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Franco Cupparo, Francesco Piro e Rocco Leone

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POTENZA – La giunta regionale guidata dal governatore Vito Bardi aveva tutto il diritto di modificare le istanze di Via Verrastro nel giudizio sulla legittimità della nomina di Massimo Barresi come direttore generale del San Carlo, rimettendosi alla determinazioni del Tar «senza insistere» nella sua difesa. D’altro canto, «collegare» questa volontà al perseguimento di «un risultato illecito costituito dalla soccombenza del Barresi», significa «disconoscere al giudice amministrativo la propria autonoma valutazione della vicenda». Insinuando, in altri termini, che potesse farsi condizionare nelle sue decisioni, a scapito delle ragioni, ben rappresentate in giudizio, dello stesso Barresi. Non c’è solo il tema dell’attendibilità dei supertestimoni dell’accusa dietro la bocciatura delle contestazioni mosse dai pm potentini ai vertici della Regione sulla cosiddetta “vicenda Di Giacomo”.

È quanto emerge in alcuni dei passaggi più complessi delle motivazioni, depositate soltanto nei giorni scorsi, dei provvedimenti con i quali a fine ottobre il Tribunale del riesame di Potenza ha annullato le misure cautelari nei confronti dell’ormai ex assessore regionale all’Agricoltura, Franco Cupparo (Fi), dell’ex sindaca dell’ormai disciolta amministrazione di Lagonegro, Maria Di Lascio, e dell’attuale direttore generale del San Carlo, Giuseppe Spera.

Motivazioni dirompenti, che hanno minato nel profondo l’impianto della maxi inchiesta sulla “mala politica lucana” e oggi stesso potrebbero portare alla revoca delle misure cautelari ancora in essere nei confronti di due consiglieri regionali in carica: Francesco Piro (Fi) e Rocco Leone (FdI). Restituendo a entrambi la possibilità di partecipare ai lavori del parlamentino lucano, e a Bardi la sua maggioranza, dopo due mesi di galleggiamento e richieste di soccorso alle opposizioni per garantire l’ordinaria amministrazione e poco più. Diverse le censure del Tribunale del riesame ai magistrati titolari dell’inchiesta, il pm Vincenzo Montemurro e il procuratore Francesco Curcio, più il gip ha firmato le misure cautelari eseguite agli inizi di ottobre, Antonello Amodeo.

Il collegio presieduto da Aldo Gubitosi (intanto trasferito a Salverno) ha evidenziato diverse volte l’assenza di riscontri alle dichiarazioni dell’avvocato della Regione Basilicata, Valerio Di Giacomo.

Proprio quest’ultimo infatti aveva denunciato di aver subito «pressioni indebite» da parte di «Bardi e forse di altri politici», perché ammorbidisse la difesa al Tar della nomina di Barresi, e le aveva messe in relazione alla sua mancata designazione nell’agognato ruolo di direttore dell’ufficio legale di via Verrastro. La pendenza di un contenzioso su questa nomina mancata, quindi, avrebbe dovuto far riflettere sull’esistenza, «con ogni probabilità», di «un sentimento non certo di empatia e benevolenza verso coloro che non avevano ritenuto di premiare le sue doti professionali, preferendo come coordinatore una funzionaria priva di formazione giuridica». Imponendo un «vaglio particolarmente rigoroso della attendibilità soggettiva del dichiarante».

Eppure così non è stato, a detta del Riesame, per cui: «allo stato e, in assenza di evidenze investigative di riscontro, la prova del delitto in discorso non può desumersi dalle sole dichiarazioni del Di Giacomo circa alcune telefonate, non meglio indicate, che avrebbe ricevuto per conto del presidente Bardi, data la scarsa concretezza di tali riferimenti che impedisce ora di valutare il contenuto delle sollecitazioni ricevute».

Il collegio ha aggiunto, che persino «scrutinando con attenzione la sommaria dichiarazione» di Di Giacomo non emergerebbero «elementi fattuali idonei» a provare che la giunta regionale abbia commesso un vero e proprio abuso d’ufficio, dando indicazioni per ammorbidire la difesa della nomina di Barresi al Tar, «al solo scopo di danneggiare il Barresi». Né potrebbe ravvedersi un’«imposizione (penalmente rilevante)» nell’unico dialogo intercettato sulla questione, tra Leone e Di Giacomo, in cui il primo, che per questo risulta indagato per un’ulteriore ipotesi di concussione, «si limitava a rendere partecipe il Di Giacomo della nuova volontà politica relativa all’incarico del dottor Barresi. Come pure non risulterebbe, «sulla scorta di dati fattuali certi», che «altri soggetti istituzionali abbiano esercitato una pressione psicologica sul legale per orientare le sue scelte professionali, lasciando filtrare la possibilità che tale accondiscendenza avrebbe avuto un corrispettivo in termini di vantaggi professionali».

