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Decessi sul posto di lavoro, le cosiddette morti bianche: un vero annus horribilis per la Basilicata: ben 14 vittime in 10 mesi


POTENZA – Volevano solo avere un ruolo nel gran gioco della vita, un modo per essere utili a sé e agli altri, per sostenere la propria famiglia. Sono usciti di casa dando un bacio, uno sguardo – magari distratto, forse pensieroso – a mogli e figli, convinti di ritrovarli al ritorno e condividere di nuovo pranzi, cene, gioie e dolcezze familiari.
E invece quello era l’ultimo bacio, l’ultimo sguardo.
Sono i morti sul lavoro. La Basilicata quest’anno – fra i suoi figli morti in loco o fuori regione e i lavoratori venuti sul territorio lucano a lavorare – ne ha contati 14. Troppi. Ma i morti sul lavoro sono così, sempre troppi, sempre «l’ultimo», sempre «non deve accadere mai più», sempre «ci impegneremo perché non succeda un’altra volta».
E poi ce n’è un altro, un’altra.

IL RIFLESSO DELLA FRAGILITA’

A volte – come leggerete nelle storie che seguiranno – sono evidenti fatalità, un’eco profonda che richiama l’uomo alla sua fragilità di fronte a ciò che sfugge al controllo. Davanti alla quale provare solo sgomento.
Altre, un errore umano, riflesso della nostra imperfezione di fronte a sistemi che spesso ci superano per complessità o velocità. Non è mai soltanto uno sbaglio: è l’incontro drammatico tra la fatica, la distrazione, la pressione e, talvolta, l’illusione di poter domare ciò che appare familiare. È il margine in cui si annidano l’usura della ripetizione e l’invisibile peso delle responsabilità, un attimo che sfugge e diventa causa, trasformando l’ordinario in irreparabile.
Spesso dietro questo errore si nasconde una verità più grande: il fallimento di un contesto – quello delle aziende che disapplicano le misure di sicurezza – che non ha saputo prevedere, proteggere o insegnare.

Certo, non si possono mettere sullo stesso piano la morte di un operaio al lavoro e di un anziano che si gode la pensione e cade nel dirupo col trattore mentre ara le proprie zolle per diletto.
Ma tradizionalmente, in materia, la pubblicistica e la statistica non fanno differenze fra le due casistiche, e quindi ne tratteremo anche qui.
In tutte le storie riporteremo le dinamiche degli incidenti conosciute all’epoca dei fatti. Non si può sapere, al momento, se le indagini hanno stabilito nuove verità.

IN CAMPAGNA

Alessandro Fabiano, 66 anni, è un carabiniere in congedo. Sta lavorando nel suo podere, in via Angeli della Strada, con una motozappa.
Le gambe rimangono incastrate fra i denti della macchina, che ne fanno strazio.
Arrivano vigili del fuoco ed eliambulanza del 118, ma non c’è più nulla da fare. E’ il 17 marzo.

NEL BOSCO

La seconda vittima è arrivata il 30 marzo, giorno di nascita della cantautrice Tracy Chapman che in “Change” cantava: «Se tu sapessi di morire oggi e vedessi il volto di Dio e dell’amore, cambieresti?».
Gianluca Zucca, 38 anni, di Castrovillari (Cosenza), sta lavorando nel bosco di Sarconi. Deve raggiungere località Grottelle, nei pressi del vecchio tratturo della Madonna di Montauro, alla guida di un trattore. Quando si accorge di averne perso il controllo, si lancia giù dalla macchina, ma viene travolto proprio da quei tronchi che sta trasportando.
Morirà di lì a poco nell’Ospedale San Carlo di Potenza – dov’è arrivato in eliambulanza per essere sottoposto a un disperato intervento chirurgico – per le ferite riportate.
Il giorno dopo Vincenzo Tortorelli, segretario della Uil Basilicata, dirà che «anche la perdita di una sola vita umana è inaccettabile», ricordando e annunciando manifestazioni nazionali in tema.

