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Parla Liliana Dell’Osso, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa

«Numerosissimi sono gli studi che hanno valutato la presenza di sintomi post-traumatici in tutta una serie di campioni esposti ad eventi e situazioni catastrofiche come i sopravvissuti all’olocausto, le vittime di stupro, di gravi incidenti automobilistici, rapine, catastrofi, naturali o causate dall’uomo, fino anche alla morte violenta e inaspettata di una persona cara. Studi nella popolazione generale di Paesi industrializzati, non interessati da conflitti bellici interni, hanno mostrato tassi di PTSD (disturbo post traumatico da stress) fino al 10%, confermati anche da una recente indagine epidemiologica mondiale, coordinata dall’Università di Harvard, alla cui analisi dei dati italiani ha partecipato anche la Clinica Psichiatrica di Pisa. Un ulteriore importante impulso alla ricerca sul PTSD è derivato dagli studi sui sopravvissuti all’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 e, successivamente, dello Tsunami del 2006, del terremoto di Haiti del 2010, del disastro di Fukushima del 2011». Lo afferma, in una nota, la lucana Liliana Dell’Osso, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa.

«Per quanto concerne il nostro Paese, in oltre 2.000 sopravvissuti intervistati dopo 10 mesi dal drammatico terremoto che colpì L’Aquila nell’aprile 2009, abbiamo rilevato tassi di PTSD attorno al 37.5%, con un ulteriore 30% di forme parziali, ma altrettanto invalidanti. I dati di L’Aquila hanno confermato una maggiore vulnerabilità delle donne, in particolare giovani, rispetto agli uomini (con tassi circa doppi), dei soggetti con un’esposizione più intensa (vicinanza all’epicentro), ripetuta o prolungata, di coloro che riportano danni fisici o la perdita di una persona cara. In accordo con gli studi sui reduci del Vietnam, dell’Iraq e dell’Afghanistan, i dati di L’Aquila hanno anche confermato, in particolare nel sesso maschile, gli effetti comportamentali maladattativi a lungo termine del PTSD, come guida spericolata, assunzione di alcol e sostanze, comportamenti autolesionistici, tentativi di suicidio fino al suicidio a termine. Per fortuna, la ricerca non ci indica solo i possibili fattori di rischio, ma anche quelli di resilienza (la capacità di fare fronte in maniera positiva e spesso inattesa agli eventi traumatici, di riorganizzare efficacemente la propria vita dinanzi alle difficoltà). 

Inoltre, il progressivo aumento di dati scientifici ha contribuito ad evidenziare come possa risultare patogena l’esposizione ad una minaccia o pericolo di morte, a gravi ferite, o alla violenza sessuale” sia vissuta in prima persona che come testimone, oppure solo appresa e occorsa ad un parente o amico stretto; infine è contemplata anche “l’esposizione ripetuta ai dettagli di eventi traumatici” per motivi professionali. Il PTSD può colpire infatti non solo le vittime di eventi traumatici, ma anche i loro soccorritori. Il primo scenario che ha evidenziato con chiarezza questo rischio è stato l’attentato terroristico al World Trade Center a seguito del quale molti pompieri, poliziotti, medici o paramedici coinvolti nei soccorsi hanno presentato un deterioramento cronico della salute fisica e mentale e del funzionamento sociale. In uno studio sul personale ospedaliero coinvolto nell’emergenza-urgenza (medici, infermieri e operatori socio-sanitari) dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa abbiamo osservato tassi di PTSD attorno al16%, con livelli maggiori nelle donne e nei soggetti con minore scolarità, ed una correlazione tra la gravità del quadro clinico e l’entità della compromissione socio-lavorativa. 

Nel panorama odierno, oltre alle vittime del terrorismo e dei focolai bellici in Nord Africa e Medio Oriente, il significativo flusso migratorio di profughi, spesso reduci di guerre, torture e violenze, che, non da ultimo, affrontano viaggi penosi e rischiosissimi, essi stessi traumatici, rende il problema del PTSD di cogente attualità. Non solo i migranti possono riportarne le tracce, ma anche le squadre di salvataggio che ogni giorno sono esposte all’enorme carico emotivo che accompagna il soccorso di uomini, donne e bambini feriti e al recupero di cadaveri in mare. Per questo motivo, un’importante sfida del presente, e presumibilmente del futuro prossimo, è la messa a punto di programmi di intervento a sostegno anche dei soccorritori, dai volontari della Protezione Civile, agli operatori sanitari, ai Vigili del Fuoco, alle Forze dell’Ordine e a tutti coloro che, seppur addestrati e preparati tecnicamente, sono esposti ripetutamente e cronicamente ad un rischio enorme di sviluppare PTSD». 

Didascalia foto:
Terremotati a Norcia dopo il sisma di mercoledì 

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