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SARÀ Rocco Papaleo, il nostro Rocco, a trasmettere in tv Matera all’Italia la notte di San Silvestro. A meno di capovolgimenti dell’ultima ora. Una scelta felice, perchè nessuno – prima dell’attore che è la maschera lucana – ha reso così popolare la Basilicata.

Prendiamolo come buon segno, come proiezione della città che parte dalla sua intimità. Non ci saranno gaffe geografiche né prosopopee in dialetto forzato. E’ la Basilicata (sì la Basilicata, perchè questo deve interessarci)  che saprà raccontarsi così com’è. Il talento sofferente e audace, musicale e comico di un artista che a oltre 50 anni ha conosciuto uno straordinario successo è quello che ci piace per rappresentare una città e una regione che sarebbe stonata in abiti pomposi e sfavillanti. La povertà ha salvato Matera, la sua autenticità preservata, perchè diversamente non si poteva fare, è diventata potente. Con quel disagio, evidente, che si manifesta davanti alla gloria inattesa. Quanto durerà, saprò meritarmelo? Ecco, osservando Matera da quel disgraziato 17 che è diventato fortunato, è la paura a diventare audace che sembra essersi impossessata della città.

Il dossier della vittoria è bello. Quello che l’ha preceduto non è stato da tutti colto. Nulla vieta che accanto ad esso ci sia dell’altro. Il nuovo spaventa sempre eppure ammettere che si può vivere bene senza aver capito cos’è unmonastery o senza aver visto Salò di Pasolini non è peccato. A un anno di distanza possiamo aggiungere al dossier la semplicità come valore. Si possono scegliere più strade, l’open design school che fa tanto figo dirlo in inglese, e i balconi fioriti. Ci si può confrontare con una possente della cultura, come Marta Ragozzino, e si possono mettere i bambini a disegnare.

Se un bilancio possiamo fare, a un anno di distanza, un anno che si è pure macchiato di lutto, è la consapevolezza che ci sono più strade, sono tutte giuste quando si sente di poterle percorrere, rappresentano una ricchezza, come una biblioteca dove leggi le cinquecentine dell’avvocato Buccico e i gialli della Camilleri al femminile, Gabriella Genisi, “scoperta” dal Women’s fiction festival.

 Ma il senso di una cittadinanza che si ritrova, che seda l’odio e i conflitti, che è inclusiva e si apre a quelli che arrivano, stanziali o transitori, questo è il grande patrimonio comune che non possiamo smarrire. E che anzi, dobbiamo rafforzare. I grandi sommovimenti disorientano, poi si assestano e, per fortuna, ci travolgono, nonostante noi.

Facciamo allora uno sforzo. Quello che la cronaca ci restituisce da Matera ogni giorno non è esaltante. Manco a dirlo, manca coesione politica. E l’amministrazione non brilla. Tutta la storia degli emendamenti alla legge di stabilità è stata una corsa a esserci. Lo sviluppo della città si nutre di pizzerie e case vacanze. Anche questo è business. Accompagniamolo con progetti più grandi. Basterebbe già portare a compimento quelli che ci sono. Che poi la vera cosa difficile è proprio questa: governare i processi. I borbottii dei commercianti che si lamentano per il palco di RaiUno sono gli stessi borbottii dei residenti di quando hanno girato Ben Hur nei Sassi.

 C’è sempre un disagio che non si riesce a sopportare. In pochi guardano all’obiettivo finale. Ma da fuori sì. Ci osservano e ci reputano pure fortunati. Forse lo siamo per davvero, pur nella tristezza cosmica della nostra storia. Rocco Papaleo, con le sue lenti da miope, con quella disfonia che sembra avere sempre la raucedine, così sorprendente nel farci divertire con il racconto di quello che siamo, così accessibile all’apice del successo, vituperato e amato, in conflitto permanente con la sua terra e dunque con se stesso, è lo specchio semplice di questa terra che se si allarga a Levante o a Ponente non fa male purchè possa ricevere e non solo donare. Lo scambio, la confusione benefica, il viaggio, le porte aperte sono quello che dobbiamo augurarci. Siamo al centro del Sud. I pugliesi che verranno la notte del 31 sono i benvenuti. Loro ci accoglieranno alla notte della taranta. Bisogna credere nella forza centrale di Matera. E non smarrire il baricentro. Perchè non dover scrivere, tra qualche anno, “che peccato”.

 

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