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La conferenza stampa di ieri a Potenza

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POTENZA – Avrebbe fabbricato le carte necessarie per contrabbandare gasolio agricolo come normale gasolio da autotrazione. Al prezzo di almeno «80mila euro ogni 5 milioni di litri».
E’ questa l’accusa per cui ieri mattina il gip di Lecce ha spiccato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere anche per Andrea Lopiano, 56enne di Bernalda anche noto col soprannome di “sceicco”, da anni di base sull’isola di Tenerife.

Lopiano è l’unico lucano coinvolto nel blitz di Guardia di finanza e Carabinieri che ieri ha colpito i traffici di gasolio di contrabbando sull’asse Campania-Puglia, tra imprenditori come del Vallo di Diano come Raffaele Diana, considerato vicino al clan del casalesi, e i tarantini capeggiati da Michele Cicala. Traffici che in un anno sarebbero valsi circa 30 milioni di euro di profitti illeciti, pari alle accise e imposte varie evase rivendendo quel gasolio agricolo alla rete di distribuzione delle cosiddette “pompe bianche”.

Secondo gli inquirenti, Lopiano avrebbe avrebbe fatto parte di una vera e propria associazione a delinquere capeggiata dal tarantino Cicala.
Il suo ruolo, in particolare, sarebbe stato quello di «di procurare libretti Uma (Utenti motori agricoli , ndr) falsi, o intestati a società in procinto di fallire o non più operative, altresì con il compito di fungere da intermediario con la “Albergo Petroli”, nonché di indicare le modalità con le quali inviare le false fatture senza che le stesse arrivassero al destinatario». Tutti espedienti per acquistare il gasolio agricolo desiderato, simulando esigenze operative delle imprese in questione, per poi rimetterlo in circolazione sfuggendo ai controlli.

A raccontare come funziona quello che gli indagati avevano ribattezzato il «metodo Lopiano» è stato lui stesso. Senza sapere delle intercettazioni in corso.
«Sono aziende che hanno fatto dei bluff… 2… 3… 4 milioni (di euro, ndr) di bluff… e ormai se le devono togliere… e io le prendo da amici commercialisti… mi segui? Mi sono spiegato?» » Queste le parole registrate dalle microspie, a giugno del 2019, durante una conversazione tra lo “sceicco” e Cicala. «Non c’è nessuno che dirà “no, come è successo.. no, questa fattura è merce che io non ti ho mai chiesto”».

Ma il nome del 56enne di Bernalda e del suo “metodo” spunta anche negli atti dell’inchiesta sui medesimi traffici realizzati nel Vallo di Diano.
Nel complesso le due indagini parallele condotte dalle direzioni distrettuali antimafia di Potenza e Lecce ieri hanno all’emissione di 37 ordinanze di custodia cautelare (26 in carcere e undici ai domiciliari) e a sei divieti di dimora.
I dettagli sono stati illustrati in una conferenza stampa convocata dal procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, nel capoluogo lucano, a cui hanno partecipato, in videoconferenza, anche il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e il procuratore di Lecce, Leonardo Leone De Castris.

«L’infiltrazione mafiosa nel settore della commercializzazione degli idrocarburi – ha detto De Raho – è uno degli aspetti più significativi dell’evoluzione dei gruppi criminali».
Riferendosi, poi, anche alla recente inchiesta «Petrolmafie Spa», Cafiero De Raho ha messo in evidenza come le mafie abbiano «un’importante capacità di monitoraggio del mercato, cercano profitti dovunque e si insinuano dove è più redditizio. Nel settore degli idrocarburi – ha aggiunto il procuratore nazionale antimafia – il guadagno è del 50 per cento su quello che è stato investito. E poi c’è il netto abbassamento del rischio rispetto al profitto, ad esempio, per ciò che riguarda il traffico di sostanze stupefacenti».

Durante le indagini, durate circa 14 mesi, è emersa l’accortezza con cui era stato allestito il sistema di contrabbando del gasolio agricolo: con tanto di autobotti munite di un congegno che in caso di controlli erogava un colorante per «allineare» l’aspetto del prodotto trasportato ai documenti esibiti. Ma sono state le intercettazioni a svelare il «pactum sceleris» fra le società di commercio di prodotti petroliferi del gruppo Petrullo e il clan dei Diana per creare un «avamposto» del gruppo mafioso nel Vallo di Diano, «un territorio sano da colonizzare». Sono state quindi sequestrate varie aziende che operano nel settore petrolifero, insieme a denaro contante, autocisterne, immobili e beni degli indagati per un valore totale di circa 50 milioni di euro.

Un’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa per un carabiniere infedele, nel corso delle indagini in servizio al Comando provinciale di Salerno, prima di essere trasferito a un ruolo non operativo in un’altra provincia: è stato arrestato proprio dai militari del Comando provinciale di Salerno con l’accusa di essere stato ricompensato con taniche di gasolio (poi rivendute) per alcune informazioni sulle indagini. Sempre con l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio, due militari del Comando provinciale di Taranto della Finanza sono stati sospesi dal servizio per 6 mesi.

Durante la conferenza stampa, i procuratori distrettuali antimafia di Potenza e Lecce, Francesco Curcio e Leonardo Leone De Castris, hanno evidenziato «le numerose pressioni fatte dagli indagati sulle forze dell’ordine per avere informazioni sulle indagini in corso». Pressioni che «nella quasi totalità dei casi» non avrebbero portato a nulla.

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