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Una vaccinazione

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POTENZA – Questa delle due signore quasi centenarie – i cui familiari hanno dovuto battagliare per farle vaccinare – non è una storia con esito negativo: alla fine ce l’hanno fatta. E’ invece una storia in cui l’esito positivo, la vaccinazione, è stato raggiunto – a quanto raccontano le due figlie, Mariolina Robilotta e Rosa Maria Salvia – solo dopo che le due hanno sbattuto i proverbiali pugni su virtuali scrivanie. Ossia: solo dopo che il rispetto di un diritto sacrosanto, quello alla salute (e di un principio altrettanto sacrosanto, l’attenzione ai più deboli) è stato raggiunto non automaticamente ma chiedendone conto, e con forza, alle autorità.
E ora – dopo esserci riuscite – le due amiche vogliono rendere nota la storia perché si sblocchi la situazione anche per le altre persone che sono nella stessa condizione («Sono circa 250, solo a Potenza», dice Salvia) e che non hanno gli stessi mezzi.

«Le nostre mamme, di 96 anni e mezzo la mia e poco più grande quella di Rosa Maria – spiega Robilotta – non sono potute andare a fare la vaccinazione per gli ultraottantenni: la sua è allettata, la mia non può camminare. Abbiamo chiesto la vaccinazione a casa. Ci arriva, più di un mese fa, la telefonata dell’Asp con cui ci dicevano che sarebbero venuti. Non li abbiamo sentiti fino al 26 marzo, quando una nuova telefonata ci ha fatto sperare che fosse questione di poco. Ma anche questa volta non è accaduto nulla».

«Figlie di genitori a rischio – continua – ci aspettavamo che l’equipe vaccinale venisse presto. Noi (che peraltro siano settantenni) diventiamo veicolo di possibile infezione per le mamme, oltre al fatto che c’è sempre una badante, tre persone che gravitano intorno a casa. Mi sembra che si veda subito l’urgenza della vaccinazione a domicilio». Di questi dubbi e di questi problemi Robilotta scrive su Facebook ottenendo subito la solidarietà di altri utenti. Peraltro, aggiunge, «risultava chiaro a tutti che il ritardo non era dovuto a mancanza di vaccini ma al ritardo del sistema sanitario regionale». «Mia madre ha quasi 98 anni, è allettata con pluripatologie – ribadisce l’amica Rosa Maria – mentre hanno vaccinato il personale amministrativo e chissà quanti altri in maniera piuttosto arbitraria. E deploriamo anche la mancanza di trasparenza e informazione. Ce n’è voluto per riuscire a scoprire che il compito non era più dell’Adi (l’Assistenza domiciliare integrata, ndr), la cui infermiera viene ogni settimana a casa, ma dell’Asp. Dall’Adi ci hanno detto: “L’abbiamo fatto per due giorni, poi ci hanno fermato”. Dall’Asp ci hanno anche detto che non avevano le dosi, ma sappiamo che non era vero».

Alla fine, la questione si risolverà, con una serie di azioni da parte della famiglia. Non ultima quella del marito di Rosa Maria, Pietro: «Ricordo che a Potenza ci sono ancora 250 persone nelle stesse condizioni. Chissà quante in Basilicata. Mi sono prima rivolto all’Urp dell’Asp. Ho avuto promesse, ma non si è risolto nulla. Poi ho scritto una mail al prefetto e all’Asp e detto che avrei chiamato le tv davanti alla sede dell’Azienda sanitaria».
Qualunque sia stata la mossa risolutiva – questa o altre che sono state tentate, e ce ne sono che non raccontiamo per questioni di privacy – alla fine i vaccinatori arrivano a casa di Salvia.

«Dopodiché Rosa Maria è riuscita a convincerli a venire anche a casa mia – racconta Robilotta – Ci hanno chiamati alle due, mentre mangiavamo, e sono venuti».
Il succo della storia? Lo spreme Robilotta: «Ci ha fatto male la scarsa considerazione per una categoria fortemente a rischio. Sembra che la vita delle persone quasi centenarie non importi quasi più, possono morire sole e abbandonate a casa o in ospedale. Una categoria che avrebbe dovuto avere la priorità ma siamo ancora ai piedi di Pilato. Aspettano che muoiano per risparmiare i vaccini? C’è una grande rabbia per una realtà sanitaria regionale che è quella che è».

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