In sintesi, per i giudici del Riesame: «non si traggono dal compendio investigativo a disposizione elementi indiziari concreti – diversi da spunti congetturali desunti essenzialmente dalle dichiarazioni del Barresi e, in qualche misura, da quelle rese dall’avvocato Valerio Di Giacomo – per ritenere che il deliberato di giunta in parola (si badi bene, di contenuto collegiale) sia stato assunto “in odio” al direttore generale in carica e con la finalità trasversale di estromettere costui dalla carica».

Al di là di questo, tuttavia, è sulla stessa impostazione dell’accusa di abuso d’ufficio a carico della giunta regionale che il Riesame bacchetta pm e gip. Per mancanza di un elemento costitutivo del reato in questione che è il danno ingiusto. Vuoi perché sarebbe «arduo (…) comprendere (…) quale possa essere il danno giuridicamente valutabile cagionato» a Barresi dalla modifica delle istanze rappresentate al Tar dalla Regione Basilicata, «posto che oggetto del contenzioso era evidentemente lo scrutinio dei requisiti vantati dai due candidati ai fini della controversa nomina a direttore generale dell’Azienda ospedaliera regionale San Carlo».

Vuoi perché «a ben vedere, la costituzione della Regione non era neppure indispensabile e se essa venne decisa lo si deve solo alla volontà politica del momento di difendere la legittimità di un atto deliberativo regionale». In altri termini, nel caso in cui il Tar avesse riconosciuto la legittimità della nomina di Barresi, parlare di un danno per quest’ultimo sarebbe stato impossibile. Ma anche nel caso contrario, che poi si è concretizzato con la decadenza della nomina del dg, l’unico danno configurabile sarebbe stato quello sofferto dal ricorrente, vale a dire l’attuale direttore generale del San Carlo, Giuseppe Spera, che si era visto ingiustamente scavalcare da Barresi. Sempre a meno di non «collegare» l’orientamento assunto in finale dal Tar a quello della Regione, che era solo una delle tre parti in causa assieme a Barresi e Spera. Di fatto disconoscendo l’«autonoma valutazione» dei magistrati di via Rosica.

«Posto che la nomina del Barresi era stata decisa durante la precedente legislatura – aggiunge ancora il Riesame –, non poteva essere precluso alla Ggiunta successivamente nominata la considerazione sulla opportunità di difendere una decisione promanante da una diversa volontà politica. In effetti, la giunta Bardi poteva legittimamente rinunciare agli atti del giudizio, qualora avesse ravvisato profili di illegittimità della nomina del Barresi. Senza optare per tale soluzione, decise invece di affidarsi alla decisione del Tar, confidando nella piena giustizia dell’esito del giudizio». Il collegio presieduto da Gubitosi ha escluso anche violazioni della legge che regola l’attività degli avvocati inseriti negli uffici legali di enti pubblici come la Regione Basilicata, dal momento che è «rimessa alla discrezionalità dell’avvocato la strategia da seguire durante il giudizio e l’individuazione delle procedure necessarie per il conseguimento del risultato voluto dall’ente, ma non può essere precluso a quest’ultimo, nella sua veste di mandante, decidere in ordine al “petitum sostanziale”».

«Nel caso di specie – conclude il Riesame –, la giunta Bardi indicava la propria volontà rispetto al petitum del giudizio, in quanto ai legali era richiesto di manifestare l’intenzione della Regione di aderire senza riserve o precisazioni di sorta alla decisione che sarebbe stata presa dal Tribunale sulla scorta degli atti messi a disposizione. Non vi era dunque alcuna invasione delle prerogative professionali del mandatario, ma solo l’espressione della volontà di modifica (si badi, sostanziale e non processuale) delle istanze conclusive già rassegnate, che non comportava la imposizione di strategie difensive o prescrizioni circa gli strumenti giuridici selezionati o da selezionare, a cura degli avvocati, nel giudizio in questione».

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