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La sede dell’ex Banca Mediterranea ideata dall’architetto Maggio

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POTENZA – Con il passare del tempo, il ricordo che tutti hanno conservato dell’esperienza della Banca Mediterranea è relativa alla visione che c’era dietro.

Quell’intuizione che portò l’imprenditore potentino Nino Somma (è lui a dar vita a quella che tutti conoscono come la “Ferriera”), ad acquistare una piccola banca pesantemente indebitata e a farne un interessante progetto per tutto il Sud.

BASILICATA REGIONE SENZA CREDITO | Leggi le puntate precedenti della nostra inchiesta

La visione è quella di chi si rende conto che, se vuoi incidere anche sul tessuto produttivo di una regione, devi avere un canale di credito. Devi dialogare con il territorio, dare fiducia e immettere liquidità: i risultati così arrivano.

Ed è di quella visione che oggi si sente la mancanza, come abbiamo visto nell’inchiesta portata avanti dal Quotidiano del Sud sul sistema delle banche.

Sindacalisti, cittadini e imprenditori, infatti, lamentano nella situazione attuale l’assenza di un istituto di credito del territorio. «I centri direzionali sono altrove, il rapporto è asettico ed è chiaro che un imprenditore locale difficilmente può rientrare nei criteri nazionali richiesti per la concessione di mutui o prestiti. Con la Mediterranea, invece, il rapporto era diretto».

E’ d’obbligo allora un passaggio sulla Mediterranea, su quella banca che per gli azionisti di allora è diventata un incubo (anche qui gli strascichi giudiziari pesano). Ma per tanti è rimasta una specie di sogno di riscatto del territorio, l’idea che anche qui si potesse creare qualcosa di vivo e produttivo.

Una visione che inizia nei primi anni Settanta. Ai confini con la Campania c’è un piccolo istituto di credito, la Banca popolare di Pescopagano: è in crisi e Nino Somma inizia da lì il suo ingresso in un nuovo settore, quello delle banche. E’ solo l’inizio, perché la visione di Somma è più ampia: nel 1987 nasce la Banca popolare di Brindisi e Pescopagano e, nel 1992, dalla fusione con la Banca di Lucania nasce la Mediterranea.

Tra una fusione e l’altra c’è il terremoto dell’Irpinia e la necessità di ricostruire un territorio sconvolto.

«La Mediterranea – racconta Rocco Sabatella, oggi in pensione ma all’epoca responsabile dell’ufficio stampa – diventa la tesoreria da cui transitano i soldi della ricostruzione: abbiamo supportato i comuni con sponsorizzazioni e vicinanza e, per essere una banca locale, abbiamo registrato dei risultati molto importanti. Tanto per dirne una: noi avevamo in Campania, in provincia di Avellino per la precisione, molti più correntisti di quanti non ne avesse la Banca dell’Irpinia, che era sponsorizzata da De Mita, mentre Somma era un colombiano. Siamo arrivati ad avere filiali non solo in Basilicata, ma anche in Campania, Puglia e Molise. Era questa la visione che c’era dietro, creare una banca del Sud, forte e capace di dare uno stimolo agli imprenditori locali. Il presidente aveva questa visione di largo respiro».

Somma ha grandi idee: la sede centrale era a Pescopagano, ma poi c’è il terremoto, a Potenza i dipendenti della banca lavorano per diverso tempo nei prefabbricati vicino al Motel Park. C’è bisogno di una sede nuova, la banca è in crescita: si chiama un architetto per creare un’opera nuova. Sarà l’edificio di via Nazario Sauro, una sede con garage, sala convegni, magazzini, uffici all’avanguardia. Tutto deve dare l’idea di grandezza che quell’idea ha. La Banca, del resto, può contare su 85 filiali: 45 in Basilicata, 23 in Puglia, 16 in Campania e 1 in Molise. E su ben 1.500 dipendenti.

Somma ha rapporti con piccoli e grandi imprenditori. Alcuni, nel 1992, vengono travolti dall’onda di Tangentopoli e non sono più in grado di restituire i prestiti che gli erano stati concessi. Vengono meno una serie di coperture politiche.

«Ma la banca – sottolinea Sabatella – non era in crisi. Tutte le banche del Sud in quel momento vivono un momento complicato. Anche un istituto storico come il Banco di Napoli o la Carical. C’è stata la volontà deliberata di mettere le mani sulla Mediterranea».

