della popolazione computato attraverso l’indice di vecchiaia, ossia il numero di anziani presenti ogni 100 giovani in un dato territorio. Per “anziano” si intende chi ha 65 anni e oltre. Per “giovane”, chi rientra nella fascia da 0 a 14 anni. Questa la situazione lucana degli ultimi anni: l’indice di vecchiaia passa da 146,5 del 2009 a 193,2 del 2019. Cioè, dieci anni fa c’era “un anziano e mezzo” per ciascun giovane, oggi quasi due anziani.

La ricerca ha verificato poi lo spostamento della domanda di servizi sanitari ed assistenziali: “L’87% di richieste di regolarizzazione di extracomunitari riguarda il lavoro domestico. Il 30% di queste le badanti”.

E ancora: “Un sistema sanitario con pochi posti-letto in terapia intensiva che, durante l’epidemia, ha limitato l’offerta ordinaria. Un sistema ancora troppo centrato sull’assistenza ospedaliera”.

Infine, il deus ex machina (in questo caso non risolutore come nella tragedia classica ma distruttore) in questione: il coronavirus. In merito si legge nel report: “Una incidenza dell’epidemia molto bassa: 7,1 casi ogni 10.000 abitanti, rispetto ai circa 40 casi per 10.000 abitanti su base nazionale. Solo 27 decessi. Provvedimenti regionali di restrizione ai movimenti in entrata/uscita dalla regione si sono sommati al lockdown nazionale”.

IL PRESENTE

Nei tre mesi studiati sono state immatricolate meno della metà delle auto, comprate i tre quarti delle case rispetto al primo trimestre del 2019: già queste due grandezze dicono molto sugli effetti nefasti del lockdown.

L’edilizia, un tempo definito di solito “settore trainante” dell’economia lucana, mantiene oggi una peculiarità: rappresentare il banco di prova che anticipa l’andamento del ciclo. Bene: le compravendite immobiliari nel comparto residenziale sono calate del 24,2%, del 18,8% nel “non residenziale”.

Le esportazioni – che qualche tempo fa fecero gridare al miracolo per i rialzi a doppia cifra percentuale della Basilicata, rialzi “drogati” da petrolio e soprattutto auto – subiscono una decrescita del 17,2%. Le importazioni, che non vogliono dire solo meno beni esteri ma anche meno acquisti di beni intermedi e materie prime per la produzione industriale – calano del 18,3%.

I prestiti alle imprese a marzo 2020 affogano nella palude dello 0,5% di aumento (e dire che alle spalle ci sono le garanzie pubbliche del governo a difesa delle richieste di prestito: garanzie in cui forse non si è nutrita grande fiducia).

Le imprese attive “diminuiscono numericamente di 17 unità su base tendenziale, con picchi più rilevanti nei comparti del commercio, dei trasporti e logistica, dell’agroalimentare, del legno-arredo, del tessile-abbigliamento e dello smaltimento dei rifiuti”, si legge.

La ferita dell’economia lucana si estende anche al lavoro: il numero di occupati in valore assoluto risulta temporaneamente stabile ma il tasso di occupazione flette di circa 1,4 punti rispetto alla media del 2019 (è l’esito della contrazione delle forze di lavoro e della parallela espansione degli inattivi, che crescono di oltre 11.600 unità fra marzo 2019 e marzo 2020)

IL LAVORO

Sotto la lente del sindacato è ovviamente il tema occupazionale. “Grazie alla cassa integrazione (+65% ore autorizzate) e a fattori di rigidità (quasi 33% occupati lucani in settori rigidi al ciclo a fronte del 24% nazionale) – è scritto nel rapporto – l’occupazione lucana rimane stabile al primo trimestre 2020 su base tendenziale. Ma esistono elementi di degrado per i prossimi mesi: -40% di nuove assunzioni nel settore privato extragricolo nei mesi di febbraio-aprile; -1,4% sul tasso di occupazione nel primo trimestre rispetto alla media del 2019; -15.800 forze di lavoro e, di questi, 12.000 inattivi in più (lavoratori scoraggiati) e 2.000 emigrati in età da lavoro”.
«Una crescita di forme strutturali di disoccupazione – commenta al microfono il direttore scientifico dell’Ires – che sarà difficile recuperare».Tutto questo aumenta la “fragilità formativa” e la “fragilità contrattuale”.

E inoltre: “Fattori di debolezza rischiano di aggravare l’effetto occupazionale nei prossimi mesi. Il ricorso alla cassa integrazione mette in posizione precaria 3.000 occupati equivalenti a tempo pieno. Se non saranno riassorbiti, il tasso di occupazione scenderà sui livelli del 2009. L’occupazione femminile è particolarmente fragile per via di una maggiore diffusione di forme contrattuali precarie: -9,6% di partecipazione al mercato del lavoro. I lavoratori immigrati, in alcune aree molto importanti (36% dei lavoratori agricoli nel Vulture, 23% nel Metapontino) non sono messi a valore, specie in agricoltura: secondo il Cestrim, ci sono 10 insediamenti illegali in Basilicata per quasi 1.800 residenti, un segnale di ampio ricorso al caporalato”.

