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POTENZA – E’ accusato di concorso in due distinti assalti con l’esplosivo ad altrettanti bancomat di Palazzo San Gervasio, l’assessore comunale Antonio Paradiso, imprenditore agricolo eletto in una lista civica emazione del Pd.
Il suo nome compare assieme a quello di altre 21 persone nell’avviso di conclusione delle indagini notificato nei giorni scorsi al termine delle indagini della Squadra mobile di Potenza sulla banda messa in piedi dal melfitano Nicola Cassano, evaso nel 2013 dal carcere di Porto Azzurro e riacciuffato un anno dopo.
Paradiso è già a processo a Potenza con l’accusa di aver sequestrato e torturato un lavoratore rumeno sospettato di avergli rubato un trattore, per cui il pm ha chiesto una condanna a 12 anni di reclusione. Ma dopo 6 mesi agli arresti domiciliari ha ripreso le deleghe su lavori pubblici, urbanistica, attività produttive, viabilità e servizi cimiteriali.
Secondo gli inquirenti sarebbe stato lui «il basista» che avrebbe assicurato «assistenza sul posto» al melfitano Ivo Lopa e ai suoi amici pugliesi Vincenzo Marchese, Francesco Brattoli e Valerio Mastasi nell’assalto con l’esplosivo della notte del 22 aprile scorso alla filiale del Banco di Napoli di Palazzo San Gervasio. Ma con un dipendente del Banca popolare di Puglia e Basilicata, Gaetano Di Serio, avrebbe partecipato dalle retrovie anche a un secondo assalto allo sportello di viale Europa il 13 giugno. Due colpi falliti «per cause indipendenti dalla loro volontà».
Con Cassano, Lopa, Marchese, Brattoli, Mastasi, Paradiso e Di Serio, tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini ci sono anche altri 9 melfitani: Enrico Caputo, Silvana Gllucaj, Andrea Di Muro, Attilio Walter Putignano, Pasquale Mancino, Andrea Lioi, Simone Cignarale, Michele Grimolizzi e Roberto Chiappani.
Caputo, cognato di Ivo Lopa, era finito ai domiciliari con la compagna poco dopo il blitz contro la banda dei bancomat per armi e droga. Gli altri invece rischiano di dover rispondere di favoreggiamento per aver negato alcune cessioni di stupefacenti intercettate dagli investigatori.
Poi ci sono i pugliesi Pasquale Morgatico, Vincenzo Saracino, Nunzio Mangiacotti, Antonio Pegna, Mirko Del Priore e Tatiana Petitti: tutti più o meno vicini alla banda.
L’inchiesta della Procura di Potenza era partita dall’evasione, a marzo del 2013, dal carcere di Porto Azzurro, e una latitanza durata circa 20 mesi.
Proprio a Porto Azzurro, sull’isola d’Elba, Cassano aveva incontrato il bolognese (ma di origini foggiane) Vincenzo Marchese, ristretto per altri reati contro il patrimonio. Mentre lui stava scontando la condanna a 38 anni per l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Marino Di Resta nella sparatoria seguita a una rapina messa a segno a Pescara nel 1996. Così quando Marchese è uscito Cassano l’avrebbe seguito, sfruttando un permesso premio per darsi alla latitanza e si sono messi al lavoro insieme, tornando a dedicarsi alla loro “specialità”: i colpi ai bancomat.
Si muovevano come fantasmi tra Puglia, Basilicata e Campania, materializzandosi all’improvviso con «palette» e cariche esplosive a «marmotta». Un botto fragoroso e via. Portando con sé quando 15mila euro e quando molto di più, a seconda delle giornate. Fino a quando gli agenti della mobile di Potenza non hanno fatto irruzione in un ristorante di Bertinoro, un piccolo borgo in provincia di Forlì-Cesena, e li hanno trovati seduti a tavola: Cassano, Marchese e il melfitano Vincenzo Di Muro, che da diversi anni risiede poco lontano, a Forlinpopoli, una ventina di chilometri più nord.
Di ritorno da Bertinoro, Marchese non avrebbe atteso molto prima di riprendere la sua attività, sostituendo Cassano che era ritornato in carcere. Gli investigatori hanno seguito le loro tracce tra Poggio Imperiale, Palazzo San Gervasio, Montemilone, Andria, Gravina, Melfi e Rocchetta Sant’Antonio.
In totale sono una ventina i colpi attribuiti alla banda nella sua prima e nella sua seconda formazione. Nella “squadra”, infatti, dopo l’arresto di Cassano, avrebbe avuto un posto fisso anche Ivo Lopa: melfitano pluripregiudicato cresciuto alla “scuola” del cognato di Rapolla Antonio Orlando, morto nel 2011 a Pero, in provincia di Milano, durante un “lavoro” finito male. Cose che capitano a chi maneggia esplosivi di notte.
Durante le perquisizioni effettuate in contemporanea agli arresti sono stati sequestrati esplosivi, arnesi da scasso, micce, telefoni, walkie talkie, una pistola con tanto di munizioni, due scacciacani, e circa 20mila euro in contanti. Un pacco di banconote da 50 euro e da 20, tra le quali diverse macchiate dai sistemi automatici antiscasso. Oltre a una piccola collezione di reperti archeologici, in particolare vasellame, verosimilmente di età pre ellenistica.
l.amato@luedi.it
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