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POTENZA – E’ stato condannato a 14 anni di reclusione per l’omicidio di Giancarlo Tetta, il 35 enne melfitano Saverio Loconsolo, da due anni collaboratore di giustizia.

Il gup Rosa Larocca ieri pomeriggio ha accolto la richiesta di condanna avanzata alla scorsa udienza dal pm Francesco Basentini, applicando la riduzione di pena di un terzo prevista per la scelta del rito abbreviato e i benefici previsti per la collaborazione con la giustizia.

Tetta, soprannominato il “cantante” e cugino del boss Rocco Delli Gatti (ucciso nel 2002), è stato uno degli ultimi morti nella faida del clan del Vulture ed è stato trucidato a Melfi ad aprile del 2008. Mentre Loconsolo era già finito in carcere per la sua morte pochi mesi dopo l’agguato, maa in seguito il gup aveva disposto il “non luogo a procedere” nei suoi confronti, e si era trasferito a Santo Domingo. Una fuga, secondo gli investigatori della mobile di Potenza. Per evitare la vendetta del clan rivale dei Di Muro-Delli Gatti, a cui la sua vittima sarebbe stato vicina.

Una volta riacciuffato Loconsolo ha iniziato a collaborare con la giustizia, svelando che a sparare era stato proprio lui, per ordine di Massimo Cassotta, considerato il boss dell’omonimo clan di Melfi. Mentre Adriano Cacalano gli avrebbe fatto da autista.

Il movente? Ripagare la morte di Marco Ugo Cassotta, trucidato a luglio del 2007 in un casolare di contrada Leonessa.
Di fronte alle dichiarazioni di Loconsolo gli inquirenti guidati dal procuratore Luigi Gay non hanno potuto far nulla per riaprire il processo a carico di Massimo Cassotta e Cacalano. Infatti per loro nel 2011 era arrivata l’assoluzione in Corte d’appello, che in seguito è diventata definitiva.
Mentre gli indizi nei confronti di Loconsolo non erano andati oltre l’udienza preliminare. Perciò le indagini sono state riaperte sulla base della sua confessione. E si è arrivati di nuovo a processo davanti al gup, dove la difesa del collaboratore di giustizia ha optato per il rito abbreviato.

«So molto dell’omicidio di Giancarlo Tetta per averlo commesso io personalmente, su ordine di Massimo Aldo Cassotta». Così il verbale di Loconsolo trascritto dagli agenti della sezione anticrimine della mobile di Potenza.

«L’omicidio doveva essere compiuto già prima ma il Tetta si accorse della nostra presenza e allora decidemmo di rimandarlo. La sera dell’omicidio venne Massimo Aldo Cassotta e ci indicò dove era la macchina del Tetta, precisando che l’omicidio si poteva perpetrare. In piazza mi fu proposto di effettuare l’omicidio (…) e io accettai. Passammo dalle nostre abitazioni per poterci cambiare. Presi la pistola da casa di Cassotta, una 7,65 e una 83, se non sbaglio. Sicuramente con la 7,65 io uccisi Tetta».

«Prendemmo la Fiat Croma che era stata data a Pignola dal clan Riviezzi mentre Cacalano ci lasciò nel luogo dell’appuntamento». Prosegue la sintesi delle sue dichiarazioni. «Io mi appostai nelle vicinanze della macchina del Tetta nascondendomi dietro una siepe. Aspettai 20-25 minuti all’interno di un cespuglio ed appena vidi Tetta gli sparai prima un colpo al petto e poi, una volta che lo stesso era a terra, gli scaricai il caricatore in testa. Poi venni prelevato dal Caggiano».

Ieri in aula era presente anche il legale dei familiari di Giancarlo Tetta che hanno deciso di costituirsi parte civile.

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