La Banca Mediterranea perde la sua autonomia: «Una operazione – continua Sabatella – che hanno definito “salvataggio”, ma la verità è che lì c’è una grave responsabilità della Banca d’Italia che ha fatto un vero e proprio regalo a Cesare Geronzi che, all’epoca guidava la Banca di Roma».

La banca resta in piedi ma, nei fatti esautorata: la maggioranza del capitale appartiene al Banco di Roma che, per l’operazione «non sborsa neppure una lira. Si portano tutti i loro generali, sono loro che decidono. Ma sia chiaro che nell’operazione di salvataggio cosiddetto, loro non ci hanno rimesso un soldo, anzi ci hanno guadagnato un paio di miliardi quando poi hanno deciso di mettere in vendita la Mediterranea».

E da questo punto inizia lo smembramento di quella che doveva essere la Banca del Sud.

«E’ successo tutto in una notte – ricorda – fino a qualche settimana prima i grandi giornali finanziari parlavano della Banca popolare di Lodi o di quella di Bergamo come possibili acquirenti. Quelle erano istituti di credito molto forti, con un grande radicamento sul territorio. Ed erano molto interessati alla Mediterranea, per ampliarsi. Soprattutto avevano i soldi per acquistare una banca come la nostra. Tutto in una notte: scompaiono la Popolare di Lodi e di Bergamo e ci ritroviamo nella Popolare di Bari. Sacconi, che era allora ministro del Lavoro nel governo Berlusconi, fu lo sponsor di tutta questa vicenda. Era amico di Jacobini».

Qui inizia la fine della Banca Mediterranea certamente. Ma inizia anche la fine della Popolare di Bari.

«I guai iniziano da lontano – spiega Sabatella – perché la verità è che la Banca di Bari i soldi non ce li aveva per questa operazione. E qui, ancora una volta, è gravissima la responsabilità della Banca d’Italia, che ha dato il via libera a un’operazione assurda: si interrompe la trattativa con chi aveva effettivamente i soldi, la si apre con chi deve farsi i debiti per comprare la Mediterranea. Noi avevamo il doppio del valore della Banca Popolare di Bari e la Banca di Roma, che non aveva sborsato una lira per il salvataggio presunto, chiede 550 miliardi».

Come fa una banca che non ha i soldi a fare questa operazione? «All’incirca 110 miliardi vengono prestati a Jacobini dalla Cattolica assicurazioni; un altro prestito viene fatto da Veneto Banca. E lì c’è una spartizione degli sportelli e dei dipendenti. C’erano comuni, per esempio, dove la Popolare di Bari aveva già una sua filiale e non aveva interesse a fare un doppione. Quegli sportelli – circa una trentina – passano a Veneto Banca».

L’ultima parte di aiuti viene data alla Popolare di Bari «proprio da chi sta vendendo: una cosa incredibile, ma la Banca di Roma gli concede un prestito. Ed è ancora più incredibile che la Banca d’Italia abbia permesso una cosa del genere. E’ come se io mi devo comprare una casa ma non ho i soldi. A chi chiedo il prestito? A chi mi sta vendendo la casa. Assurdo, ma è quello che è accaduto. E lì sono cominciate ad aprirsi le crepe anche per la Popolare di Bari».

Nei fatti quelli che erano i dipendenti della Mediterranea entrano nei diversi pacchetti: chi lavorava nelle filiali passate a Veneto Banca finisce assunto in quell’istituto. Gli altri, circa 700, restano alla Popolare di Bari.

«Quelli rimasti in Veneto banca si ritrovano prima nella Banca Meridiana (che nasce dall’acquisizione della Popolare del Levante), poi in Banca Apulia e ora in Banca Intesa».

Vittime dei tanti spacchettamenti anche gli azionisti dell’ex Mediterranea, che si calcola abbiano subito un danno – mai risarcito – di circa 12 milioni di euro.

Che resta di quell’esperienza? L’amarezza di aver visto come, con il benestare della Banca d’Italia, si faceva a pezzi il tentativo di uscire dall’isolamento di questa terra. E quella visione di qualcosa di più grande a cui aspirare. «Somma era un banchiere vero, attaccato al territorio e ai tanti suoi dipendenti. E quell’attaccamento è stato per anni il segreto del successo della banca. Poi c’è stata la volontà deliberata di azzerare gli istituti meridionali». Una scelta che forse oggi pesa ancora di più.

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Eugenio Furia

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