4 minuti per la lettura
MATERA – E’ il 1902. Il presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli visita la Basilicata e arriva a Matera, accolto dai notabili della città.
Aveva viaggiato con un treno speciale da Roma a Potenza e poi…nulla. Così s’impegna a realizzare una tratta ferroviaria, per rompere l’isolamento di quella città così povera. Se ci sono infrastrutture, pensò, forse possono crearsi le condizioni minime per una parvenza di sviluppo. Il suo obiettivo era far arrivare il treno da Napoli, ma nell’agosto del 1915 viene inaugurata la Matera-Bari, la prima gestita dall’allora Società Mediterranea delle Ferrovie Calabro Lucane (Mcl). Non è quello che ci sia aspettava. La Mediterranea opera su binari a scartamento ridotto, pensati per le ferrovie di montagna. Il programma è di realizzare oltre mille chilometri di ferrovia, per collegare Calabria e Lucania alla Puglia, lungo una direttrice che da Bari e dallo Jonio, avrebbe dovuto condurre verso Napoli e, quindi, innestarsi alla rete delle Ferrovie dello Stato.
Già nel 1926 il regime fascista taglia i progetti dello scartamento ridotto, ritenuti costosi e inadeguati. Nel 1928 in ogni caso, venne completata la linea Matera-Miglionico, antenata della Ferrandina-Matera, chiusa poi definitivamente nel 1972.
Passano quasi 60 anni prima che si inizi a ragionare concretamente di un collegamento ferroviario decente per la città. Nel 1984, è un altro presidente del Consiglio, Bettino Craxi, a dare un’accelerata al progetto di Zanardelli: una linea ferroviaria Fs da Matera a Ferrandina. Ventinove chilometri a binario unico; elettrificazione, realizzazione di una galleria nei pressi di Miglionico, con spazio per la posa del doppio binario in modo da consentire il raddoppio della linea, e un ponte in ferro sul Bradano. Nel 1986 viene bandita la gara d’appalto, vinta dal consorzio di imprese “Matefer”, capofila la “Cogei” di Catania. Dopo soli due anni, arriva il primo scossone, con Mario Schimberni al vertice di Fs, amministratore straordinario. Schimberni, legato a doppio filo con Enrico Cuccia, potentissimo fondatore di Mediobanca, sostiene l’idea di una ferrovia “leggera” con il conto economico in ordine. Chiude i rubinetti degli investimenti e blocca il progetto dell’Alta Velocità. I rubinetti si chiudono anche per la Matera-Ferrandina. Mangia troppi soldi e così, si taglia un pezzo del progetto: via l’elettrificazione e tunnel di Miglionico ad un solo binario.
Quando dopo solo un anno Schimberni lascia Fs, è ormai troppo tardi. Arriva il ciclone Tangentopoli, i lavori procedono a rilento. Matefer realizza la stazione di La Martella, ma la Cogei fallisce. E’ il 1998. Alla Cogei subentra la Cir, controllata dal gruppo Coop costruttori di Ferrara, che figurava già nel consorzio Matefer.
I lavori riprendono e, sotto la spinta dei vertici di Fs che volevano per la prosecuzione della tratta in direzione Bari, per evitare che rimanesse un ramo secco, si inizia a programmare l’allungamento dei binari in direzione Venusio e Altamura. Il modo più semplice, meno costoso ma sicuramente meno efficiente per farlo, è quello di realizzare la tratta lungo il tracciato delle Fal, le Ferrovie appulo lucane, erede della Mcl. Per superare l’ostacolo dello scartamento ridotto, si pensa all’apposizione di una terza rotaia e all’adeguamento agli standard Fs del binario, per permettere il passaggio dei treni. L’ostilità delle Fal è totale e l’allora sottosegretario alle Infrastrutture del Governo Berlusconi, Guido Viceconte, ferma la corsa del treno. Rifaremo una tratta tutta nuova, dice, scatenando le ire del senatore dei Ds, Salvatore Adduce, che si scaglia contro la Destra e le Fal. Da sindaco, Adduce diventa, invece, sostenitore della tesi che quel treno a Matera non serve, ma questa è un’altra storia. Nell’incertezza la gara d’appalto bandita da Rfi, il braccio tecnico-operativo del gruppo Ferrovie dello Stato, per l’allungamento della linea da La Martella a Venusio, viene sospesa quando già erano state presentate le buste e bisognava solo aprirle. Sul versante di Ferrandina, intanto, viene varato nel 2002 il ponte sul Bradano, opera unica in Italia per la travata metallica a luce unica lunga 110 metri. Qualche mese dopo fallisce anche la Cir. Dopo la rescissione del contratto, Rfi decide di fare tutto in casa. Alla Italferr (società del gruppo Fs) vengono affidate la progettazione definitiva, quella esecutiva, la direzione lavori e la realizzazione del completamento dell’opera. Un compito che Italferr porta a termine dal 2004 al 2006. A settembre, i tecnici consegnano il progetto. Sembra ormai tutto pronto. I finanziamenti sono già stati stanziati e sono nelle disponibilità di cassa di Rfi. Bisogna solo indire la gara d’appalto e consegnare il cantiere. Inizia persino il conto alla rovescia. Servono tre anni: entro il 2009 il treno arriverà nella stazione di La Martella, vuota dal 1996. Ma c’è una sorpresa. I fondi non ci sono più, rastrellati e dirottati da Rfi su altri cantieri. Il bluff è servito. Cala il sipario. Per costruire circa 30 chilometri di ferrovia non sono bastati 30 anni e circa 180 milioni di euro spesi.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA