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QUINDICI anni di storia politica dell’Università italiana sono passati al setaccio per analizzare con amara ironia, ma con estremo rigore metodologico, come un groviglio di interventi normativi e regolamentari ispirati da un vento proveniente da Nord abbia creato le condizioni per un inevitabile declino delle Università del Mezzogiorno.
Artefice un percorso riformatore costruito all’insegna di meritocrazia ed efficienza declinate su realtà infondate o mal interpretate. Il tutto in nome di un liberismo anomalo nel quale i vincenti sono stati scelti a monte e il Nord si è organizzato un bel regalo – cioè un’università più grande e più bella – che ha fatto pagare quasi totalmente al Sud, così come il Vincenzo di Massimo Troisi in “Scusate il ritardo” fa pagare al fratello, praticamente per intero, il televisore da regalare a mammà. Con una brillante metafora, paradossale e controintuitiva, l’autore dimostra cioè che nella recente storia universitaria italiana è stato rovesciato il principio di fraternità-equità che è alla base della sana e umana relazione ricco-povero che Troisi aveva magistralmente interpretato.
I tecnicismi connessi con i numerosi decreti ministeriali che determinano le regole per il finanziamento delle università, infatti, stanno sottraendo al Mezzogiorno sempre più risorse e stanno di fatto delocalizzando ampie fette dei servizi universitari dal Sud verso il Nord. Essi, inoltre, stanno creando le condizioni per una conseguente dismissione di alcune istituzioni universitarie meridionali.
In particolare, risulta inarrestabile il processo innescato dal meccanismo, interconnesso e consequenziale, che collega il turnover degli atenei alle loro disponibilità economiche, la possibilità di attivare corsi di studio alla disponibilità di docenti strutturati, la possibilità di avere più studenti a quella di avere più corsi di studio e, infine, il finanziamento degli atenei al numero degli studenti iscritti. La conseguenza di un siffatto modello non può che essere il collasso degli elementi più deboli del sistema, o meglio di quelli che appaiono più deboli al lordo dei tanti errori e delle tante omissioni delle procedure di valutazione e di finanziamento. E gli elementi che nell’errato disegno ministeriale appaiono più deboli sono tutti al Sud.
L’autore dimostra che si tratta di un indebolimento indotto da scelte politiche a dir poco disattente.
Infatti, i tagli economici alle università statali eseguiti tra il 2008 e il 2014 hanno gravato per oltre il 50% sul Mezzogiorno (circa 250 M€/anno tra il 2014 e il 2008) ed in misura irrisoria al Nord (poco più di 25 M€/anno), mentre già nella precedente fase di crescita dei finanziamenti al Sud erano state elargite somme aggiuntive nettamente inferiori rispetto al Centro e al Nord (nel confronto tra il 2009 e il 2001, circa 250 M€/anno in più ai primi contro i circa 500 M€ per ciascuno dei secondi).
Il finanziamento delle università meridionali, quindi, è oggi pari a quello dell’anno 2001, mentre al Settentrione, pur nel bel mezzo della ben nota crisi economica nazionale, arrivano, rispetto allo stesso anno, quasi 500 M€/anno in più.
«In questi quindici anni, quindi, tra bolle espansive e drastiche frenate, tra distrazioni ed astuzie, tra atteggiamenti lassisti o punitivi, le università del Mezzogiorno sono state mantenute al palo. Negli anni della civiltà della conoscenza, cioè, una porzione molto grande del territorio italiano e delle popolazioni che vi risiedono non ha ricevuto finanziamenti aggiuntivi dedicati alla ricerca e alla formazione nelle università. Senza considerare che, in tanti anni, i costi dei servizi offerti sono andati significativamente aumentando e che, pertanto, è conseguentemente diminuito il livello di servizio offerto agli studenti delle università del Sud».
Di chi la colpa? Per il periodo 2001-2009, essenzialmente di un sistema di reclutamento andato fuori controllo e, tra il 2009 e il 2014, degli ormai famosi meccanismi premiali e delle nuove modalità di definizione dei costi standard di formazione per studente che, se pur validi nei principi, sono stati declinati in modo da mortificare le università del Sud, colpevoli solo, come ampiamente dimostrato nel libro con analisi socio-territoriali di dettaglio, di operare in contesti sfavoriti sul piano economico e infrastrutturale. Ad esempio, come dimostrato con analisi statistiche e correlazioni inoppugnabili, ingenti fondi vengono sottratti alle università perché, di fatto, ad esse si iscrivono studenti meno pronti alla formazione superiore o che operano in contesti nei quali le carenze della rete dei trasporti rendono molto più lenti i collegamenti con le sedi universitarie. La stessa spaccatura, infatti, che si registra nel Paese in termini di densità abitativa e di servizi infrastrutturali si evidenzia in termini di finanziamento statale all’Università. A tal fine, Fiorentino, con fare ironico, indica che il ministero ha operato «al pari di un Robin Hood alla rovescia» mirando di fatto a penalizzare i contesti più svantaggiati «per poter più rapidamente tendere a quell’omogeneità di casta elevata di cui il Paese avrebbe bisogno».
Risultato è un flusso migratorio aggiuntivo, dal Sud verso il Nord, di circa 30.000 studenti universitari all’anno, a servizio dei quali, il distorto meccanismo normativo ideato in sede ministeriale, ha già spostato circa 240 docenti dal Sud al Nord e si accinge a triplicare se non a quadruplicare detto numero nei prossimi anni.
Il libro analizza anche i dati ministeriali di qualità della ricerca scientifica prodotta nelle università italiane e dimostra, ricorrendo anche qui ad analisi statistiche spinte, rese comunque ben interpretabili dal lettore, che lo scenario nazionale è sostanzialmente molto omogeneo e ben distante da quella rappresentazione cara ad alcuni media che aveva addirittura indotto il nostro Premier a parlare di atenei di serie A e di serie B.
Sia l’autore sia Adriano Giannola (presidente Svimez), nella sua acuta prefazione, sottolineano l’urgenza di una tempestiva vigilanza da parte di un Parlamento finora colpevolmente disattento, al fine di porre immediato rimedio alle gravi iniquità che stanno determinando una nuova emigrazione forzata che rischia di indurre ulteriori penalizzazioni, se non un irreversibile declino, delle regioni del Mezzogiorno.
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