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POTENZA – A quasi due settimane dagli attentati di Parigi l’escalation del terrore continua la sua marcia spietata e inarrestabile ma nonostante tutto bisogna andare avanti o quantomeno mettere una “maschera” che dia una certa parvenza di normalità.
Sono tanti gli italiani che per studio o per lavoro si trovano in Francia. Molti i lucani. Ragazzi che tramite i social network hanno rassicurato familiari ed amici sulla propria incolumità; ma la paura, quella, è stata tanta. E lo è tuttora. Come hanno vissuto i lucani “d’oltralpe” quel tragico venerdì 13, ma soprattutto, quanta voglia di “quotidiano” c’è alla luce della mattanza di matrice terroristica?
«Io e la mia ragazza, – racconta Egidio De Lorenzo, 34 enne potentino – siamo qui a Parigi per lavoro. Maria (la sua fidanzata, n.d.r.) ha vinto una borsa lavoro con il ministero dell’Educazione nazionale francese, per l’insegnamento della lingua italiana, mentre io sono qui sia per seguire lei, l’amore della mia vita, sia per accrescere la mia professione in ambito legale».
Il giorno «dell’attentato – prosegue – fino alle 17.30 Maria si trovava proprio in una scuola nella zona di Saint-Denis, nei pressi dello stadio, dove aveva terminato la sua giornata di lavoro. Quella sera saremmo dovuti andare a cena da amici, anch’essi potentini, nel diciottesimo arrondisement, ma “grazie” alla stanchezza di Maria siamo rimasti in casa. Egidio è un fiume in piena. L’aspetto emotivo, figlio dei tragici avvenimenti, è amplificato dal fatto che «i luoghi degli attentati – sottolinea – sono proprio quelli dove si svolge parte della movida parigina e dove noi ci rechiamo quasi giornalmente per fare la spesa o semplicemente per andare in palestra. La tensione è palpabile soprattutto in metro. Si percepisce un sentore di diffidenza reciproca ma ci rincuora vedere i bambini che giocano spensierati per strada ed è lì che la tensione cala e il contatto con la quotidianità aumenta».
Ragazzi come tanti che avrebbero potuto trovarsi quella sera al “Bataclan”, il teatro dell’orrore. Lì la cappa di morte è calata “rubando” la scena ai colori delle luci, al fumo che saliva dal palco, alle note di una musica che ha strozzato la voce in una spirale del terrore. Gli “Eagles of death metal” – rock band statunitense di “death metal”, i cui testi sono ispirati ai temi del dolore e della morte – stavano eseguendo il brano “Kiss the devil”. Poi l’inferno. I suoni graffianti del metallo delle chitarre hanno lasciato il posto ai proiettili dei kalashnikov, sotto i cui colpi si è consumata la mattanza dei terroristi che hanno aperto il fuoco facendo irruzione nell’impianto. Decine le vite spezzate in una scia di sangue, le cui tracce si sono date appuntamento nei bistrot e nei pressi dello Stade de France. Proprio la zona dove vivono appunto Egidio e Maria.
«I luoghi storici e le vie dello shopping – afferma Maria Giuzio, la compagna di Egidio – sono deserti e questo non fa che aumentare la paura. E’ sintomatico ad esempio che a scuola, dove c’è una forte presenza di immigrati di religione musulmana, i ragazzi siano spaventati perché temono “les amalgames”: in buona sostanza, ciò che da noi equivale al “fare di tutta un’erba un fascio”.»
Dalla Francia al Belgio la spirale del terrore sbatte le porte e chiude le frontiere a quel “sogno europeo” che mai come questa volta viaggia verso il suo “punto di non ritorno.” E’ ora il “cuore politico” del vecchio continente, una Bruxelles blindata, a dover subire devastanti fibrillazioni di psicosi collettiva. E a Molenbeek, la “capitale europea” della jihad bisogna fare i conti con i kamikaze e i covi degli arsenali chimici e di esplosivi intercettati. La presenza lucana è tuttavia concentrata anche in altre città transalpine. E’ il caso di Mariantonietta Palladino, di Potenza, che insegna italiano a Lione.
«Circa mezz’ora dopo il primo attacco terroristico – afferma – ho letto sul sito di un giornale francese Liberation: Fusillade à Paris! Ho acceso la tv attonita e ho ripensato subito all’attentato del gennaio scorso a “Charlie Hebdo”. Inutile dire che ho passato una notte insonne con la paura di uscire. Ma, poi, mi sono detta: “non sono la loro prigioniera”. Come Parigi anche per le strade di Lione c’è meno gente. Musei e biblioteche sono chiusi, gli spettacoli sono stati annullati, ma i negozi, i ristoranti e i bar sono aperti, con le bandiere francesi issate. In tutta la Francia, analogamente al resto d’Europa, vige lo stato di massima allerta. La presenza dell’esercito fa da cassa di risonanza ad uno stato che definire “psicotico” potrebbe sembrare riduttivo».
Il pensiero dei lucani “d’Oltralpe” è unanime: il concetto di libertà e patriottismo per i francesi è sacro e “l’attacco” ha generato un mix di emozioni. Al panico e alla paura fanno da contraltare la rabbia e la voglia di reagire.
«Non si sono rinchiusi in casa – sottolinea ancora Mariantonietta – ma passeggiano per la città, nei parchi, fanno compere, bevono qualcosa al bar o mangiano al ristorante anche “en terrasse”, ossia, fuori. Tuttavia sono rinchiusi nel loro silenzio evitando di parlare espressamente degli attentati. Per paura. Quella che tutti proviamo ma non mostriamo perché l’intento dei terroristi è proprio questo. Scatenare il terrore».
Anche Mariantonietta come tanti è convinta che gli attentati rivendicati dall’Isis facciano parte di un disegno che utilizza la religione solo come pretesto risibile che “giustifichi” i bagni di sangue. E prende sempre più piede la consapevolezza di defaillance all’interno dell’intelligence francese, il che fa supporre che nei gangli degli 007 transalpini, le falle della sicurezza aprirebbero scenari inquietanti su presunti delatori e “corvi” tra i servizi segreti.
«Mi viene spontaneo – racconta Mariantonietta – pensare al titolo dell’ultima copertina di Charlie Hebdo: “Ils ont les armes, on les emmerde, on a le champagne”, ovvero: ‘Loro hanno le armi, ce ne fottiamo, noi abbiamo lo champagne! I miei amici di Bordeaux, Rennes e St. Etienne risentono dello stesso stato d’animo».
E cosa pensano gli alunni?
«Non si rendono conto – conclude Mariantonietta Palladino – di ciò che stia accadendo ma è compito mio, in qualità di insegnante e quindi di educatrice allo stesso tempo, portarli a riflettere». Frontiere chiuse, terroristi braccati, postazioni dell’Isis in Siria bombardate. Uno scenario, quello che definiscono i fuorisede lucani: «surreale», nella convinzione di vivere a tappe una «terza guerra mondiale». Da qualcosa si dovrà pur ripartire. E la paura del “diverso”, del “musulmano”, non deve giustificare un “innalzamento” delle barriere che contemplano il contatto umano.
«Vivendo costantemente in un contesto multiculturale – chiosa Egidio – siamo a contatto e intessiamo i nostri rapporti di amicizia con ragazzi musulmani che non concepirebbero mai questi gesti sanguinari, sebbene le loro origini, a prescindere dalla doppia cittadinanza, li ‘costringano’, ancor più di noi, a vivere sotto pressione».
La vita va avanti e poterla “raccontare” è già una grande vittoria.
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