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POTENZA – Verificare «gli effetti dannosi per l’ambiente e/o per la salute umana eventualmente causati dalle emissioni inquinanti prodotte dal Centro oli della Val D’Agri».
E’ l’oggetto dell’incarico conferito ieri in serata a Potenza al nuovo super- perito della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo.
In mattinata a 37 persone sono stati notificati gli avvisi di garanzia con l’invito a nominare un difensore e un consulente tecnico di parte. Una procedura obbligata perché sempre in mattinata i carabinieri guidati dal pm Laura Triassi sono tornati anche a Viggiano per effettuare un’ispezione e campionature «irripetibili».
Tra i nomi non compaiono tutti quelli che già nei mesi scorsi erano stati coinvolti nell’indagine sulla gestione dei rifiuti petroliferi del cane a sei zampe.
C’è l’ex responsabile del distretto meridionale dell’Eni Ruggero Gheller assieme a una nutrita schiera di dipendenti della compagnia di San Donato. Ma non mancano alcuni dei dirigenti di Tecnoparco, dove a lungo sono stati smaltiti i fanghi prodotti dalle prime lavorazioni del greggio. Poi compaiono gestori e amministratori di impianti di trattamento di rifiuti liquidi in Calabria, Puglia e Marche e di una società di servizi per l’ambiente ligure. Quindi i “vettori” che, dopo lo stop ai rifiuti in arrivo da Viggiano da parte di Tecnoparco, hanno trasportato i fanghi per tutta Italia con le autocisterne. Infine i funzionari competenti in materia di rifiuti di Regione, Arpab e Provincia di Potenza.
Per la questione emissioni gli inquirenti puntano il dito contro l’Ecb, che è la ditta di Potenza che certificava i dati raccolti dalle centraline piazzate attorno al Centro oli. Ma un avviso di garanzia è stato notificato anche agli ultimi due direttori generali dell’Arpab, che solo di recente ha avviato un suo sistema di monitoraggio dell’aria.
Tra gli indagati compare anche il nome del materano Franco Dell’Acqua, ex consigliere comunale e candidato sindaco dei Ds, che oggi si presenta come dirigente risorse umane di Sudelettra: la ditta che gestisce la manutenzione degli impianti di Viggiano considerati i responsabili di fiammate anomale e picchi di emissioni venefiche.
L’inchiesta sul Centro oli Val d’Agri era venuta alla luce a febbraio dell’anno scorso con un primo “blitz” dell’Antimafia. Da allora l’ipotesi di reato indicata resta quella del «traffico di rifiuti» ma i filoni d’indagine si sono moltiplicati.
Sul tavolo degli inquirenti c’è il tema della corretta qualificazione dei reflui, che sono il prodotto della componente acquosa separata dal greggio destinato alla raffineria, più tutte le sostanze utilizzate per estrarlo e prepararlo all’immissione nell’oleodotto in direzione Taranto.
Dalla qualificazione del rifiuto prodotto dipende anche il tipo di trattamento da adottare per smaltirlo correttamente. E il sospetto degli investigatori del Noe dei carabinieri è che per anni non sia stato fatto nella maniera giusta, trascurando la presenza di elementi tossici ed esponendo al rischio di contaminazione non solo i lavoratori dell’impianto di smaltimento, ma anche l’ambiente dove al termine del trattamento vengono sversate le acque “ripulite”.
Tra i quesiti sottoposti al superconsulente si parlava anche delle autorizzazioni concesse all’impianto della compagnia di San Donato dalla Regione Basilicata. Un doppio via libera, per essere precisi, dato che nel giro di 3 mesi la Regione ha concesso prima l’autorizzazione integrata ambientale al Centro oli, e poi l’ok al suo ampliamento con la realizzazione di una quinta linea capace di aumentare la produzione di greggio in maniera più che notevole.
Oltre a quello sulla gestione dei reflui di produzione i pm diretti dal procuratore Gay avevano aperto subito anche altri 2 filoni d’indagine sulle emissioni prodotte dal Centro oli e sui loro effetti sulla salute dei lavoratori di Eni e indotto petrolifero. Per questo i carabinieri del Noe avevano già acquisito tutti i dati a disposizione delle centraline dell’Eni che monitorizzano in continuo quanto viene emesso in atmosfera: sia il dato “grezzo”, sia quello certificato dalla Ecb di Potenza, che in caso di superamento delle soglie autorizzate andrebbe auto-denunciato da Eni. Cosa che si sospetta non sia sempre avvenuta.
Da ultimo gli inquirenti si erano posti il problema degli effetti delle emissioni del Centro oli, quindi avevano acquisito gli elenchi dei lavoratori che gli gravitano attorno. In tutto si parla di oltre 5mila nominativi di persone potenzialmente “esposte” agli inquinanti immessi in atmosfera.
Il Quotidiano ieri sera ha contattato uno dei destinatari dell’avviso di garanzia, l’ex direttore dell’Arpab Raffaele Vita che si è detto «fiducioso nell’operato della magistrata». Senza aggiungere altro.
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