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I dati Inps fotografano un calo lento e inesorabile in Basilicata. Nel solo 2016 è diminuito quasi del 2% il numero di operai agricoli dipendenti: una contrazione a velocità doppia rispetto al resto del Sud

POTENZA – Fuga dalla Basilicata, fuga dai campi. Leggendo in filigrana gli ultimi dati Inps sul lavoro agricolo, si può sdrammatizzare uscendosene con il più classico dei motti – «braccia rubate all’agricoltura» – ma in questo caso la diminuzione lenta e inesorabile di contadini in Basilicata, più che far sorridere deve far preoccupare: negli anni dello spopolamento e di una rinnovata quanto generalizzata emigrazione sud-nord, a pagare non sono solo i piccoli centri dell’entroterra – quelli che Manlio Rossi Doria definì l’«osso» del Mezzogiorno da contrapporsi alla «polpa» delle fertili pianure – ma proprio un settore che, al contrario, ha tutte le carte in regola per trainare l’economia e l’export lucani.

 Cosa dice l’aggiornamento degli osservatori statistici riguardanti il “Lavoro dipendente privato” e, ciò che qui ci interessa, il “Mondo agricolo”? Che in generale, nel Sud come nel resto del Paese il lavoro si precarizza sempre più verso forme brevi e impalpabili mentre – ciò che forse rappresenta  un paradosso ancora più indigeribile – le regioni come la Basilicata a forte vocazione agricola vanno impoverendosi proprio in quel comparto.

I NUMERI DELL’INPS
I numeri: a livello regionale, nell’ultimo anno, il numero di operai agricoli dipendenti aumenta, in modo particolare in Piemonte (+3,9%), in Valle d’Aosta (+3,8%) e in Veneto (+3,7%), mentre diminuisce in Abruzzo (-2,7%), in Calabria (-1,9%) e in Basilicata (-1,8%). Le regioni in cui nel 2016 si concentra il maggior numero di lavoratori sono la Puglia (17,9%), la Sicilia (14,6%) e la Calabria (11,2%).

  I dati Inps fotografano un calo quasi aritmetico: dal 2011, ad esempio, il numero di aziende agricole autonome in Italia è diminuito di 6mila unità, 1000 l’anno. La Basilicata, dopo un periodo di crescita nel biennio 2012-2013, è tornata a diminuire e oggi si attesta sulle 7.802 aziende (il picco nel 2012: 8066).

Strettamente collegato a questo dato, quello che rendiconta le aziende che occupano operai agricoli dipendenti: qui, a fronte di una contrazione nazionale ancora più marcata (quasi 10mila nel quinquennio analizzato: da 195.668 a 186.424) ma con un aumento nel Centro-Nord, la Basilicata in linea con l’area meridionale s’impoverisce, passando dalle quasi 4mila aziende del 2011 alle poco più di 3.500 dell’anno scorso (un calo medio di 55 unità l’anno).

Che l’intero settore agricolo lucano sia interessato da una flessione degli addetti si evince plasticamente dal dato relativo al numero di operai agricoli dipendenti nel raffronto 2015-2016: erano 27.436 nel 2015 e sono diventati 26.948 nel 2016. Quel -1,8% di variazione annua deve fare ancor più preoccupare dal momento che su scala areale (Sud) la cifra è esattamente la metà (-0,9%) mentre in Italia la variazione è minima, anzi aumenta dello 0,1%: è ancora una volta il Nord a trainare, con  buona pace del mito che vuole le regioni del Mezzogiorno a maggior vocazione agricola.

È chiaro che per sua stessa natura l’istituto nazionale di previdenza non monitora il sommerso, ma il nodo di regioni come la Basilicata è proprio fare in modo che le economie sane generino reddito: tanto per i lavoratori agricoli dipendenti quanto per gli 8.310 autonomi che si dividono in 5.071 maschi e 3.239 femmine. Una popolazione totale di oltre 35mila contadini del terzo millennio. Sono quelli che resistono. E restano in Basilicata.

NON SOLO CRUSCHI E AGLIANICO: LE ECCELLENZE DA TUTELARE
Peperoni “cruschi” di Senise e Aglianico: sì, ma non solo questo sulla tavola dei lucani (e su quelle di chi “mangia” la Basilicata fuori dai nostri confini). Per l’olio extravergine del Vulture, ultima Dop riconosciuta, si aspetta un’annata scarsa in quantità ma di elevata qualità, e poi ci sono i tanti prodotti sempre meno “di nicchia” come il fagiolo di Sarconi, la melanzana rossa di Rotonda, le olive nere di Ferrandina, il marroncino di Melfi, l’arancia “Staccia” e il cardoncello della Murgia Materana. Per non parlare del grano usato per il pane di Matera.

 Le Dop, doc, docg e igp “made in Basilicata” riportate nell’elenco nazionale Mipaaf sono ben 95: prodotti agroalimentari tradizionali lucani, di cui 35 classificati quali paste fresche e prodotti panetteria e pasticceria; 25 prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati; 16 carni fresche e loro preparazione; 12 formaggi; 4 prodotti di origine animale (miele, lattiero-caseari); 2 prodotti della gastronomia e 1 nella categoria bevande alcoliche, distillati e liquori.

  Nel dettaglio la situazione lucana: formaggi – 2 dop e 1 igp; ortofrutticoli e cereali – 2 dop e 2 igp; olio extravergine di oliva, 1 dop; altri prodotti, 1 igp. I produttori lucani interessati sono 96 (erano 65 nel 2011) per una superficie di 157,14 ettari; 37 gli allevamenti (di cui 15 suinicoli per 30mila capi) ; 40 i trasformatori, 45 gli impianti di trasformazione per complessivi 129 operatori.

CIA: AGROALIMENTARE DI QUALITÀ MA DEBOLE
La Cia – ripetendo che «bisogna usare ”tolleranza zero” verso chi imita i nostri prodotti d’eccellenza, facendo concorrenza sleale alle nostre imprese e compromettendo il prestigio del nostro sistema agroalimentare dentro e fuori i confini nazionali» – ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare per regolare i rapporti tra agricoltura e Gdo (Grande distribuzione organizzata) con «l’obiettivo di promuovere e commercializzare i prodotti locali che siano tracciabili e identificabili nel territorio rurale di produzione, aprendo nuovi spazi di mercato a produzioni alimentari e tipiche lucane anche di nicchia».

 Se l’export agroalimentare italiano secondo le stime di Nomisma va a gonfie vele e raggiungerà a fine 2017 i 40 miliardi di giro d’affari, ci sono grandi margini di crescita per l’agroalimentare made in Basilicata che incide appena tra l’1-1,5% su quello nazionale (il Sud arranca e, nonostante produzioni agroalimentari di qualità diffuse, incide tutto insieme sul totale del fatturato solo per meno del 20%). Come dire che l’alimentare “made in Basilicata” continua a tirare sui mercati esteri persino rispetto ad auto (Fiat) e salotti.

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