IL RITARDO

Non poco, certo. Ma neanche un disastro, si potrebbe dire. Per alcune voci il risultato è in linea con quello di qualunque altra zona d’Italia, per altre i dati lucani sono addirittura migliori della media nel Mezzogiorno.

E dunque? Qui entra in gioco, suggerisce Achilli, un aspetto peculiare dell’economia lucana: “Storicamente, l’economia lucana risponde con ritardo alle fasi di inversione del ciclo nazionale (sia entrata in crisi che ripresa) per via dell’assetto rigido di molti dei suoi settori produttivi ed occupazionali e della scarsa apertura internazionale”.

E dunque, a suo parere e da alcuni segnali che considera preoccupanti, le condizioni attuali di sostanziale allineamento con il resto del Paese in crisi potrebbero aggravarsi e portare a effetti ben più allarmanti.

Qui Achilli mette sotto il microscopio la dinamica della crisi e dei suoi impatti: shock dell’offerta, conseguentemente della domanda, di riflesso secondo shock dell’offerta ed esito fatale nello shock occupazione.

La stima è che nel 2020 il valore aggiunto scenda dell’11,2% (ai livelli del 2008), che l’occupazione perda 4.700 unità e che si arrivi al dato che ha fatto accapponare la pelle a più di una persona in platea: “Una percentuale di persone a rischio di povertà o emarginazione sociale, nel 2021, del 48-49%”.

Un lucano su due a rischio povertà entro un anno. Difficile trovare un aggettivo meno forte di “angosciante”.

Si tratta beninteso di stime – precisa Achilli – e dunque la situazione potrebbe essere meno brutta. Ma anche solo il pericolo che si arrivi a tanto porta il sindacato a cercare e suggerire vie d’uscita.

I RIMEDI

Ed ecco i policy issues del report, i temi politici su cui sviluppare un’idea di futuro secondo Ires e Cgil Basilicata: “Una politica di chiusura delle filiere agroalimentari aperte, riportando la trasformazione vicino alla produzione primaria; priorità settoriali nella politica industriale e di attrazione di Ide (Investimenti diretti esteri, ndr): Imprese dell’Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ndr), dei servizi on line, dell’e-commerce e della logistica on line, componentistica per la produzione di energia rinnovabile; rilanciare un asse con Fca dopo la gravissima crisi del mercato automotive: un centro di ricerca regionale su veicoli elettrici e ibridi; turismo: usare Matera 2019 come ponte per il futuro: più turismo culturale e ambientale, più attenzione ai nuovi mercati turistici (Cina) con marketing mirato, sinergia porto crocieristico di Taranto-Metapontino-Matera”.

E poi: “Spostare l’offerta sanitaria sulle reti ambulatoriali del territorio, gli ospedali di comunità e la domiciliarità delle cure, anche con innovazione tecnologica (telemedicina, domotica); assumere nuovo personale paramedico e fare più formazione; potenziare i reparti intensivi, infettivi e di pneumologia; poli specialistici interregionali per ridurre emigrazione sanitaria; politiche sociali basate sulla famiglia: sostegno economico alla natalità, servizi di conciliazione, integrazione filiere sociosanitarie e presa in carico unica dell’utente; integrazione socio-lavorativa per i migranti, attraverso Sprar, ma anche progetti di lavoro e recupero sperimentali e lotta all’irregolarità e caporalato”.

BUONI PROPOSITI

Messo così (integrazione sociale, piani di assunzioni, una sanità potenziata eccetera) sembra il catalogo delle buone intenzioni. Buoni propositi da attuare entro 20 o 30 anni – se gli amministratori lo vorranno, beninteso – e non rimedi per la crisi che agisce qui e ora sulla Basilicata.

«È vero – risponde all’obiezione Achilli – Ma intanto si può sviluppare un “effetto di cantiere” nel mettere in campo queste politiche. E poi ci vogliono, nell’immediato, azioni mirate da inserire sulle azioni previste dal governo».

Ma sarà la Cgil a inseguire la Regione o attenderà che la Regione venga a bussare per chiedere consigli? Su questo, Summa è netto: «Il 18 ottobre 2019 presentammo il Manifesto per il lavoro e la Basilicata 2030 di Cgil, Cisl e Uil. Nessuna risposta. Bardi è per l’ascolto, noi per concertazione e negoziati concreti. Se non si svilupperà un confronto vero ma le consuete liturgie della politica, ci sarà una mobilitazione generale. Non si può rimanere in questa cultura neoliberista fatta di piccoli uomini».

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Eugenio Furia

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