Michele Cannizzaro
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Caso Cannizzaro, tutta la verità sulle condanne: la Cassazione ha confermato la condanna per don Marcello Cozzi a risarcire il direttore generale del San Carlo, Michele Cannizzaro, per danni da diffamazione
LA Corte di cassazione ha confermato la condanna al sacerdote potentino don Marcello Cozzi, a risarcire 30mila euro all’ex direttore generale del San Carlo, Michele Cannizzaro, per danni da diffamazione. I fatti risalgono al periodo tra il 2007 e il 2008, quando sul Quotidiano della Basilicata, testata edita dalla società Luedi srl e all’epoca diretta da Paride Leporace, comparvero una serie di articoli in relazione alle vicende finite nel calderone della maxi-inchiesta della procura della Repubblica di Catanzaro, denominata “Toghe lucane” e condotta dall’allora pm Luigi De Magistris. Articoli in cui era chiamato in causa Cannizzaro, marito dell’allora pm della procura della Repubblica di Potenza Felicia Genovese.
In seguito alle prime notizie sul coinvolgimento di entrambi nell’inchiesta, conclusasi nel 2011 con l’archiviazione di tutte le accuse, lei venne trasferita a Roma dal Consiglio superiore della Magistratura, ad aprile 2007, e lui, qualche settimana dopo, si dimise dalla guida dell’azienda ospedaliera.
LE RICHIESTE DI RISARCIMENTO DI CANNIZZARO E LE PRIME CONDANNE
Nel frattempo, però, le pubblicazioni non si fermarono, e a ottobre del 2008 partirono le richieste di risarcimento di Cannizzaro. In primis a don Cozzi, Leporace e Luedi per un articolo del sacerdote fondatore di Libera Basilicata, intitolato “I misteri lucani di don Cozzi”. Articolo già pubblicato a novembre del 2007 sulla rivista bimestrale Micromega, e riproposto sul Quotidiano della Basilicata a marzo 2008, in vista della Giornata e della memoria e dell’impegno organizzata dall’associazione antimafia. Quindi agli stessi Leporace, Luedi e Amendolara per alcuni articoli a firma di quest’ultimo. In particolare un articolo di giugno 2008 in cui si dava conto di quanto contenuto nella richiesta di archiviazione delle accuse mosse a De Magistris per la conduzione dell’inchiesta Toghe lucane. Nello specifico delle dichiarazioni rese dallo stesso don Cozzi all’allora pm di Catanzaro sul coinvolgimento di Cannizzaro in alcuni presunti giri d’usura, mai esistiti.
In primo grado, nel 2011, il Tribunale di Potenza aveva condannato Leporace e la società Luedi a pagare 30mila euro di risarcimento. Amendolara a pagarne 6mila. Undici anni dopo, tuttavia, la Corte di appello di appello di Potenza ha preso atto del fallimento di Luedi srl e ha esteso la condanna al pagamento dei 30mila euro a don Cozzi. A proporre ricorso in Cassazione, però, è stato solo don Cozzi, mentre Leporace e Amendolara hanno accettato il verdetto di secondo grado. Pertanto all’udienza dello scorso 30 settembre è comparso il solo difensore del sacerdote.
L’UDIENZA IN CASSAZIONE E LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA
Mercoledì scorso, 4 novembre, sono state depositate le motivazioni della sentenza. Oscurate dalla banca dati della Cassazione come previsto per legge, su richiesta delle parti in causa, quando si riscontra “la particolare natura dei dati e la delicatezza della vicenda trattata”. Già all’indomani del deposito, però, quelle stesse motivazioni sono state veicolate ad alcune testate locali, che ne hanno dato notizia in contemporanea, con alcune significative omissioni rispetto alla ricostruzione della vicenda processuale consacrata dai giudici di piazza Cavour. Oltre a un certo tono didascalico.
Su Cronache lucane, non si è dato conto della condanna di Leporace e Amendolara. Il primo attualmente in servizio come conduttore di un programma di approfondimento giornalistico trasmesso dalla consociata Cronache tv. E il secondo ex direttore, per alcune settimane, proprio della testata “madre” Cronache lucane.
Allo stesso modo in un primo articolo pubblicato sulla Nuova del Sud, sempre venerdì 6 novembre, si è dato conto della condanna di Leporace ma non di Amendolara, co-autore con un redattore della stessa testata di un libro di recente pubblicazione su una di quelle vicende finite nel calderone di Toghe lucane, il caso Claps. Mentre un secondo articolo, pubblicato lunedì 9 novembre, ha dato conto della condanna anche di Amendolara, ma ha omesso di spiegare, come Cronache, quanto chiarito fin dall’atto di citazione originario di Cannizzaro. Ovvero che l’articolo di don Cozzi “incriminato” altro non era che la riproposizione di quanto pubblicato mesi prima su una nota rivista a diffusione nazionale.
LA DECISIONE RIGUARDOLE TESI DI DON COZZI
La terza sezione civile, presieduta da Giacomo Travaglino, ha respinto le eccezioni del sacerdote tendenti ad avvalorare, in chiave scriminante, la chiosa contenuta nel suo articolo a proposito dell’avvenuta archiviazione delle accuse rivolte a Cannizzaro da un pentito. Accuse riproposte a distanza di anni malgrado, appunto, l’acclarata infondatezza.
Bocciata, poi, la tesi dell’esercizio del diritto di lanciare “un monito etico e morale – quello cioè ad evitare le cattive frequentazioni – che don Marcello Cozzi, per il ministero svolto e per l’attività sociale svolta con Libera, si sentiva in dovere di rivolgere alla collettività”. Perché il sacerdote, secondo la Cassazione: “non ha mai fatto richiamo al suo ruolo di ministro di culto, bensì a quello di rappresentante dell’Associazione Libera, ma, in ogni caso né nell’una, né nell’altra veste, si potrebbe ritenere che la redazione dell’articolo in questione possa ritenersi scriminata”.
Un ultimo motivo di ricorso, respinto come i precedenti, atteneva, infine, all’assenza della volontà di diffamare Cannizzaro. Tema che secondo la Cassazione sarebbe stato affrontato in maniera esauriente dalla Corte d’appello.
CASO CANNIZZARO, LA VERITÀ SULLE CONDANNE E LE REAZIONI
Contro la condanna a don Cozzi nei giorni scorsi si è espresso pubblicamente Giuseppe Giulietti, cinque volte deputato, già presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), e segretario Usigrai, e fondatore di Articolo21, associazione di promozione del principio della libertà di manifestazione del pensiero” enunciato proprio all’articolo 21 della Costituzione.
«Ci lascia quanto meno perplessi la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la sanzione pecuniaria contro don Marcello Cozzi, già vicepresidente nazionale di Libera, voce profetica nella sua Basilicata, uomo di fede, impegnato nella quotidiana lotta per la legalità, la verità e la giustizia». Così Giulietti sul sito di Articolo21, evidenziando che sentenze di questo tipo rischiano di separare «il contesto dal testo».
«Naturalmente – ha concluso l’ex deputato – rispettiamo la sentenza, naturalmente continueremo a respingere ogni bavaglio contro i giudici (ma anche contro l’Articolo 21 della Costituzione), naturalmente continueremo a stare dalla parte di don Marcello Cozzi, di Libera, e di quanti, ogni giorno, si battono contro mafie, massonerie, illegalità, indicibili compromessi».
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