SULLA CHIESA

Il 24 aprile Donato De Luca, 57 anni, sta lavorando come muratore in un cantiere speciale: la nuova chiesa che sta sorgendo a Oppido Lucano, dedicata ai santi Pietro e Paolo.
È su un’impalcatura a due o tre metri d’altezza. Forse una lamiera mossa dal vento lo colpisce e gli fa perdere l’equilibrio, o magari un piede in fallo. Fatto sta che Donato cade giù dal ponteggio. E muore lì sotto, a via Roma, mentre si sta innalzando un tempio di preghiera.
Vedovo da sei mesi, lascia una figlia di 20 anni.

NELLA CAVA

Mario Sandro Bainotto, 55, non è lucano. Viene dall’Argentina ed è residente a Cuneo.
A Pignola si trova per lavorare in contrada Petrucco con un’azienda che si occupa di asfalti e pavimentazioni di strade. Si sa solo che, mentre è impegnato nel lavoro nella cava, un incidente ne causa la morte per schiacciamento, forse a causa di un cestello pieno di bitume agganciato a un mezzo meccanico.
L’elisoccorso si precipita in zona ma il personale medico può solo accertare la morte dell’uomo.
Immediate le parole di condanna da parte dell’Ugl («Dire “basta” alle cosiddette morti bianche, non basta più. È necessario intervenire sulla prevenzione»), poi Cgil, Cisl e Uil («Dobbiamo sconfiggere insieme il silenzio della morte. La sicurezza sul lavoro riguarda tutti»), infine la Cna Artigiani («È essenziale incrementare i controlli, ma questi devono essere accompagnati da un approccio collaborativo e non punitivo. Le imprese devono sentirsi supportate e non ostacolate»).

SULLA STRADA

Alfio Musto, 53 anni, di Ginestra, sta guidando un autocarro pieno d’inerti a San Fele, non lontano dalla cava Costantinopoli.
Sono le 16:20 del 31 maggio, la temperatura esterna è sui 15 gradi, non piove.
Per quale motivo il mezzo sbanda e finisce violentemente contro un albero? Sul momento, la dinamica è tutta da indagare. Musto perde la vita fra lamiere talmente accartocciate che solo i vigili del fuoco riusciranno a estrarne il corpo.
La sindaca di Ginestra, Fiorella Pompa, diffonde subito una nota in cui esprime «l’immane dolore» dell’intera comunità.

IN DUE FRA LE FIAMME

Giuseppe Martino e Nicola Lasalata, entrambi di 45 anni, sono vigili del fuoco, “esperto” il primo e “coordinatore” il secondo. Sono in forze al distaccamento di Policoro dopo anni passati a Corato, in Puglia.
Prima delle 15 del 17 luglio arriva una chiamata: c’è un brutto incendio in contrada Salice di Nova Siri, pare ci siano anche case minacciate dalle fiamme.
Alle tre e un quarto i due sono già sul posto. Il loro obiettivo è per mettere in sicurezza due abitazioni che effettivamente si trovano nel perimetro del rogo.
Il consueto slancio di generosità e coraggio dei vigili del fuoco. Anzi, si può parlare di eroismo vero e proprio, senza timori di fare della retorica: in una delle case vive una persona anziana, disabile e costretta a letto.

I due pompieri si calano in un dirupo per raggiungere quella casa. Ma spira un vento forte che in pochi minuti fa di quell’incendio una trappola. I due sono prigionieri fra le fiamme. Vi troveranno la morte. Nulla potranno fare per loro gli operatori del consorzio di bonifica, gli uomini della Protezione civile, l’elicottero e i due canadair che incrociano sui cieli arrossati dal fuoco.
La notizia questa volta commuove la Basilicata, l’intero Paese e sarà citata anche da giornali e tv all’estero.

Sul posto si precipitano il comandante provinciale dei vigili del fuoco Maddalena Lisanti, il pubblico ministero Annafranca Ventricelli, il colonnello Giovanni Russo comandante dei carabinieri di Matera e i familiari delle vittime. Il sindaco di Nova Siri Antonello Mele proclama il lutto cittadino.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, invia un messaggio inviato al Capo del Dipartimento dei vigili del fuoco Renato Franceschelli. Parole commosse da parte del presidente dela Regione, Vito Bardi, che visita il Comando di Matera con con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Poi parte un turbinio di messaggi da tutte le più importanti cariche, gli allievi a Roma annullano il giuramento, rendono loro onore biker e ultras, la camera ardente si riempie e la notizia travalica i confini. Ai funerali la folla rende omaggio ai due «eroi di civiltà».

