La Fondazione Don Gnocchi di Tricarico
4 minuti per la letturaPOTENZA – Far luce sul percorso seguito dal covid 19 fino al quarto piano del polo riabilitativo Don Gnocchi di Tricarico, dove il focolaio più importante scoperto finora in Basilicata ha mietuto 3 vittime, contagiando in totale 40 persone tra pazienti, sanitari e parenti di questi ultimi.
E’ questo l’obiettivo degli inquirenti della procura di Matera, guidati dal procuratore Pietro Argentino, che nelle scorse settimane hanno aperto un fascicolo su quanto accaduto nel centro della montagna materana, dove in seguito alla scoperta dei primi casi positivi, a fine marzo, il governatore Vito Bardi dichiarò anche la seconda zona rossa della regione, dopo Moliterno.
Ieri mattina i militari del nucleo operativo della compagnia carabinieri sono usciti allo scoperto su delega dei pm materani e si sono presentati all’ingresso dei due plessi dell’Ospedale distrettuale “Rocco Mazzarone”: quello che ospita il polo riabilitativo gestito dalla fondazione Don Gnocchi, e l’altro dove ha sede il presidio ospedaliero gestito direttamente dall’Azienda sanitaria di Matera.
Ai responsabili delle due strutture gli investigatori hanno chiesto le cartelle cliniche dei 27 pazienti che sono risultati positivi al covid (26 ricoverati nel reparto riabilitazione del Don Gnocchi, più 1 nella lungodegenza del presidio ospedaliero). Pazienti che nei giorni successivi all’allarme vennero trasferiti in maggioranza all’ospedale Madonna delle Grazie di Matera, dove in tre, una 82enne di Aliano, un 84enne di Tursi e un 86enne di Pisticci, non hanno resistito ai colpi del virus. Senza considerare altri 14 positivi scoperti tra i sanitari e i loro parenti che avrebbero superato la malattia senza particolari conseguenze.
Fin qui, ovviamente, gli effetti. Che sono ben noti. Restano coperte da segreto investigativo, invece, le cause individuate per l’accaduto, ovvero le singole ipotesi di accusa allo studio dei pm materani, che avrebbero già iscritto i primi nomi sul registro degli indagati.
L’origine del contagio che ha imperversato al quarto piano del polo riabilitativo era apparsa avvolta nel “giallo” fin dal primo giorno.
A segnalare il rischio che dietro i sintomi manifestati da diversi dei pazienti ricoverati si celasse qualcosa di pericoloso, infatti, era stata la notizia della positività di una donna di Irsina con un figlio che lavorava come infermiere al Don Gnocchi, e un marito operaio all’Fca, impiegato assieme al primo dipendente dello stabilimento risultato positivo al covid.
Questo, unito alla denuncia pubblica di un medico dipendente del polo riabilitativo che aveva segnalato di attendere da giorni un tampone nonostante alcuni segnali sospetti, aveva acceso i riflettori sulla struttura. Un’intuizione particolarmente importante per evitare che il contagio si estendesse agli altri pazienti ricoverati nella lungodegenza del presidio ospedaliero attiguo e in quella al piano inferiore dello stesso Don Gnocchi. Quindi si fermasse sull’uscio della casa di riposo ospitata, poco distante, nel convento di Sant’Antonio (dove è risultato positivo un addetto coniugato con un dipendente del polo riabilitativo).
Se così era venuta alla luce l’esistenza del focolaio, tuttavia, lo stesso non si può dire per la scintilla che l’ha generata, e gli eventuali “buchi” nei protocolli di sicurezza adottati.
Il tampone effettuato al figlio della signora di Irsina, d’altronde, era risultato negativo. Ma trattandosi di un infermiere, che nelle settimane precedenti si era anche preso qualche giorno di malattia lamentando febbre e tosse, si è pensato che potesse aver avuto il virus, contagiando familiari, colleghi e pazienti, ma lo avesse già sconfitto. “Negativizzandosi” prima del test.
Con l’inchiesta della procura di Matera sul focolaio e i tre morti della don Gnocchi di Tricarico salgono a tre anche i fascicoli d’indagine aperti sulla gestione della crisi sanitaria in Basilicata.
A Potenza, in particolare, si indaga già su due fronti, e almeno altri due morti che forse si potevano evitare.
Il primo è quello del compianto giornalista potentino Antonio Nicastro, che era stato tra i più tempestivi ad accorgersi – sulla sua pelle – che qualcosa non funzionava nei criteri con cui venivano scelte le persone a cui effettuare i tamponi, e si è visto respingere dal pronto soccorso del San Carlo di Potenza. Una scelta a dir poco discutibile da parte dei sanitari da cui si era rifugiato chiedendo aiuto dopo giorni di sofferenze inascoltate.
Il secondo, invece, riguarda più in generale proprio le corsie privilegiate per l’accesso ai tamponi diagnostici riservate ad alcuni cittadini “speciali” (e non soltanto per ragioni istituzionali e di servizio), a scapito di altri come l’imprenditore Palmiro Parisi – Coronati, e persino il due volte finalista olimpico Donato Sabia. Entrambi potentini, morti assieme a Nicastro in quei terribili giorni tra la fine di marzo e gli inizi di aprile.
La mossa degli investigatori dell’arma di Tricarico è arrivata mentre la Basilicata festeggiava, per la seconda volta dall’inizio della crisi sanitaria, una settimana senza nuovi casi in regione. Col numero complessivo dei contagi fermo a 414.
A questo ieri in serata si è aggiunta anche la notizia delle dimissioni dalla terapia intensiva del Madonna delle Grazie della 67enne di Grottole ricoverata due domeniche fa di ritorno da un soggiorno di un mese in una nota località balneare egiziana.
Le condizioni della donna sarebbero migliorate al punto che dovrebbe poter concludere la sua convalescenza nel reparto Malattie infettive.
Resta ancora in isolamento domiciliare a Grottole, invece, il compagno, che era tornato a sua volta dall’Egitto e resta l’ultimo caso di contagio annotato nei registri della Regione.
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