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Si riapre il dibattito sullo smaltimento di scorie nucleari, in Basilicata preoccupano le 14 aree risultate idonee per gli impianti
Scorie nucleari da smaltire: torna l’allarme rosso in Basilicata. A riaccendere le preoccupazioni dei lucani sono state le dichiarazioni del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin che ha parlato non più di un unico sito, ma di tre impianti di dimensioni più piccole da realizzare uno al Nord, uno al Centro ed un altro al Sud. Al sud si, ma dove ? La domanda è legittima dopo che a margine di un convegno a Roma, nella sede di Confindustria, Pichetto Fratin ha detto: «Tutti i giorni produciamo scorie nucleari a bassa e media intensità», riferendosi ai rifiuti radioattivi prodotti dagli ospedali e dalle industrie. «In questo momento – ha aggiunto – abbiamo 30 e più siti di stoccaggio. La cosa bella sarebbe ridurli a uno. Altrimenti uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud. E’ una valutazione da fare».
IN BASILICATA 14 AREE IDONEE ALLO SMALTIMENTO DI SCORIE NUCLEARI
L’ipotesi di individuare un luogo di stoccaggio al Sud ha mandato in fibrillazione anche la Basilicata che tra Genzano, la Murgia e il Metapontino conta il maggior numero di siti del Mezzogiorno definiti idonei dai tecnici ministeriali: 14, di cui 4 in condivisione con la Puglia. E i rifiuti radioattivi ad alta intensità , quelli provenienti soprattutto dalle centrali nucleari dismesse, resterebbero «parcheggiati» tra Francia e Gran Bretagna. A Pagamento.
Una soluzione necessaria, secondo Fratin, quella dei tre piccoli depositi per rispondere alle pressioni dell’Unione europea e dare una sede più stabile alle scorie a bassa e media intensità già stoccate (ma sovente in maniera precaria) in una trentina di siti sparsi sul territorio nazionale. Inoltre, la realizzazione di impianti di dimensioni più piccole, secondo il ministero, potrebbe permettere di archiviare le resistenze delle popolazioni locali. Ad oggi, infatti, dopo il ritiro dell’ autocandidatura di Trino Vercellese, in Piemonte, nessun altro Comune si è fatto avanti per ospitare il deposito di scorie. Ma il rischio concreto a cui si va incontro è quello di dover fronteggiare non più l’opposizione di un unico territorio, ma addirittura di tre.
LE VALUTAZIONI DI IMPATTO AMBIENTALE
Intanto, va avanti la procedura di valutazione di impatto ambientale sulle 51 zone individuate dalla Carta nazionale delle aree idonee. Questa attività dovrebbe durare all’incirca un anno. Al termine, l’indicazione del sito.
Per la Basilicata restano in corsa, come detto, 14 possibili aree, tra cui 5 nel solo territorio di Genzano, dove sono ancora forti le perplessità, sia da parte degli amministratori che della popolazione, secondo cui il territorio, per sua natura, non si presta ad ospitare questo tipo di impianto.
Ci sarebbero anche altri elementi, oltre a quelli già evidenziati in passato, a supporto del ‘no’ al progetto di stoccaggio dei rifiuti radioattivi. «C’è un aspetto forse dirimente che non è stato considerato nell’individuazione dei cinque siti per la possibile realizzazione del deposito: le aree sono piene di aziende agricole biologiche la cui attività è tutelata dalla legge». Lo sostiene l’associazione Vas per il Vulture Alto Bradano da sempre molto attivo nella tutela del territorio lucano.
IL “NO” DEL COMUNE DI GENZANO
Il comune di Genzano, già nel luglio del 2021, aveva espresso la sua contrarietà alla Sogin, riuscendo a far escludere una delle aree individuate nel territorio bradanico che in origine erano sei. Non solo. Il Comune ha anche presentato ricorso al Tar del Lazio per l’annullamento della proposta della Carta nazionale delle aree idonee.
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Fino ad ora, al vaglio del ministero dell’Ambiente, c’era stata una sola ipotesi: quella di un deposito unico che in tutto dovrebbe occupare 150 ettari: 110 per il deposito vero e proprio e 40 per un parco tecnologico dedicato alla ricerca e alla formazione sul nucleare. Il deposito dovrebbe essere costituito da 90 costruzioni in calcestruzzo armato, le ‘celle’, dove verrebbero sistemati circa 78.000 metri cubi di rifiuti a molto bassa o bassa attività.
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