FUORI DAL TRIBUNALE

Agostino Vita, 57 anni, il 26 novembre è al tribunale di Potenza per la ditta Infissi Masino di Villa d’Agri, la cittadina in cui vive.
Lavora all’esterno dell’edificio. E’ sul montacarichi, deve portare fino al quinto piano una lastra di vetro che probabilmente sporge dal gabbiotto del macchinario.
La vetrina a un certo punto s’incastra contro un qualche elemento architettonico del Palazzo di Giustizia, struttura caratterizzata da un disegno architettonico tutto asimmetrie e volumi aggettanti. Il montacarichi però non si ferma e l’uomo viene schiacciato. Muore lasciando lascia una moglie e due figlie, una delle quali minorenne.
Al Quotidiano del Sud, il coordinatore della sicurezza dei lavori, l’ingegnere Carmine Rocco Mecca, dichiara di non essere mai stato avvisato della presenza di quegli operai, né delle attività che avrebbero svolto.
La sostituta procuratrice Antonella Mariniello indaga subito tre persone fra le ditte incaricate delle opere.

DAL TRALICCIO

Giuseppe Schettino, di Pedali di Viggianello, 51 anni, vive da tempo a San Pietro in Casale in provincia di Bologna con la compagna e una bimba di due anni. A Pedali vivono il padre e il fratello.
Venerdì 29 novembre sta lavorando a Fontana di Sasso Marconi, nel Bolognese, per una società appaltatrice di Enel che si occupa di cablaggi (la Eleonor con sede ad Altedo, frazione di Malalbergo).
Sono le 11:30 e Schettino si trova su un traliccio a un’altezza di due metri o poco più in via Rupe.
Perché cade? Non si sa. Di sicuro la caduta lo lascia a terra, ferito in maniera grave. Sembra che a chiamare i soccorsi sia stato un passante perché Giuseppe sta lavorando da solo.
L’autoambulanza vola fino all’ospedale Maggiore di Bologna, ma è tutto inutile: muore poco dopo.

MESE TERRIBILE

Ed ecco che arriva dicembre. Una sfilza di morti s’inanella in soli tre giorni come difficilmente si ricorda.
Due di questi fanno parte di una storia che ha turbato l’intera nazione.
Quella che segue e che apre il mese terribile.

NEL DEPOSITO

La mattina dell’11 dicembre le operazioni nel deposito di carburanti Eni di Calenzano, nel Fiorentino, vanno avanti secondo la consueta routine. Grosse cisterne in fila, gli addetti a riempirle di combustibili.
Alle 10:20 un boato riempie l’aria in un raggio di decine di chilometri. Finestre e vetrate si polverizzano. Molti pensano all’esplosione di un’immane bomba.
E invece è uno scoppio interno al deposito, legato pare a una perdita di liquido.
Muoiono cinque persone. E di queste, due sono lucane: Franco Cirelli, 50 anni, di Cirigliano e Gerardo Pepe, 45 anni, di Sasso di Castalda. Entrambi dipendenti della “Sergen”, ditta con sede a Grumento Nova, che opera nella manutenzione di impianti petroliferi (la stessa ditta in cui lavora Luigi Murno, 37 anni, di Villa d’Agri, rimasto gravemente ustionato e ricoverato a Pisa), entrambi alla guida di autocisterne.

Cirielli è un ex paracadutista della Brigata “Folgore”, ha anche preso parte negli anni Novanta all’operazione di pace “Ibis” in Somalia sotto l’egida dei caschi blu Onu. Lascia due figli piccoli e una compagna. Pepe (che in realtà è nato in Germania ma si considerava a tutti gli effetti lucano), lascia moglie e una figlia.
Immediato uno sciopero di due ore con assemblea e presidio davanti alla raffineria Eni di Livorno, indetto da Fim Fiom Uilm, i cui dirigenti dicono: «Questa è una guerra silenziosa che sembra non finire mai e suscita interesse sempre solo dopo tragedie come questa».
Al Senato si osserva un minuto di silenzio. La procura di Prato apre un’inchiesta per diverse ipotesi di reato fra cui omicidio colposo plurimo.
I lucani sono commossi dalla storia di due corregionali che per lavorare hanno affrontato la lontananza, i sacrifici e in ultimo la morte.
I sindaci di Cirigliano, Marco Delorenzo, e di Sasso di Castalda, Rocchino Nardo, hanno parole di grande partecipazione anche personale
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, proclama il lutto regionale.

