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POTENZA – I problemi vengono da lontano ma è nel futuro che si potrebbero pagare le conseguenze più gravi.
Un sistema bancario debole, debolissimo. Nessuna sede direzionale in Basilicata, decisioni quindi calate dall’alto su un territorio molto particolare, sportelli che giorno dopo giorno chiudono in tutti i comuni.
«E noi sindacati – spiega Antonio Castello, segretario regionale Uilca Uil Basilicata – siamo ormai rimasti i soli, insieme alle popolazioni locali, a opporci. Quest’ultimo anno ha segnato pesantemente il territorio e noi le cose dobbiamo dirle chiaramente: ogni volta che chiudiamo uno sportello bancario apriamo un altro spazio sull’autostrada dell’usura. E’ il malaffare che cresce quando un imprenditore o un cittadino non trova risposte. Ed è un vento triste quello che spira sulla nostra regione».
Chiudono sempre più sportelli. I sindacati: «La Regione non ci ascolta»
Nei giorni scorsi l’annuncio dell’ultima chiusura, quella della Banca popolare pugliese a Pisticci scalo. Ma ormai sono quotidiane le chiusure, con conseguenze sempre più gravi per i pochi che restano su questo territorio.
«Una presenza, quella delle banche, assolutamente sottodimensionata in tutto il sud – sottolinea Arnaldo Villamaina, segretario regionale First Cisl – ma la situazione della Basilicata è ancora più anomala, proprio per l’assenza di una sede direzionale. Perché al nord se un imprenditore non ottiene un prestito da un istituto, attraversa la strada e ne trova un altro con altre condizioni. E magari quel prestito lo ottiene, perché le banche si fanno concorrenza. Qui no. Se un imprenditore non ottiene un prestito da una banca non ha molte altre possibilità. E questo dovrebbe preoccupare le istituzioni. La risposta che ci viene data è che qui non ci sono molte realtà industriali. Ma è un cane che si morde la coda: come fanno a svilupparsi se manca la liquidità?».
Nell’assordante silenzio dei vertici regionali, si sta pian piano delineando un sistema che, invece di fornire servizi, li sta pian piano togliendo. In una fase storica, quella causata dall’emergenza sanitaria, che invece richiede una continua liquidità per restare a galla.
E le preoccupazioni più grandi sono per il futuro, quando (forse) arriverà il “fiume” di denaro legato al Recovery Fund.
Chi gestirà questi flussi? Le banche ovviamente. Ma se la Basilicata, in questo sistema, non ha alcuna voce, cosa potranno aspettarsi le realtà imprenditoriali locali, la maggior parte delle quali rappresentato da aziende piccole e medie a conduzione familiare?
Sono queste le domande che si fanno i sindacati e, al momento, sembra solo loro.
«Attendiamo risposte da anni – dice Castello – nel gennaio 2020, abbiamo chiesto una conferenza sul credito. Chiedevamo alla Regione di intervenire, di aprire una discussione anche con le altre Regioni meridionali. Perché il problema è serio e coinvolge tutti, se non sosteniamo la ripresa il sud non riparte. Siamo ancora in attesa di risposte».
Perché è necessario avere riferimenti in regione? «Perché a Milano, dove hanno la sede centrale i principali gruppi presenti in Basilicata, i criteri sono diversi. Si tratta di un tessuto imprenditoriale e territoriale completamente diverso dal nostro. Per loro l’attendibilità di un’azienda si basta su condizioni diverse. Chi sta sul territorio conosce le varie situazioni, sa che l’attendibilità sui rimborsi si basa anche su altri parametri rispetto a quelli che possono essere validi altrove. E se, come previsto dal Decreto liquidità, la garanzia la offre lo Stato, la banca diventa ancora più un soggetto pubblico, che deve finanziare le imprese anche se non rientrano nei parametri previsti a livello nazionale. Ecco perché diciamo che dovrebbe esserci uno strumento a livello locale. Potrebbe diventarlo Sviluppo Basilicata? Chissà, noi proponiamo ma la Regione non risponde».
Come non ha risposto – nonostante un ordine del giorno approvato all’unanimità nel giugno del 2019 – sulla vicenda della Banca popolare di Bari.
«Chiedevamo – dice Enzo Atella, segretario della Fisac Cgil – che la Regione Basilicata si muovesse in difesa di un istituto che gestisce, tra l’altro, le tesorerie di molti Comuni e del San Carlo. Tutto rimasto lettera morta. Eppure la Puglia, per sostenere l’istituto, è entrata nel capitale sociale. Qui non si è mossa foglia».
E mentre il quadro è in grande movimento, con molti grandi accordi ancora in itinere, si chiudono altri sportelli: destinati alla fine quelli della Popolare di Bari di Ferrandina e Tito, per esempio.
E ci si aspettano altre riduzioni per le fusioni di Ubi, Banca Intesa e Bper. «A Senise per esempio – dice Atella – lo sportello Ubi è stato assegnato a Bper. Questo significa chiudere uno dei due sportelli che finora hanno funzionato. Meno servizi, meno personale».
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