Il tribunale di Matera
3 minuti per la letturaPOTENZA – L’accusa aveva chiesto 220 anni di carcere da dividere tra 22 dei 38 imputati per i traffici di droga tra Tursi e Montalbano Jonico. Ma il Tribunale di Matera si è fermato a 43 anni per 15 persone, assolvendone 23.
E’ questo il verdetto letto ieri mattina nella città dei Sassi dal collegio presieduto da Gaetano Catalani, e completato da Roberto Scillitani e Danilo Staffieri.
I giudici hanno bocciato i due principali capi d’imputazione del processo nato dall’inchiesta sui presunti clan nel metapontino, soprannominata “Rusca”. Venuta meno l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, quindi, le condanne emesse si sono attestate al livello di un processo qualunque per spaccio di droga, o poco più. Una battuta d’arresto evidente per l’Antimafia lucana, guidata dal procuratore capo Francesco Curcio, che ricorda da vicino il clamoroso epilogo di altre maxi-inchieste sulla mala del materano avviate, diversi anni orsono, dalla Direzione distrettuale di Potenza. Basti pensare che all’inizio ai tursitani guidati da Rocco Russo veniva contestata anche l’associazione mafiosa.
E i pm non si erano dati per vinti neanche dopo i dubbi del gip, che a ottobre del 2018 aveva disposto 25 arresti nell’ambito di questa stessa inchiesta. Così era toccato al giudice dell’udienza preliminare espungere una prima contestazione importante dal novero di quelle destinate al dibattimento materano.
Il verdetto pronunciato ieri mattina ha visto ridursi in maniera considerevole soprattutto le pene chieste agli inizi di giugno dal pm Annagloria Piccininni per i presunti boss dei giri di droga presi di mira. Quindi il tursitano Russo, e il montalbanese Leonardo Donadio.
Per entrambi erano stati chiesti 25 anni di carcere, ma ora rischiano di scontarne meno di 17 in totale: 7 anni e 8 mesi Russo, e 9 anni Donadio.
Tolti loro, inoltre, solo in 5 hanno avuto condanne superiori ai 3 anni: Giuseppe Bruno, Domenico Marino, Vincenzo Donadio, Michele Renna, e Angelo Caprara. Per tutti gli altri, quindi, è scampato anche il rischio di trascorrere un solo giorno in carcere.
Tra i capi d’imputazione per cui è stato condannato Leonardo Donadio, oltre a una serie di cessioni di stupefacenti, compare anche una “stesa” in stile camorristico compiuta a Montalbano a giugno del 2014 sparando all’impazzata con un fucile calibro 12 da un auto in corsa nel centro del paese.
Sono finite in prescrizione, invece, tutte le imputazioni diverse dallo spaccio che erano rimaste in piedi per Russo. In particolare due incendi appiccati ad altrettante aziende agricole del tursitano per costringere i titolari a cedere loro «il “monopolio” del trasporto dei prodotti ortofrutticoli», quello dell’auto dell’allora assessore al Bilancio del Comune di Tursi Antonio Caldararo, nel 2011, e quello di un mezzo della ditta che gestiva la raccolta dei rifiuti in paese. Più il possesso illegale di armi, e le minacce alla fidanzata di uno degli incendiari su commissione, un giovane con problemi di eroina, che temendo per l’incolumità del suo amato si era rivolta ai carabinieri.
L’inchiesta soprannominata “Rusca” aveva già portato a 10 condanne col rito abbreviato nel 2019, per 22 anni di reclusione complessivi, e 16 rinvii a giudizio in un distinto processo, sempre a Matera, per il presunto clan mafioso degli scanzanesi guidati dall’ex carabiniere Gerardo Schettino. Processo che è ancora in corso e a settembre dovrebbe riprendere con le richieste di condanna dell’accusa.
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