SOTTO LA LEGNA

Andrea Viola, 67 anni, vive a Castronuovo Sant’Andrea. È in pensione da agosto dopo tanti anni passati a fare l’operaio.
Sta effettuando alcuni lavori nel proprio podere. Carica la legna. Si trova alla guida di una motocarriola, un piccolo mezzo che serve a trasportare pesi altrimenti proibitivi.
Può essere il fondo stradale bagnato o la pendenza da superare o ancora un carico eccessivo: qualunque sia la motivazione, l’autocarriola si ribalta e l’uomo resta travolto dai pezzi di legno.
La moglie se ne accorge e chiama aiuto. Arrivano la polizia locale, i vigili del fuoco e ovviamente il 118. Ma Viola spira dopo pochi minuti. Era in pensione dallo scorso mese di agosto dopo aver lavorato per una vita come operaio.

SUL CANTIERE

Salvatore Briamonte, di Sant’Arcangelo dove vive, ha 65 anni e lavora ancora. E non è un lavoro leggero: è impegnato con un ditta appaltatrice in un cantiere Anas in provincia di Sondrio.
Fa la spola fra casa sua in Basilicata e la località del nord.
“Una vita di sacrifici” è un’espressione che nel suo caso ha una concretezza che sa di amaro.
Il 13 dicembre è appunto a Bianzone, in Valtellina, nel cantiere Anas per la realizzazione della nuova tangenziale di Tirano.
Si trova alla guida di un macchinario che serve a spargere cemento sul terreno. Anche in questo caso – come per quasi tutti quelli che abbiamo letto finora – resta aperto a varie ipotesi ma sostanzialmente sconosciuto il momento clou, quello dell’incidente.
«Per motivi ancora in corso di accertamento», si legge infatti sulle cronache dell’epoca, intorno alle 13:30 Briamonte cade nel macchinario e vi resta intrappolato. I colleghi, impegnati con lui nell’area del cantiere dove sorgono i prefabbricati, chiamano orripilati i soccorsi. L’Agenzia regionale emergenza-urgenza della Lombardia invia gli operatori sanitari del 118 con le ambulanze, poi arrivano i carabinieri di Tirano, i vigili del fuoco, decolla anche l’elisoccorso dalla vicina base di Caiolo. Tutti tentativi inutili di salvargli la vita: l’operaio lucano è già morto, lasciando una moglie, tre figli e anche un nipote.

A chiudere il cerchio di questo annus horribilis, tornano le parole di Vincenzo Tortorelli della Uil che interviene per Briamonte così com’era intervenuto, il 30 marzo, per Zucca: «Non possiamo e né vogliamo tenere il conto delle stragi sul lavoro. Adesso basta», dice il sindacalista.
«La nostra comunità è sconvolta», dichiara Salvatore La Grotta, il sindaco di Sant’Arcangelo, che poi ricorda le qualità di un uomo mite con un’attitudine alla fatica e alla rinuncia: «Era un grande lavoratore, costretto ad andare fuori per andare avanti».

IL MARTIRIO DIFFUSO

Se si analizzano queste parole – costretto ad andare fuori per andare avanti – si ha la sintesi perfetta del concetto di morte sul lavoro: una sorta di martirio diffuso, un’immolazione spesso evitabile per la quale – al di là delle parole, sempre tante, sempre troppe – non sembra esserci progresso.
E a volte si aggiunge un altro luogo comune, quello della “ironia della sorte”: il cantiere in cui era impegnato Briamonte riguarda una delle opere che sono state progettate nell’ambito dei Giochi Olimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
Morto per il divertimento degli altri.

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