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Emilio Caprarella, Massimo Cassotta, Carmine Campanella

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POTENZA – Diventano definitive le condanne a 9 anni e 4 mesi di reclusione per il melfitano Massimo Cassotta e per il potentino Carmine Campanella, entrambi pregiudicati. Più altri 9 anni per l’imprenditore melfitano Emilio Caprarella, e 5 per l’abruzzese Egidio Ballone.
E’ questo il verdetto pronunciato ieri sera dalla Corte di cassazione nell’ultima udienza del processo nato dalle dichiarazioni di Alessandro D’Amato: il sicario pentito dei due clan in lotta per il dominio sugli affari criminali nel melfese. Già ribattezzato “Caronte” dagli inquirenti dell’Antimafia potentina.

I giudici hanno respinto i ricorsi presentati dai difensori di Cassotta e Campanella in relazione alle accuse per due clamorose rapine risalenti agli anni ‘90 che erano rimaste a lungo senza un colpevole. Quella da un miliardo e quasi duecento milioni delle vecchie lire alla filiale della Carical di via Cairoli a Potenza, nel lontano 29 novembre del 1994, e a quella, brutale, nella gioielleria Robortella di Calvello, sempre negli anni ’90.

Stessa accusa anche per l’abruzzese Ballone, a cui era imputata una rapina più recente a un giocatore all’uscita del casinò di Sanremo. Altro episodio raccontato da D’Amato agli inquirenti.
Per Caprarella, invece, l’accusa era di aver fatto parte del clan guidato dai fratelli melfitani Angelo e Vincenzo Di Muro (già condannati in abbreviato a 12 e 14 anni di reclusione, ndr).

Una vera e propria associazione a delinquere di stampo mafioso – stando all’ipotesi appena convalidata dalla Cassazione – che grazie a un sistema di imprese collegate gestite dai Di Muro e dal loro uomo di fiducia, Caprarella, avrebbe preso di mira appalti e lavori edili nella cittadina federiciana.

Come le opere del centro commerciale “La nave” e il progetto della nuova ala del cimitero comunale. E non si sarebbe fatta scrupoli di giustiziare chi si opponeva al suo dominio, come i fratelli Marco e Bruno Cassotta: due delle ultime vittime della sanguinosa faida tra i clan.

Deluso dal verdetto dei giudici di piazza Cavour, l’avvocato di Caprarella, Giovanni Falci, che non più tardi di gennaio aveva ottenuto l’annullamento da un’altra sezione della Corte di cassazione della sorveglianza speciale per l’imprenditore e il figlio Antonio, già consigliere comunale di maggioranza tra il 2006 e il 2010.

«Andremo senz’altro alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo». Ha annunciato Falci al Quotidiano del Sud commentando l’esito dell’udienza. «Qui c’è un tema ed è che non si può condannare un cittadino, come è stato fatto con Caprarella, sulla base di prove di un altro processo, come quello in abbreviato ai fratelli Di Muro. Poi c’è un altro tema che attiene proprio al contrasto con le valutazioni della stessa Cassazione sugli elementi alla base della misura di prevenzione che era stata imposta al mio assistito nel 2019».

Emilio Caprarella resta imputato assieme al figlio Antonio, che deve difendersi a sua volta dall’accusa di associazione mafiosa, in un ulteriore processo in stallo da quasi tre anni davanti ai giudici del Tribunale di Potenza. Qui però al centro del dibattimento c’è una presunta turbativa nella scelta del contraente legata alle varianti concesse dal Comune di Melfi alla loro ditta, rispetto agli appalti per l’ammodernamento dell’istituto scolastico Nitti e la costruzione di alcune case popolari in contrada Bicocca. Stesso processo in cui risultano imputati l’attuale primo cittadino, Livio Valvano, e tutti i membri della giunta in carica a luglio del 2013 (tranne l’ex assessore Rosa Masi).

I rapporti tra Caprarella e il Comune avevano fatto da sfondo, ad agosto del 2019, anche alla decisione del prefetto di Potenza, Annunziato Vardé, di istituire una commissione di accesso per verificare l’esistenza di infiltrazioni mafiose all’interno dell’amministrazione.
Lo scorso 31 dicembre, tuttavia, la pratica è stata archiviata dal ministro dell’Interno, la potentina Luciana Lamorgese.

Con la pronuncia di ieri della Cassazione le condanne nei confronti di Cassotta, Campanella, Caprarella e Ballone sono diventate immediatamente esecutive. S’intende per la parte che non risulti già scontata in seguito agli arresti effettuati dall’antimafia di Potenza dal 2013 in poi. Oggi stesso, quindi, per loro dovrebbero aprirsi le porte del carcere.

Nell’ambito dello stesso processo erano già arrivate sentenze definitive anche per altri imputati come il pentito Alessandro D’Amato (20 anni per l’omicidio di Bruno Cassotta, a ottobre del 2008), e suo fratello Dario (6 anni per associazione mafiosa) diventato a sua volta collaboratore di giustizia.

Precisazione: in relazione alle “opere del centro commerciale ‘La nave’” di Melfi, citate nell’articolo, si evidenza che i titolari dello stesso centro commerciale e le attività economiche collegate sono del tutto estranei all’indagine.

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