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POTENZA – Se c’è una cosa che questa pandemia ci ha insegnato è che c’è bisogno di più sanità. Organizzata diversamente certo, ma con una presenza più capillare sul territorio. Perché il momento della cura non si ferma all’ospedale e, spesso, neppure sarebbe necessario. Ma non esistendo strutture intermedie, si finisce per andare a occupare un posto in ospedale, «con un costo molto alto dal punto di vista economico – sottolinea Antonio Guglielmi, segretario regionale Uil Fpl – ma non solo: il paziente viene anche trattato in maniera inappropriata».

Secondo i dati della “Relazione sullo sviluppo delle Case della salute e degli ospedali di Comunità nelle regioni italiane” redatta dalla Camera dei deputati, la Basilicata è all’anno zero su questi temi. Nessun ospedale di comunità, una sola Casa della salute in tutta la regione, attivata a Tricarico nel 2013 in un’ala dell’ospedale voluto da Rocco Scotellaro.

Operativi 4 medici di medicina generale: «Funziona certo, ma il progetto era partito con ben altre intenzioni». Per il resto nulla. Una decina di anni fa qualche medico propose il progetto a Muro Lucano (dove c’è una struttura ospedaliera sottoutilizzata), ma poi non se ne fece mai niente.

«Dobbiamo tener presente – spiega Vincenzo Tortorelli, segretario generale della Uil – che il nostro territorio è molto particolare: c’è una popolazione anziana, spesso residente in piccoli centri molto lontani dai grandi ospedali. Ci sono tante fragilità. E non si può immaginare (del resto la pandemia ci ha insegnato che questo modello è sbagliato), che l’ospedalizzazione sia l’unica soluzione. Anche perché quando escono dall’ospedale molti pazienti avrebbero ancora bisogno di cure e assistenza. E non tutti hanno a casa dei figli che possano aiutarli. Per questo dovremmo riportare nei territori le cure, questa deve essere la nuova frontiera».

Ma di cosa parliamo precisamente? Come si legge nella stessa relazione della Camera dei deputati, «la Casa della salute è stata prevista dalla legge Finanziaria 2007». Per avviarle in tutta Italia, sono stati messi a disposizione 10 milioni di euro.

All’interno della struttura devono trovare collocazione gli studi dei medici di medicina generale e deve essere garantita la continuità assistenziale 7 giorni su 7 e per le 24 ore attraverso il lavoro in team con i medici di continuità assistenziale e di emergenza territoriale. Inoltre, nella Casa della salute «deve essere attivato l’ambulatorio infermieristico e l’ambulatorio per le piccole urgenze che non richiedano l’accesso al Pronto soccorso ospedaliero».

In pratica delle strutture in cui collaborino i medici di famiglia, ci siano infermieri specializzati ma anche associazioni che magari organizzano incontri per la prevenzione o che assistono a domicilio i pazienti.

Questo significherebbe non solo offrire un’assistenza continua, ma anche più capillare, veloce. E ridurrebbe i costi di accesso alle cure ospedaliere che, invece, sono molto più alte. «E’ un problema di investimenti – dice Tortorelli – ma noi rivendichiamo una nuova politica che posso riportare le cure nei territori: questo è l’insegnamento che ci deve lasciare questa terribile pandemia»

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