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SETTEMILA euro. Vale tanto, nella busta paga, il divario tra uomo e donna in Basilicata. È un gap – gender gap payment, letteralmente “divario contributivo di genere” – che ancora non è in cima all’agenda di una politica che, negli ultimi anni, si è pure dotata di strumenti legislativi a favore di una maggiore rappresentanza femminile, ad esempio, nelle assemblee elettive.
Ciò che potrebbe, forse, favorire un dibattito su un tema che riguarda davvero tutta la popolazione lucana. Ma prima della politica e delle varie posizioni, ecco i numeri: il reddito medio in Basilicata è di 17.273 euro (in testa fra le due province Potenza con 18.175 euro, mentre Matera ha redditi medi di 15.234 euro), e – quello che qui interessa – se la media per gli uomini è pari a 19.703 euro, quella per le donne si ferma a 12.561 euro. Oltre 7mila euro che “gridano vendetta” e delineano con un solco difficile da colmare una vera e propria frattura tra generi.
Frattura che da menomazione economica si fa culturale e sociale: le ricadute di tale disparità si riflettono infatti sulla qualità della vita dell’intero nucleo familiare. La maggioranza che governa la Regione – benché squassata in queste settimane da un crisi interna che sarà affrontata dopo il turno elettorale del prossimo weekend – potrebbe guardare un poco più a est per prendere spunto: il Consiglio regionale pugliese, infatti, una settimana fa ha approvato la norma per la parità retributiva.
Una battaglia trasversale – è uno di quei temi che anche in Basilicata si spera possa far mettere temporaneamente da parte le differenze partitiche – vinta dalla proponente Loredana Capone (Pd), presidente del Consiglio regionale, e da tutti i consiglieri: la Puglia è la prima regione in Italia a legiferare in tal senso. È importante sottolineare che il problema è stato prima posto, poi affrontato e infine risolto in una regione dove il gap in busta paga è ben inferiore a quello lucano (in media 2.300 euro per gli incarichi da dirigenti, 800 per le impiegate, 700 le donne quadro e 160 le apprendiste): una differenza salariale che oscilla tra il 20 e il 31% a sfavore delle donne.
La Basilicata non partirebbe proprio da zero dal momento che i temi delle disparità vengono affrontati a livello istituzionale e, per fare solo l’ultimo esempio risalente a una settimana fa, la consigliera regionale di parità, Ivana Pipponzi ha inviato al presidente Bardi, agli assessori e ai consiglieri oltre che alle organizzazioni sindacali e datoriali una nota con cui chiede che la Regione Basilicata adotti il “Gender Responsive Public Procurement” (strumento introdotto dalla Commissione Europea e inserito nel Pnrr) per promuovere la parità di genere e l’occupazione femminile nelle imprese lucane.
Pipponzi ha ricordato che il tasso di occupazione femminile in Basilicata (come nel Mezzogiorno) pur evidenziando una leggera crescita, si posiziona ben al di sotto del tasso nazionale che si assesta al 49% nel 2020 contro il 37,7% della Basilicata e il 32,5% del Mezzogiorno (fonte Istat). In Basilicata il tasso di inattività è marcatamente femminile (57,8% ) rispetto a quello maschile (fermo al 31,3%).
Il passo da fare adesso è rendersi conto che le differenze di genere esistono anche tra gli occupati. E quei 7mila euro di differenza possono essere lo sprone a emulare la Puglia, mettendo da parte le bandiere politiche in nome di un bene della collettività citato spesso a sproposito.
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