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POTENZA – La notizia arriva qualche giorno fa telefonicamente. Orazio resta un attimo perplesso.  Cosa poteva mai volere l’Alta Presidenza del Consiglio dei ministri dal rappresentante di un piccolo quartiere di una piccola città del sud? E invece è proprio questo il motivo della telefonata. Perché è nei piccoli quartieri delle piccole realtà del mezzogiorno che si avviano le rivoluzioni.

Rione Lucania la prima settimana di febbraio sarà dunque a Roma per ritirare un premio speciale sull’integrazione e l’accoglienza conferito dall’Onu insieme all’Alta Presidenza del Consiglio dei ministri.

Un riconoscimento inaspettato, che non segue alcuna candidatura o segnalazione ma è frutto del consueto monitoraggio che i funzionari dell’Onu – spiega Orazio Colangelo, presidente del comitato di quartiere – effettuano sui rifugiati ospiti delle comunità italiane tramite interviste dirette ai migranti. Il merito del premio, quindi, va ai racconti positivi sul quartiere, sui suoi residenti e sulla città dei circa 80 immigrati che a oggi vivono negli appartamenti di Chianchetta.

Provenienti da paesi in guerra, poveri, in lotta, dove non esistono diritti, dove la dignità e le libertà individuali vengono calpestate, arrivano a Potenza dopo un passaggio in altri centri di accoglienza, sopravvissuti spesso per miracolo a viaggi disumani. A Rione Lucania, però, hanno trovato una piccola oasi di pace. Ciò non significa che non ci siano problemi e che l’integrazione sia ormai stata raggiunta. Anche perché gli arrivi e le partenze vanno di pari passo: c’è chi scappa e chi semplicemente viene trasferito. Ogni giorno quindi bisogna lavorare su se stessi, sui pregiudizi, sui limiti culturali e fisici di una convivenza costretta, che non è stata scelta e che si racchiude in un quartiere. Ma è proprio questo lavoro quotidiano che aiuta a superare le barriere, a trovare le disponibilità dei suoi abitanti: giovani e anziani, mamme e figli, commercianti e residenti. Tutto gira attorno al campetto di calcio, messo a disposizione dei nuovi abitanti per conoscersi tra loro e con chi il quartiere lo abita da tempo. Poi ci sono le attività dell’associazione che si occupa della loro sistemazione, accreditata dalla Prefettura – che nel quartiere è Manteca – e le relazioni si accorciano sempre di più. Corsi di italiano ma anche corsi di inglese e francese. C’è chi addirittura aiuta gli studenti in difficoltà nello svolgere i compiti di lingua. Ci sono le teglie di pasta al forno che girano di mano in mano e poi le semplici chiacchierate. Sotto casa, nella sede del comitato di quartiere. Ogni martedì, per esempio, si riuniscono con i ragazzi del centro di aggregazione giovanile per scambiarsi le proprie storie. Niente di più che parlare, aprirsi all’altro. Il premio arriva quindi dopo due anni di continuo lavoro. E sarà un giovane del centro di aggregazione insieme ad un ragazzo immigrato a ritirarlo: «E’ per dare un segno di comunità ma anche di continuità e democrazia –dice Orazio – Questo è il risultato di tutto il quartiere. Una soddisfazione per noi e per tutta la città».

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