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Il bar del Tribunale di Potenza

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POTENZA – Come atto di suprema “guapparia” avrebbero deciso di impossessarsi del bar all’interno del Palazzo di giustizia di Potenza. Proprio lì dove da almeno la metà degli anni ’90 magistrati e investigatori cercano di porre un argine alle loro “imprese” criminali. Quella stessa “guapparia” esibita nelle feste di Sant’Antonio cavalcando a pelo i muli del loro ranch nelle tradizionali corse equestri per le stradine di Pignola.

E’ stata questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso con le accuse che da anni andavano accumulandosi nei confronti del presunto boss dei pignolesi, Saverio Riviezzi, e dei suoi presunti sodali.

Il risultato è stata l’operazione scattata ieri mattina, già ribattezzata “Iceberg”, che ha portato all’esecuzione di 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere, più 3 ai domiciliari e altri 3 obblighi di firma.

Il boss è stato raggiunto dalla misura spiccata nei suoi confronti dal gip Teresa Reggio nel carcere di Ancona. Per gli altri, invece, la sveglia è suonata in piena notte con gli agenti di Squadra mobile e Sco della Polizia a bussare alle porte degli arrestati assieme alle fiamme gialle del Gico della Guardia di Finanza per gli aspetti economici.

In manette, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, è finito anche il gestore di fatto del bar del Tribunale di Potenza, Salvatore Sabato, che anni fa era già finito sotto inchiesta per estorsione assieme alla compagna, Barbara Nella, da ieri ai domiciliari, e il figlio del boss, Vito Riviezzi.
Tra le vicende per cui sono state spiccate le misure cautelari, tuttavia, c’è anche la clamorosa rapina all’ufficio postale di via Messina, a Potenza, di giugno del 2018.

Quando vennero portati via 250mila euro. Come pure il colpo fallito 9 mesi prima in un altro ufficio postale di Potenza, in via Grippo, dove i rapinatori ebbero l’accortezza di bucare una gomma dell’auto della vigilanza privata per evitare distrazioni. Ma anche un drammatico fatto di sangue come l’omicidio, a Melfi, di Giancarlo Tetta, nel 2008. Un delitto che rientra a pieno titolo nella faida tra clan del Vulture per cui il gruppo dei pignolesi avrebbe offerto supporto logistico agli alleati del clan Cassotta, fornendo l’auto per i killer.

Nella conferenza stampa di presentazione dei risultati dell’operazione, ieri mattina, il procuratore capo di Potenza si è soffermato anche sul riconoscimento mafioso del gruppo Riviezzi da parte dei più potenti clan ‘ndranghetistici calabresi.

Quindi ha aggiunto che il prezzo offerto per accaparrarsi la gestione del bar del Tribunale sarebbe stato spropositato, ma essere lì avrebbe avuto un valore «strategico».

«Non solo per incontrare coindagati, coimputati. difensori ed ottenere informazioni, ma anche per restituire particolare visibilità e prestigio ai Riviezzi». Così spiegano gli investigatori negli atti dell’inchiesta. «Attraverso l’affidamento della gestione in pianta stabile a soggetti a loro vicini, così da consentire al clan una vera e propria ostentazione di presenza verso gli altri gruppi criminali, in un luogo deputato all’amministrazione della giustizia, nel quale la supremazia della legge dovrebbe ritenersi scontata».

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