Un permesso di soggiorno
2 minuti per la letturaPOTENZA – Tutto da rifare nel processo per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nei confronti, tra gli altri, dell’imprenditore 64enne di Pietragalla, Gerardo Paladino, i genzanesi Caterina Riccardi (59) e Giuseppe Pacella (32) e i fratelli Emanuele (33) e Pasquale Bruno (37) di Palazzo San Gervasio.
Lo ha deciso la Corte d’appello di Bologna accogliendo un’eccezione avanzata dai difensori degli imputati sull’incompetenza del giudice di primo grado, vale a dire il collegio del Tribunale di Piacenza.
Poiché le imputazioni parlano anche di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, infatti, sarebbe dovuta essere la Corte d’assise a esprimersi. Di qui il rinvio a Piacenza per un nuovo processo con tanto di giuria popolare.
Soddisfatti per la pronuncia della Corte d’appello di Bologna di legali di alcuni degli imputati lucani: Salvatore De Bonis, che assiste l’imprenditore di Pietragalla Gerardo Palladino, e Mario Romanelli per i fratelli Emanuele e Pasquale Bruno di Palazzo San Gervasio.
«Era un esito in cui credevamo quando abbiamo inserito la questione nei motivi d’appello». Hanno spiegato i legali al Quotidiano. «Ma riteniamo che nella fase successiva che si aprirà davanti alla Corte d’assise ci siano tutti gli estremi per arrivare a un’assoluzione. Anche nel primo processo sono emersi diversi vuoti probatori che fanno propendere per una non responsabilità degli imputati».
A gennaio del 2019 Paladino era stato condannato a 6 anni e 3 mesi di reclusione mentre gli altri imputati lucani a 4 anni e 5 mesi di reclusione a testa.
Con loro erano stati condannati anche un ex impiegato dell’ambasciata italiana a Islamabad, e due pakistani che sarebbero stati ai vertici di un’organizzazione specializzata nel fabbricare i documenti necessari a chi dal Pakistan intendeva trasferirsi in Italia, o soltanto transitarvi per raggiungere varie destinazioni nell’Europa continentale.
Secondo l’accusa l’organizzazione sarebbero riusciti a fare entrare illegalmente nel “Bel paese” almeno 445 persone, intascando qualcosa come 5,8 milioni di euro.
Secondo gli investigatori il prezzo complessivo del viaggio e dei documenti poteva arrivare a 18mila euro per dal Pakistan decideva di affidarsi all’organizzazione. Poi i soldi venivano girati, in parte, a vari imprenditori compiacenti, disposti a sottoscrivere contratti di lavoro fasulli, perlopiù di tipo stagionale nel comparto agricolo in Basilicata, in cambio di una “mazzetta” tra i 1.500 e i 5 mila euro a testa.
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